Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21750 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 21750 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Guerrera Giuseppe, nato a Melito di Porto Salvo, il 09/03/1963

avverso l’ordinanza del 31/10/2015 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv.ti Giulio Gasparro e Raschi Mirna, che hanno concluso per
raccoglimento dei motivi di ricorso e l’annullamento senza rinvio
dell’ordinanza.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, ha confermato
l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere del
Giudice per l’udienza preliminare dello stesso Tribunale nei confronti di
Giuseppe Guerrera.

Data Udienza: 20/04/2016

L’originario provvedimento cautelare è stato adottato, su richiesta
avanzata dal Pubblico Ministro, in via incidentale, nel giudizio di primo grado
definito, per sentenza di condanna, nelle forme del rito abbreviato.

2. Il Guerrera è stato attinto dalla misura custodiale in quanto
condannato alla pena di anni otto di reclusione per il reato di partecipazione
all’associazione mafiosa denominata indrangheta (art. 416-bis cod. peri.),
nella sua articolazione locale di Melito Porto Salvo, cosca facente capo alla

3. Avverso l’indicata ordinanza, propone ricorso per cassazione il
difensore del prevenuto denunciando violazione di legge e vizio di
motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. peri., in relazione
agli artt. 275, comma 1 bis, 273, 274 e 275, comma 3, cod. proc. peri.).

4. Il ricorrente denuncia la violazione del requisito della contestualità tra
l’adozione della sentenza e l’emissione dell’ordinanza cautelare, requisito
che, stabilito dall’art. 275, comma 1 bis, cod. proc. pen., sarebbe stato

disatteso, risultando l’ordinanza di custodia cautelare successiva di oltre otto
mesi alla sentenza.
Il Tribunale, con motivazione manifestamente illogica, avrebbe
giustificato il ritardo in cui è incorso il Giudice per l’udienza preliminare,
qualificando lo stesso come ‘non irragionevole’, nella premessa che il
censurato lasso di tempo fosse valso a valorizzare, per l’adottata
motivazione cautelare, la condotta per la quale il ricorrente era stato
condannato nel merito.

5. Il difensore fa valere mancanza di motivazione in ordine all’estremo
del pericolo di fuga e comunque illogicità della stessa, consegnata
all’impugnato provvedimento nella forma della cd. motivazione circolare.
Deduce il ricorrente che la previsione di cui all’art. 275, comma

1 bis,

cod. proc. pen. debba intendersi riferita ai soli casi di prima applicazione del
trattamento cautelare.
Laddove si tratti invece di ripristino di una precedente misura — nella
specie applicata dopo una precedente scarcerazione intervenuta per carenza
indiziaria — tanto sarebbe possibile, nei casi previsti dall’art. 307, comma 2,
cod. proc. pen., e quindi a fronte della dolosa trasgressione delle misure

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famiglia Iamonte.

imposte all’atto della scarcerazione o, ancora, quando ricorra il pericolo di
fuga.
Nel motivare in ordine alla sussistenza del pericolo di fuga, il Tribunale,
nella premessa che l’indicato estremo in relazione all’entità della pena debba
essere declinato non in assoluto, ma con riferimento al soggetto cui la pena
si riferisce, avrebbe ignorato siffatta premessa, non valorizzando gli
elementi forniti dalla difesa.
Tali la dedotta riassunzione in servizio del prevenuto da parte della

servizio del Guerrera, elemento, quest’ultimo, invece finanche distorto dai
giudici del riesame nella valutazione dell’estremo del pericolo di fuga.
Il Tribunale inoltre con motivazione ‘circolare’ avrebbe desunto l’indicato
pericolo dall’intervenuta sentenza di condanna in abbreviato per il reato
associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. — sentenza peraltro emessa sulla
base di emergenze che avevano prodotto la precedente scarcerazione per
carenza indiziaria — senza indicare ulteriori elementi oggettivi.
Contesta quindi il ricorrente il carattere parziale degli elementi indiziari
in ragione dei quali era stata emessa sentenza di condanna (così per le
dichiarazioni del collaborante Ambrogio e per i ritenuti esiti intercettativi
ambientali di una conversazione intercorsa tra Giovanni Tripodi e Remingo
la monte).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art. 275, comma 1 bis, cod. proc. pen. detta le regole destinate a
guidare il giudizio sui pericula libertatis allorché il giudice della cautela risulti
investito della cognizione degli stessi dopo che sia intervenuta una sentenza
di condanna.
Più in particolare, la norma in questione pone una particolare regola di
giudizio quanto all’esame delle esigenze cautelari allorché l’imputato sia
stato condannato, stabilendo che il giudice debba tener conto «anche
dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi
sopravvenuti dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta
taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, comma 1, lettere b) e c)».
Al carattere poi della ‘contestualità’ rispetto alla sentenza di condanna,
pure contenuto nell’art. 275, comma 1-bis cod. proc. pen., non va data una
lettura nel senso che le misure debbano essere adottate al momento della
pronuncia della sentenza di condanna, pena, in difetto, la violazione del

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locale amministrazione e la lettera del capufficio sul lodevole stato di

disposto di legge o, ancora, il vizio di motivazione là dove si argomenti nel
senso di qualificare come irrilevanti, irragionevoli sconfinamenti temporali.
Resta ferma infatti, anche per l’ipotesi di cui all’art. 275, comma 1-bis
cit., la regola generale per la quale le misure cautelar’ possono intervenire in
ogni stato del procedimento, e la ratio della disposizione è da intendere
quella di ampliare, nell’arricchimento che agli stessi viene dall’accertamento
contenuto nella sentenza di condanna, i margini di applicabilità delle misure
cautelar’ quanto all’apprezzamento delle esigenze cautelar’ e dei criteri di

18074 del 15/03/2012, Ancora, massimata su altro punto; Sez. 2, n. 36239
del 08/07/2011, Bunjaku, massimata su altro punto).
Sulle indicate premesse, il motivo di ricorso, nella parte in cui per esso
si lamenta l’illegittimità dell’ordinanza impugnata che, con motivazione
manifestamente illogica, dà giustificazione dell’ampio arco di tempo, pari a
circa otto mesi, intercorso tra la data della richiesta cautelare e l’adozione
dell’ordinanza genetica, ha natura sostanzialmente irrilevante.
La ‘contestualità’ di cui all’art. 275, comma 1-bis cod. proc. pen. non
vale ad individuare un autonomo requisito — integrato dall’osservanza di un
‘tempo ragionevole` tra richiesta ed ordinanza cautelare o, ancora, tra
sentenza di condanna ed ordinanza — di validità ed efficacia della misura
cautelare.
L’indicata locuzione vale ad «imporre al giudice, in presenza di una
richiesta del pubblico ministero, di non ritardare ad un tempo successivo alla
pronuncia di condanna la decisione circa l’applicazione della misura» (Sez.6,
n. 14223, cit. p. 3, motivazione), ferma restando però la possibilità che la
misura cautelare venga adottata anche successivamente alla sentenza di
condanna.
Il tempo che si colloca tra la richiesta e l’adozione della misura o tra la
sentenza di condanna e l’adozione della misura può rilevare, nella sua
irragionevole estensione, al solo fine di denunciare il difetto dei necessari
requisiti dell’attualità e della concretezza dell’esigenza cautelare laddove
questi ultimi si deducano mancati proprio per l’epoca, lontana dalle
prospettate esigenze, in cui il giudice ha infine espresso il proprio sindacato.
La relativa critica, per i segnati termini di giudizio, non è pertanto
concludente e specifica.

2. Per il resto, il ricorso è fondato.
2.1. Anche ove, come nella specie, risulti emessa sentenza di condanna
per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e trovi quindi operatività la

scelta (Sez. 6, n. 14223 del 19/01/2005, Strisciuglio, Rv. 231377; Sez. 6, n.

presunzione relativa di adeguatezza esclusiva della carcerazione posta
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., l’indagine da condursi dal giudice
della cognizione cautelare, secondo la regola di giudizio fissata dall’art. 275,
comma 1 bis cod. proc. peni, vuole che egli tenga conto, in una alla

condanna e alle modalità del fatto accertato, degli elementi sopravvenuti da
cui possa emergere l’esigenza cautelare da pericolo di recidivanza o di fuga
(art. 274, comma 1, lettere b) e c) cod. proc. pen.).
2.2. Escluso che la previsione di cui all’art. 275, comma 1 bis cit. trovi

venga ripristinata dopo una prima revoca (Sez. 1, n. 11860 del 26/02/2009,
Carcione, Rv. 243921; Sez. 1, n. 33896 del 14/07/2010, Mezzero, Rv.
248178), nella formulazione del relativo giudizio, fondato è poi l’ulteriore
motivo diretto a censurare la motivazione adottata dal Tribunale del riesame
in punto di sussistenza del pericolo di fuga.
In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma
1, lett. b) cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla I. n. 47 del 2015) deve
essere non più solo concreto, dovendosi comunque trattare di un reale ed
effettivo pericolo, difficilmente eliminabile con tardivi interventi (Sez. 2, n.
51436 del 05/12/201, Morosanu, Rv. 257981), ma anche attuale (Sez. 2, n.
44526 del 13/10/2015, Castillo Quintana, Rv. 265042).
La motivazione articolata dal Tribunale non dà conto, in modo univoco e
conducente, della concretezza e dell’attualità dell’indicato pericolo in ragione
dell’entità della pena comminata in primo grado e comunque non provvede
ad indicare quegli ulteriori obiettivi elementi da cui ragionevolmente
desumere l’alta probabilità che l’evento paventato possa concretamente
verificarsi, tali non potendo qualificarsi l’espresso giudizio sulla « pericolosità
e la particolare l’attitudine della cosca ad organizzarsi per favorire la
latitanza del propri sodali».
Il Tribunale non si confronta poi con gli argomenti dedotti dalla difesa
sulla condotta del condannato, devalutando il dato della riassunzione in
servizio del primo presso la locale amministrazione dopo la prima ordinanza
cautelare e lo stabile inserimento del medesimo, nell’indicato contesto
lavorativo, nel momento in cui il prevenuto viene attinto dalla seconda
misura cautelare, non riuscendo quindi per le indicate emergenze, non
adeguatamente vagliate, a condurre a logica conseguenza le considerazioni
altrimenti spese sul punto.

3. Va quindi disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con
rinvio degli atti al Tribunale di Reggio Calabria perché, in applicazione degli
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applicazione solo in sede di prima applicazione e non quando la misura

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indicati principi di diritto, proceda a nuovo esame sui punti segnalati, avuto
riguardo anche alle specifiche censure enunciate dal ricorrente, in tal modo
integrando — nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito —
le esposte lacune e carenze della motivazione, provvedendo ad una verifica
di resistenza della presunzione di pericolosità sociale (art. 275, comma 1bis, cod. proc. pen. nella parte in cui richiama l’art. 274 lett. b) cod. proc.
pen.;art. 275, comma 3 cod. proc. pen.).

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e
rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame sul punto.

Così deciso, il 20/04/2016

P.Q.M.

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