Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21749 del 20/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 21749 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Tripodi Giovanni, nato a Melito di Porto Salvo, il 11/11/1982

avverso l’ordinanza del 23/10/2015 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito i difensori, avv.ti Marino Maurizio Punturieri e Mario Santambrogío, che
hanno concluso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, ha confermato
l’ordinanza del Giudice per l’udienza preliminare applicativa della misura
cautelare della custodia in carcere nei confronti di Giovanni Tripodi.

Data Udienza: 20/04/2016

L’originario provvedimento cautelare è stato adottato, su richiesta
avanzata dal Pubblico Ministro, in via incidentale, nel giudizio di primo grado
definito, per sentenza di condanna, nelle forme del rito abbreviato.

2. Il Tripodi è stato attinto da misura custodiale, in quanto condannato
alla pena di sei anni di reclusione per il reato di partecipazione
all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta (art. 416-bis cod. pen.),
nella sua articolazione locale di Melito Porto Salvo, cosca facente capo alla

3. Avverso l’indicata ordinanza, propongono ricorso per cassazione il
difensore ed il prevenuto, in proprio.

4. Il difensore propone un unico articolato motivo con cui denuncia
violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e)
cod. proc. pen., in relazione all’art. 275 cod. proc. pen.).
Il Tribunale del Riesame avrebbe apprezzato l’esistenza delle esigenze
cautelari in ragione della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., in ciò guidato, unicamente, dal dato di merito rappresentato
dall’intervenuta sentenza di condanna.
In tal modo il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe disatteso i principi
affermati dalla giurisprudenza dì legittimità, per i quali è richiesto che per
l’applicazione della misura cautelare il giudice pervenga ad un’autonoma
valutazione dei pericula libertatis.
Il Tribunale non avrebbe inoltre valorizzato le deduzioni difensive sul
mutamento delle abitudini di vita del prevenuto, argomentando invece da
valutazioni di merito — peraltro già negativamente saggiate nella loro
portata dalla Corte

di

cassazione investita, in via incidentale, della

cognizione del primo provvedimento cautelare — aventi ad oggetto fatti
risalenti al periodo compreso tra il 2007 ed il 2009.
I giudici della cautela non avrebbero inoltre considerato che nel lasso di
tempo trascorso, pari a otto mesi, tra la richiesta e l’applicazione della
misura non vi erano stati elementi determinanti il concreto pericolo di fuga.

4. Il prevenuto propone un unico articolato motivo, con cui denuncia
violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e),
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 274, 275, comma 1-bis e 3, cod. proc.
pen.)

2

famiglia Iamonte.

4.1. Il ricorre te fa valere la violazione del requisito della ‘contestualità’
tra l’adozione dell

sentenza e l’emissione dell’ordinanza cautelare, requisito

che, stabilito dall

rt. 275, comma 1 bis, cod. proc. pen., sarebbe stato

disatteso, risultan o l’ordinanza cautelare adottata il 1 ottobre 2015 e quindi
nove mesi dopo la sentenza del 27 gennaio 2015.
4.2. Il Tribu ale, con motivazione manifestamente illogica, avrebbe
giustificato il rita do in cui è incorso il Giudice per l’udienza preliminare,
qualificando Io s esso come ‘non irragionevole’, nella premessa che il
di tempo fosse valso a valorizzare, per l’adottata

motivazione caut lare, la condotta per la quale il ricorrente era stato
condannato nel m rito.
4.3. Inoltre,
autoreferenziale,

il Gup ed il Tribunale del riesame, in modo
non avrebbero preso in considerazione il ‘giudicato

cautelare’.
Il Giudice pe

l’udienza preliminare — e quindi il Tribunale nella fase

cautelare ai sensi dell’art. 275, comma 1 bis, cod. proc. pen. — sarebbe

giunto, nel giudiz o abbreviato, ad affermare l’esistenza della colpevolezza
del prevenuto sulla scorta di quel medesimo compendio probatorio, di
natura cartolare, già sfavorevolmente vagliato dalla Corte di cassazione
nella pregressa,
La Corte di

cidentale, fase cautelare.
legittimità aveva infatti provveduto ad annullare, per

carenza dei gra i indizi, la prima ordinanza applicativa della misura
custodiale, decisi ne, questa, che aveva condotto, in sede di rinvio, il
Tribunale del Ries me all’annullamento dell’ordinanza genetica.
Deduce il rico rente che la severa valutazione richiesta in sede cautelare
in ordine alla pr babilità di colpevolezza ridurrebbe la distanza tra i due
momenti, quello

