Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21747 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 21747 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Di Gioseffo Chiara, nata a San Daniele del Friuli il 23/05/1987

avverso la sentenza del 24/06/2015 della Corte di appello di Trieste

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per l’annullamento con rinvio
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Trieste, in totale riforma della sentenza del
Tribunale di Tolmezzo, appellata dal Procuratore generale, ha dichiarato
Chiara Dì Gioseffo colpevole dei reati di violenza o minaccia a pubblico
ufficiale e di resistenza, in forma continuata a lei contestati, nonché di rissa
aggravata (artt. 81 cpv 336, 337, 588, comma secondo, cod. pen.) ed è
stata condannata alla pena dì giustizia.

Data Udienza: 20/04/2016

2. Avverso l’indicata sentenza propone ricorso per cassazione il
difensore della prevenuta che articola quattro motivi.
2.1.

Con il primo motivo, si fa valere violazione di legge e/o vizio di

motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in
riferimento all’elemento oggettivo e soggettivo del reato di resistenza
contestato.
Deduce il difensore come l’indicato reato non risulti integrato, secondo
indirizzo di legittimità, quanto all’estremo obiettivo, dalla mera condotta di

contestato di essersi meramente divincolata dalla presa dell’operante.
Deduce ancora il difensore quanto all’estremo soggettivo come non sia
provato, in ragione delle indicate modalità della condotta, il dolo eventuale o
indiretto, ritenuto invece dalla Corte territoriale.
La prevenuta, nell’intento di colpire con una pietra la madre, non
avrebbe neppure visto il Carabiniere intervenuto così mancando, la prima, di
ogni intento oppositivo, estremo, questo, sul quale la Corte di merito non
aveva peraltro svolto alcuna argomentazione, pur a fronte di uno stringente
obbligo di motivazione dovuto all’operata rivisitazione, in senso
peggiorativo, della sentenza di primo grado.
2.2.

Con il secondo motivo, la ricorrente fa valere violazione di

legge e/o vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità, in riferimento all’elemento oggettivo e soggettivo del reato di rissa
contestato.
La Corte avrebbe errato nell’ascrivere la condotta accertata alla
fattispecie della rissa e ciò in ragione della molteplicità degli atti di violenza
posti in essere in tempi diversi e da soggetti diversi, non unificabili in un
unico episodio – come richiesto dall’astratta fattispecie – e dei quali, in ogni
caso, la prevenuta non avrebbe preso coscienza.
Con il terzo motivo, la ricorrente fa valere violazione di legge e/o vizio
di motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in
riferimento all’elemento oggettivo e soggettivo del reato di lesioni personali.
Ai fini di prova, la Corte di appello avrebbe erroneamente utilizzato il
verbale di arresto per la parte sanitaria descrittiva delle lesioni, di contro ad
orientamento di legittimità diretto a circoscrivere la valenza probatoria del
verbale di arresto alle attività irripetibili ivi riportate, e non avrebbe inoltre
motivato sulla circostanza che la prevenuta si fosse procurata le lesioni
(escoriazioni ed ecchimosi) durante la rissa.

2

resistenza passiva, accertata quanto alla prevenuta, alla quale era

Errata, ancora, sarebbe stata la non operata riconduzione dell’accaduto
all’ipotesi di mera ‘partecipazione’, di cui al primo comma del contestato art.
588 cod. pen.

CONSIDERATO /N DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati per i quali si dà
unitario e sintetico apprezzamento, secondo il disposto di cui all’art. 173,

1.1.Per la configurazione del reato di rissa è necessario e sufficiente
che, nella violenta contesa, vi siano gruppi contrapposti, con volontà
vicendevole di attentare all’altrui incolumità personale (Sez. 1, n. 18788 del
19/01/2015, Garau, Rv. 263567).
Il fatto così come contestato e ritenuto non configura l’indicato estremo,
non individuandosi, per il contesto familiare e la descritta concitazione in cui
ebbero a maturare i comportamenti ascritti, l’esistenza di due gruppi
contrapposti.
1.2.

Per la ritenuta condotta, nel corso della quale la prevenuta,

nell’intento di colpire la madre, si è divincolata dalla presa dell’agente
intervenuto, non risultano integrati, altresì, per il richiesto estremo
soggettivo, i reati di resistenza e di violenza a pubblico ufficiale (artt. 336 e
337 cod. pen.).
L’agire dell’imputata resta infatti guidato dall’intento di lanciare una
pietra alla volta della madre ed il divincolarsi della prima è mero strumento
per meglio perseguire il voluto fine, a cui resta estraneo, quindi, il dolo
specifico proprio delle ascritte fattispecie di reato (Sez. 6, n. 36367 del
06/06/2013, X., Rv. 257100; Sez. 6, n. 38786 del 17/09/201, Eki, Rv.
260469).
1.3.

La prova delle lesioni contestate risulta poi irritualmente

consegnata in atti, in un giudizio svoltosi nelle forme ordinarie, al verbale di
arresto, di contro ai contenuti tipici delle stesso atto diretti a segnarne il
regime di irripetibilità e di acquisibilità peraltro all’interno del giudizio
cartolare di cui all’art. 442 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 41281 del
17/10/2006 Greco Rv. 234906; Sez. 4, n. 23305 del 12/05/2015, Rv.
263874, Di Stefano).

2. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio per
insussistenza dei fatti in rubrica ascritti alla prevenuta.

3

comma 1, Norme att. cod. proc. pen., dei proposti motivi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Così deciso, il 20/04/2016

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