autelare e quello di merito, rendendo improponibile una

gerarchia tra i due procedimenti, distinti solo per la eterogeneità delle
finalità.
Siffatto proc sso sarebbe sostenuto, espone ancora il ricorrente, dalla
novella dell’art.2 3 cod. proc. pen., per l’inserimento del comma 1-bis, e
dalla giurisprude za di legittimità per l’operata ricerca di una sostanziale
omologazione dei parametri guida, tra la decisione cautelare ed il giudizio di
merito.
4.4. Il Trìb nale di Reggio Calabria, nel procedere al necessario
apprezzamento d !l’estremo del pericolo di fuga, muovendo dall’entità della
pena — non pa icolarmente elevata e dalla quale, in ogni caso, andava
detratto il pre-so ferto cautelare —, -non si sarebbe comunque confrontato
con gli argomenti fatti valere dal prevenuto, non valorizzando la condotta da
3

censurato lasso

I

qyesti osservata una volta rimesso in libertà, in esito all’annullamento del
primo provvedimento custodiale.
4.5. Il Tribunale avrebbe poi ritenuto l’operatività della presunzione
semplice di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in termini rigidi, non
valutando la possibilità che la stessa possa essere vinta, non solo in
presenza di prova positiva sulla recisione da parte del cautelando del vincolo
associativo, ma anche laddove emergano elementi specifici che facciano

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art. 275, comma 1 bís, cod. proc. pen. detta le regole destinate a
guidare il giudizio sui pericula libertatis allorché il giudice della cautela risulti
investito della cognizione degli stessi dopo che sia intervenuta una sentenza
di condanna.
Più in particolare, la norma in questione pone una particolare regola di
giudizio quanto all’esame delle esigenze cautelari allorché l’imputato sia
stato condannato, stabilendo che il giudice debba tener conto «anche
dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi
sopravvenuti dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta
taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, comma 1, lettere b) e c)».
Al carattere poi della ‘contestualità` rispetto alla sentenza di condanna,
pure contenuto nell’art. 275, comma 1 bis cod. proc. pen., non va data una

lettura nel senso che le misure debbano essere adottate al momento della
pronuncia della sentenza di condanna, pena, in difetto, la violazione del
disposto di legge o, ancora, il vizio di motivazione là dove si argomenti nel
senso di qualificare come irrilevanti, irragionevoli sconfinamenti temporali.
Resta ferma infatti, anche per l’ipotesi di cui all’art. 275, comma 1 bis

cit., la regola generale per la quale le misure cautelari possono intervenire in
ogni stato del procedimento, e la ratio della disposizione è da intendere
quella di ampliare, nell’arricchimento che agli stessi viene dall’accertamento
contenuto nella sentenza di condanna, i margini di applicabilità delle misure
cautelar’ quanto all’apprezzamento delle esigenze cautelar’ e dei criteri di
scelta (Sez. 6, n. 14223 del 19/01/2005, Strisciuglio, Rv. 231377; Sez. 6, n.
18074 del 15/03/2012, Ancora, massimata su altro punto; Sez. 2, n. 36239
del 08/07/2011, Bunjaku, massimata su altro punto).
Sulle indicate premesse, il motivo di ricorso, nella parte in cui per esso
si lamenta l’illegittimità dell’ordinanza impugnata che, con motivazione
manifestamente illogica, dà giustificazione dell’ampio arco di tempo, pari a

ragionevolmente escludere la pericolosità dell’indagato,

circa otto mesi, intercorso tra la data della richiesta cautelare e l’adozione
dell’ordinanza genetica, ha natura sostanzialmente irrilevante.
La ‘contestualità’ di cui all’art. 275, comma 1 bis cod. proc. pen. non

vale ad individuare un autonomo requisito — integrato dall’osservanza di un
‘tempo ragionevole’ tra richiesta ed ordinanza cautelare o, ancora, tra
sentenza di condanna ed ordinanza — di validità ed efficacia della misura
cautelare.
L’indicata locuzione vale ad «imporre al giudice, in presenza di una

pronuncia di condanna la decisione circa l’applicazione della misura» (Sez.6,
n. 14223, cit. p. 3, motivazione), ferma restando però la possibilità che la
misura cautelare venga adottata anche successivamente alla sentenza di
condanna.
Il tempo che sì colloca tra la richiesta e l’adozione della misura o tra la
sentenza di condanna e l’adozione della misura può rilevare, nella sua
irragionevole estensione, al solo fine di denunciare il difetto dei necessari
requisiti dell’attualità e della concretezza dell’esigenza cautelare laddove
questi ultimi si deducano mancati proprio per l’epoca, lontana dalle
prospettate esigenze, in cui il giudice ha infine espresso il proprio sindacato.
La relativa critica, per i segnati termini di giudizio, non è pertanto
concludente e specifica.

2. Per il resto, il ricorso è fondato.
2.1. Anche ove, come nella specie, risulti emessa sentenza di condanna
per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e trovi quindi operatività la
presunzione relativa di adeguatezza esclusiva della carcerazione posta
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., l’indagine da condursi dal giudice
della cognizione cautelare, secondo la regola di giudizio fissata dall’art. 275,
comma 1 bis cod. proc. pen., vuole che egli tenga conto, in una alla

condanna e alle modalità del fatto accertato, degli elementi sopravvenuti da
cui possa emergere l’esigenza cautelare da pericolo di recidivanza o di fuga
(art. 274, comma 1, lettere b) e c) cod. proc. pen.).
Nella formulazione di un siffatto giudizio, un elemento che il giudice
della cautela deve tenere in specifico conto è il tempo trascorso dalla
commissione del reato (art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen.),
destinato a valere, quale che sia la specie del reato in considerazione, ove al
trascorrere stesso non si accompagnino elementi successivi alla
formulazione dell’ipotesi di accusa (Sez. 6, n. 23362 del 20/02/2014,
Meduri).
5

richiesta del pubblico ministero, di non ritardare ad un tempo successivo alla

In tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al ‘tempo trascorso
dalla commissione del reato’ di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) cod.
proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione
della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente
tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una
maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle
esigenze cautelari (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244377).
L’indicata veste non può riconoscersi agli elementi apprezzati dal

genetica, elementi risalenti agli anni 2007/2008 (dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Ambrogio, ristretto in carcere dall’anno 2013;
riunioni tra sodali risalenti al periodo precedente all’operazione di polizia da
cui è originato il procedimento ai danni del condannato ed avvenute sino al
2013), restando del tutto generico ed imprecisato ogni riferimento al
carattere ‘assolutamente vivo’ della cosca di appartenenza, pure contenuto
nell’ordinanza impugnata.
Rimane inoltre, di rilievo, il mancato confronto degli indicati elementi
con gli argomenti addotti dalla difesa per dimostrare l’impossibilità della
permanenza della condotta partecipativa del ricorrente al sodalizio
criminoso.
Tanto valga per le circostanze positivamente dedotte al fine di
dimostrare il completo distacco del Tripodi dalla consorteria (partecipazione
ad una procedura concorsuale di reclutamento di personale presso l’azienda
T.E.P. di Parma, non ancora tradottasi nel trasferimento in attesa della
chiamata dell’azienda parmense, nell’espressa volontà del prevenuto di
trasferirsi nel Nord Italia per ivi intraprendere un’attività lavorativa, quella di
autista di pullman, diversa da quella di imprenditore edile; assoluzione dal
reato-fine di cui agli artt. 513-bis cod. pen. e art. 7 I. n. 203 del 1991,
riportata in sentenza ), nel superamento della presunzione di adeguatezza
della misura carceraria di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e nella
debita valutazione dell’esito del procedimento e degli elementi sopravvenuti
di cui all’art. 275, comma 1 bis cit.

All’obliterazione dei segnato episodio si accompagna infatti il mancato
apprezzamento della personalità dell’imputato quale componente del
necessario giudizio di prognosi di pericolosità.
2.2. Fondato è l’ulteriore motivo diretto a censurare la motivazione
adottata dal Tribunale del Riesame in punto di sussistenza del pericolo di
fuga.

Tribunale del riesame nel confermare il giudizio espresso nell’ordinanza

In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma
1, lett. b) cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla I. n. 47 del 2015) deve
essere non più solo concreto, dovendosi comunque trattare di un reale ed
effettivo pericolo, difficilmente eliminabile con tardivi interventi (Sez. 2, n.
51436 del 05/12/2013, Morosanu, Rv. 257981), ma anche attuale (Sez. 2,
n. 44526 del 13/10/2015, Castillo Quintana, Rv. 265042).
La motivazione articolata dal Tribunale non dà conto, in modo univoco e
conducente, della concretezza e dell’attualità del pericolo di fuga in ragione

ad indicare quegli ulteriori obiettivi elementi da cui ragionevolmente
desumere l’alta probabilità che l’evento paventato possa concretamente
verificarsi, tali non potendo qualificarsi i periodi di latitanza goduti da altri
affiliati.
Il Tribunale non si confronta poi con gli argomenti dedotti dalla difesa
sulla condotta, anche processuale del condannato, non conducendo a logica
conseguenza le considerazioni altrimenti spese sul punto.

3. Va quindi disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con
rinvio degli atti al Tribunale di Reggio Calabria perché, in applicazione degli
indicati principi dì diritto, proceda a nuovo esame sui punti segnalati, avuto
riguardo anche alle specifiche censure enunciate dal ricorrente, in tal modo
integrando — nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito —
le esposte lacune e carenze della motivazione, provvedendo ad una verifica
di resistenza delta presunzione di pericolosità sociale (art. 275, comma 1bis, cod. proc. pen., nella parte in cui richiama l’art. 274 lett. b) e c) cod.
proc. pen. ed art. 275, comma 3, cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e
rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame sul punto.

Così deciso il 20/04/2016

dell’entità della pena comminata in primo grado e comunque non provvede

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA