Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21744 del 13/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 21744 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

1) Fasanella Salvatore, n. San Marcellino (Ce) 30.1.1965
2) Pagano Antonio, n. Trentola Ducenta (Ce) 10.6.1938
3) Panico Antonio, n. Giugliano in Campania (Na) 22.6.1933
4) Sacco Almerico, n. Napoli 3.1.1954
5) Sacco Gaetano, n. Napoli 6.3.11960
6) Schiavone Francesco di Luigi, n. Casal di Principe (Ce) 6.1.1953
7) Schiavone Paolo, n. Aversa (Ce) 17.12.1982
8)

Riina Gaetano, n. Corleone (Pa) 5.11.1933

avverso la sentenza n. 6261/15 della Corte d’Appello di Napoli del 24/07/2015

esaminati gli atti e letti i ricorsi ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in pubblica udienza la relazione del consigliere, dott. Orlando Villoni;
sentito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., dr. A. Policastro, che
ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;

Data Udienza: 13/04/2016

uditi i difensori dei ricorrenti – avv. Paolo Caterino per il 1°, avv. Giovanni
Aricò anche in sostituzione dell’avv. Emilio Martino per il 2°, avv. Paolo De
Angelis per il 3°, avv. Claudio Davino per il 4 0 e il 5°, avv. Paolo Caterino in
sostituzione dell’avv. Carlo De Stavola per il 6°, avv. Massimo Biffa e avv.
Romolo Vignola per il 7°, avv. Luca Cianferoni per l’8° – i quali hanno insistito
per l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente patrocinati

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Napoli ha in larga parte
confermato quella emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data
24/03/2014, ribadendo la responsabilità di Salvatore Fasanella, Antonio Pagano,
Almerico e Gaetano Sacco, Gaetano Riina, Antonio Panico, Paolo e Francesco
Schiavone di Luigi in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti e per i quali avevano riportato condanna in primo grado, dichiarando l’improcedibilità per ne bis
in idem limitatamente a due episodi di illecita concorrenza ascritti a Sacco Almerico e Sacco Gaetano (capi Q1 e R1) con la conseguente riduzione delle pene loro
inflitte e rideterminando l’entità delle sanzioni anche nei confronti di Salvatore
Fasanella e Antonio Pagano.
In particolare, i due Schiavone, Pagano e Fasanella sono stati ritenuti colpevoli di appartenenza (Schiavone Francesco con ruolo apicale) al clan camorristico
dei Casalesi (art. 416-bis cod. pen., capo A) per periodi di tempo di diversa
durata; i due Schiavone del delitto di intestazione fraudolenta di beni (art. 12quinquies I. n. 356 del 1992, capo B) e Schiavone Francesco anche di quello di
concorrenza illecita (art. 513-bis cod. pen., capo C), entrambi riferiti alla società
Paganese Trasporti di Pagano Costantino; Fasanella anche di tre episodi di porto
e detenzione illecita di armi (artt. 10, 12 e 14 I. n. 497 del 1974 e 7 I. n. 203 del
1991, capi C1, D1, F1), i due Sacco di concorrenza illecita (art. 513-bis cod.
pen., capo 01) riferita a distinta società commerciale (la Junior Trasporti srl);
Gaetano Riina dello stesso reato (art. 513-bis cod. pen., capo C ter) riferito ad

un accordo volto a delimitare gli ambiti territoriali di operatività di determinate
imprese mafiose nel trasporto dei prodotti ortofrutticoli nella Sicilia Occidentale;
Panico di alcuni episodi di usura e tentata estorsione (artt. 644, 56, 629 cod.
pen., capi M2, N2, R2).
Oggetto prevalente del giudizio, infatti, è la penetrazione da parte di alcuni
gruppi importanti camorristici – sovente in concorrenza tra loro, ma taluni in cooperazione con la mafia di Cosa Nostra per quanto riguarda i mercati siciliani –

RITENUTO IN FATTO

nei settori della commercializzazione e del trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli nelle tratte comprese tra i principali mercati del Centro e Sud Italia,
realizzata mediante il perseguimento con metodi violenti del monopolio tendenziale delle società loro rispettivamente collegate, segnatamente la Paganese Trasporti riconducibile al clan dei Casalesi (ricorrenti Fasanella, Pagano, Paolo e
Francesco Schiavone), la Junior Trasporti riconducibile attraverso i ricorrenti
Almerico e Gaetano Sacco alla cd. Alleanza di Secondigliano, la Panico Trasporti
al clan camorristico Mallardo (ricorrente Panico Antonio).

neppure probatoriamente connessi a quelli contemplati dalle restanti imputazioni
ed è unicamente la figura soggettiva dell’imputato che ne giustifica la trattazione
nell’unitario processo cumulativo.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i predetti imputati, che deducono quanto di seguito indicato.

2.1 Fasanella Salvatore
Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla eccepita nullità ed inutilizzabilità dei decreti relativi alle attività di videoripresa effettuate nei propri
confronti. Il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto stabilito in sentenza, il piazzale antistante la sede de La Paganese Trasporti, teatro delle videoriprese, era da ritenersi luogo riservato e di privata dimora, come tale tutelato
dall’art. 14 Cost. e che appare di conseguenza manifestamente illogica la motivazione della decisione impugnata che ha affermato la qualità di luogo esposto al
pubblico. Allega, inoltre, che le citate videoriprese sono state acquisite al fascicolo del dibattimento ed utilizzate per la decisione in violazione del principio del
contraddittorio, essendone stata ritenuta inutile la visione a motivo della asserita
natura di prova atipica (art. 189 cod. proc. pen.); a tal fine viene formulata specifica doglianza sotto il profilo della mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale.
Il ricorrente deduce, inoltre, manifesta illogicità della motivazione e travisamento dei fatti con riferimento tanto alla contestazione di natura associativa di
cui al capo A, quanto ai reati fine di cui ai capi C1, DI e F1, sostenendo che tutte
le eccezioni difensive sono state disattese dalla Corte territoriale mediante mero
ed acritico richiamo ai risultati delle citate videoriprese.
L’ultima censura concerne l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e l’insufficiente motivazione spesa dalla Corte territoriale al riguardo.

2.2 Pagano Antonio
3

I fatti oggetto delle accuse mosse a detto ultimo ricorrente non sono, tuttavia,

Tale ricorrente propone due distinti atti d’impugnazione a firma rispettiva dei
legali dai cui è assistito.
Con un primo ricorso a firma dell’avv. Martino, deduce violazione dell’art. 192,
commi 2, 3 e 4 cod. proc. pen. nonché mancanza e/o apparenza della motivazione in ordine all’affermata sussistenza di una condotta di partecipazione al clan
camorristico dei Casalesi, per avere la Corte d’appello omesso di individuare gli
specifici comportamenti ascrivibili all’imputato atti ad inverare l’impegno per il
raggiungimento degli scopi del sodalizio. Secondo il ricorrente, il ruolo attribui-

impresa di autotrasporto non ha trovato sufficiente riscontro nelle risultanze
dibattimentali ed è in ogni caso palesemente inconferente con l’accusa formale di
essere l’organizzatore delle rete di autotrasportatori nonché l’anello di congiunzione tra la società La Paganese e i ‘riferenti locali dei mercati siciliani aventi
poteri di controllo delle dinamiche criminali all’interno degli stessi’.
In tale prospettiva difensiva, il ritenuto coinvolgimento del figlio Costantino
nelle vicende del gruppo camorristico non implica, alla luce della plausibile interpretazione alternativa del dato probatorio, compartecipazione del ricorrente nel
sodalizio.
Con il ricorso a firma dell’avv. brio, viene ulteriormente dedotto vizio di motivazione, ritenuta asseritamente illogica o mancante in relazione al ruolo svolto
nell’ambito dell’organizzazione criminale, essendo stata la partecipazione dello
imputato affermata unicamente sulla base di intercettazioni telefoniche ed ambientali dal significato travisato, il cui contenuto è stato completamente trasfuso
nell’atto d’impugnazione.

2.3 Panico Antonio
Detto ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità
della motivazione riguardo all’affermazione di responsabilità per i reati di usura e
tentata estorsione (capi 1\42, N2, R2), sostenendo l’insufficienza del compendio
probatorio acquisito (dichiarazioni delle parti lese, risultati delle intercettazioni
telefoniche, osservazioni di P.G. in loco) a fornire adeguata ricostruzione dei fatti
e precisa individuazione degli importi.
Il ricorrente deduce, inoltre, erronea applicazione dell’art. 12-sexies d.l. n. 306
del 1992 riguardo alla confisca della somma di denaro disposta a proprio carico
per sproporzione rispetto ai redditi dichiarati da lui e dalla moglie, sostenendo in
senso contrario di avere comprovato lo svolgimento di attività di commercio al
minuto di generi alimentari, mediante allegazione della titolarità di apposite licenze amministrative a partire dall’anno 1990 e che l’irrilevanza dichiarata dalla
Corte di tale dato per mancata produzione di scritture contabili, registri e fatture

togli di soggetto incaricato di mantenere i contatti con i referenti criminali della

costituisce frutto di evidente travisamento della lettera e dello spirito della norma
disciplinante l’istituto della confisca per sproporzione ai sensi del citato art. 12-

sexies.
2.4 Riina Gaetano
L’accusa che lo riguarda concerne i ruoli di mediatore e garante che gli si
imputa di avere svolto nella conclusione dell’accordo tra la Paganese Trasporti di
Costantino Pagano (clan dei Casalesi) e i fratelli Antonio e Massimo Sfraga (Cosa

dotti ortofrutticoli (segnatamente, meloni e cocomeri) prodotti da questi ultimi
nelle tratte da e per la Campania, il Lazio e i mercati della Sicilia Occidentale.
Il ricorrente deduce violazione di legge penale per inesatta applicazione della
figura di reato di cui all’art. 513-bis cod. pen. e vizio di motivazione, ritenuta
illogica ed indeterminata.
Con riferimento al primo aspetto, ricorda che l’elaborazione giurisprudenziale
in tema di art. 513-bis cod. pen. evidenzia come il connotato fondamentale del
reato sia costituito dalla condotta di violenza, talché il carattere indeterminato o
aperto (pag. 109 sentenza) della contestazione non trova corrispondenza né
nella formulazione testuale della norme né nella relativa applicazione giurisprudenziale.
Quanto al vizio argomentativo, deduce che del tutto immotivatamente si è ritenuto che egli abbia operato uno specifico intervento nel mercato del trasporto
ortofrutticolo ma non è stato individuato né il settore commerciale né il periodo
di interferenza, il tutto formalmente sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gianluca Costa ma sostanzialmente in maniera apodittica esclusivamente a causa del cognome che porta.
Il ricorrente deduce, infatti, che è rimasto del tutto indeterminato il ruolo che
egli avrebbe svolto nell’ambito dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra al di là
del rapporto di parentela con il più noto fratello Salvatore, non avendo mai
riportato condanne per art. 416-bis cod. pen., al pari del resto di altri soggetti
coinvolti nella vicenda quali i citati fratelli Sbraga.
Vengono, infine, dedotti violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla
applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991, non essendo stata
raggiunta alcuna prova circa la specifica valenza associativa della condotta in
addebito nonché riguardo alla determinazione della pena, irrogata in misura
prossima al massimo edittale, nonostante l’età avanzata del ricorrente, il suo
precario stato di salute e l’assenza di precedenti penali.
Con motivi nuovi depositati il 24 marzo 2016, il ricorrente ha allegato l’annullamento disposto già nel 2011 da questa Corte di Cassazione (sentenza della
5

Nostra) per l’esclusiva del trasporto e della commercializzazione di alcuni pro-

Sezione Seconda n. 6462/2011 del 16/12/2010 di cui è stata prodotta copia) di
una ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli che, trattando della posizione
di Sfraga Antonio e Sfraga Massimo provvisoriamente accusati del delitto di cui
agli artt. 513-bis cod. pen. e 7 I. n. 203 del 1991, ha escluso la ricorrenza del
reato
quantunque l’agente agisca in un contesto di criminalità organizzata.

I ricorrenti deducono l’impossibilità di configurare a loro carico il reato di cui
all’art. 513-bis cod. pen. atteso che dal compendio probatorio è emersa la condizione di vittime delle ditte dei Cataldo, dei Panico e di altri operatori dell’autotrasporto nel settore ortofrutticolo rispetto alle condotte intimidatorie e violente
attuate da Pagano Costantino e della sua ditta La Paganese.
L’attività di illecita concorrenza loro contestata altro non ha costituito, infatti,
che la legittima reazione avverso quella condotta dal Pagano, con l’esclusivo fine
di preservare la propria attività economica; il reato in esame non può, pertanto,
essere configurato per difetto dell’elemento soggettivo e quand’anche possano
ravvisarsi estremi di rilievo penale nelle condotte in addebito, al massimo le
stesse possono avere integrato il diverso reato di cui all’art. 610 cod. pen.
I ricorrenti deducono, inoltre, omessa e travisata valutazione dei risultati delle
intercettazioni, travisamento della prova dichiarativa e motivazione apparente,
illogica e contraddittoria su tali aspetti: il giudice di appello si sarebbe limitato a
richiamare la motivazione della sentenza di primo grado, senza fornire alcun
apprezzabile apporto di tipo valutativo, limitandosi a mere formule di stile.
Il travisamento della prova riguarderebbe soprattutto l’epoca in cui sarebbe
intervenuto l’accordo spartitorio per il controllo del trasporto da e per i mercati
ortofrutticoli tra i Casalesi e le organizzazioni criminali rivali, a dire dei collaboratori di giustizia sicuramente successivo (anni 2003/2004 per Graziano Felice
,
e 2005 per altri collaboratori) ai fatti del 2002 oggetto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali.
L’erronea valutazione dei risultati dell’attività di captazione viene corroborata
dalla riproduzione di ampi brani delle conversazioni rilevanti, valutati in sinergia
con le prove di carattere dichiarativo.
I ricorrenti deducono, inoltre, violazione di legge riguardo all’art. 7 della I. n.
203 del 1991, posto che in nessun processo è mai emersa la loro appartenenza a
qualsivoglia clan camorristico, ivi compreso quello all’epoca capeggiato dal defunto fratello Gennaro, appartenente alla cd. Alleanza di Secondigliano.

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2.5 Sacco Alrnerico e Sacco Gaetano

Deducono, infine, carenza o apparenza di motivazione riguardo al denegato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

2.6 Schiavone Francesco di Luigi
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
agli artt. 416-bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen., lamentando come la Corte
territoriale abbia eluso di affrontare il tema principale sottoposto alla sua attenzione e vale a dire l’illogicità di una condanna pronunciata in assenza di elementi

essendo stato egli detenuto in regime speciale di cui all’art.

41-bis O.P. dal

marzo del 2004 fino al 2005.
Illogica è anche la ritenuta posizione apicale nell’ambito del gruppo camorristico ribadita dalla Corte territoriale, in assenza di elementi probatori atti a dimostrare come la restrizione in carcere in regime speciale non avesse impedito il
permanere dei contatti con gli associati e la permanenza del ruolo direttivo.
Parimenti illogica viene definita la denegata sussistenza del vincolo della continuazione tra le condotte di partecipazione al clan dei Casalesi, confondendosi la
partecipazione ai reati fine con la partecipazione al gruppo criminale.
Secondo il ricorrente, è infatti del tutto illogico sostenere che lo stato di detenzione non interrompa la permanente partecipazione al clan ed invece ritenerlo
partecipe di un sodalizio diverso solo perché i reati fine non sono gli stessi
rispetto alle precedenti condotte di partecipazione costituenti oggetto delle sentenze divenute irrevocabili.
Viene anche censurata la ribadita affermazione di condanna in ordine al delitto
di concorrenza illecita (art. 513-bis cod. pen., capo C), lamentandosi la solo
apparente motivazione di averlo ritenuto corresponsabile di tutti i fatti di intimidazione e sopraffazione, successiva alla iniziale sponsorizzazione della società La
Paganese, in forza di un meccanismo meramente automatico, in palese contrasto
con i principi che regolano l’istituto del concorso nel reato. In particolare, la
sentenza ha ritenuto possibile utilizzare elementi probatori che documentano il
suo interessamento a vicende della società prima del suo arresto avvenuto nel
marzo del 2004 anche in relazione a fatti illeciti accaduti successivamente a tale
epoca, in ordine ai quali non vi è prova di alcuna sua partecipazione, anche solo
a livello morale.
La totale carenza di elementi di prova viene, invece, lamentata riguardo alla
ribadita affermazione di responsabilità concernente il reato di cui al capo B (intestazione fittizia di quote della società La Paganese): l’apparente motivazione
spiega, infatti, che l’avere creato o contribuito a creare il sodalizio viene ritenuto

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di prova atti a far ritenere sussistente una partecipazione al sodalizio criminale,

sufficiente per attribuire al ricorrente ogni condotta illecita ascrivibile agli effettivi
gestori.
L’ultima doglianza riguarda, infine, il mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche, statuto asseritamente in carenza di adeguata motivazione.

2.7 Schiavone Paolo
Con un primo motivo, il ricorrente censura la decisione di appello in quanto
affetta da manifesta contraddittorietà della motivazione nonché da violazione

Le doglianze si appuntano in particolare sull’apprezzamento asseritamente
erroneo dei motivi d’appello, che la Corte territoriale ha inteso come mera riproposizione di argomentazioni già sottoposte al vaglio del giudice di primo grado
nonché sulla valutazione dei risultati delle operazioni di captazione telefonica ed
ambientale, dalla stessa Corte giudicati unitariamente convergenti nell’individuarlo come uno degli immediati referenti dei titolari della Paganese Trasporti
nell’ambito del clan dei Casalesi.
Il ricorrente deduce, ancora, mancanza o manifesta contraddittorietà della
motivazione sotto forma di travisamento della prova riguardo all’identificazione
avvenuta sulla base delle video riprese effettuate nel piazzale antistante la sede
della predetta società, connessa alla ritenuta inattendibilità del teste a discarico
Madonna Nicola, il quale ha dichiarato in dibattimento di identificarsi nel soggetto
comparente nel filmato.
Un’ulteriore doglianza riguarda la per contro ritenuta attendibilità dei collaboratori di giustizia Costa Gianluca e Piccolo Raffaele riguardo alla sua presenza
nella sede della Paganese Trasporti ed alla causale dei rapporti economici esistenti nei confronti del titolare Costantino Pagano.
La penultima censura concerne la dedotta violazione di legge dell’art. 431,
comma 2 cod. proc. pen. in relazione alla disposta confisca per sproporzione ex
art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, dovuta alla mancata acquisizione al compendio probatorio del verbale di esame di un consulente di parte svoltosi nello
ambito di un distinto procedimento di prevenzione: secondo il ricorrente, infatti,
la Corte d’appello ha, illegittimamente negato l’acquisizione nonostante fosse
stata concordata tra le parti nel corso del dibattimento di primo grado, precludendosi così l’esame di importanti elementi per apprezzare la provenienza dei
beni oggetto del provvedimento di confisca.
Con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta, infine, manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. concernenti la determinazione del trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo ri-

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dell’art. 192, comma 2 cod. proc. pen.

spetto al mutato stile di vita susseguente ai fatti in addebito ed alla rinnovata
personalità del reo.
Quasi tutti i predetti motivi sono stati ribaditi con memoria difensiva depositata il 05/04/2016, particolare enfasi venendo posta sui criteri di determinazione
del trattamento sanzionatorio, definito arbitrario rispetto a quello riservato ad
altri coimputati.

1. Il ricorso proposto da Gaetano Sacco deve essere accolto e nei limiti di seguito specificati anche quello di Francesco Schiavone, da rigettare nel resto;
infondato è, invece, il ricorso proposto da Gaetano Riina che deve, come tale,
essere respinto; vanno, infine, dichiarate inammissibili le impugnazioni proposte
dai restanti ricorrenti.

2. Fasanella Salvatore
Il ricorso da lui proposto deve dichiarasi inammissibile in parte per ragioni
procedurali e in parte per manifesta infondatezza.
Il tema principale a fondamento dell’impugnazione concerne la pretesa inutilizzabilità dei risultati delle videoriprese eseguite da remoto di quanto accadeva nel
piazzale antistante la sede della Paganese Trasporti, obiettivo primario delle indagini a suo tempo condotte dagli inquirenti.
Il ricorrente ripropone la doglianza, già formulata in sede di appello, che detto
piazzale dovesse considerarsi luogo riservato e di privata dimora, come tale tutelato dall’art. 14 Cost., con conseguente previsione di nullità dell’attività di video
registrazione e connesse doglianze in tema d’illegittima modalità di acquisizione
al compendio probatorio ed obbligo di rinnovazione dell’istruzione probatoria in
appello.
Trattasi di censure tutte manifestamente infondate, cui peraltro la Corte territoriale ha risposto in maniera diffusa (pagg. 44-55 sent.), escludendo correttamente che nello specifico sia stata perpetrata un’illecita interferenza nella vita
privata di chicchessia, non costituendo l’area sottoposta a video sorveglianza
luogo di privata dimora, in quanto destinata all’uso di un numero indeterminato
di persone.
La Corte d’appello ha del pari correttamente rilevato che a prescindere dallo
inquadramento sistematico delle video riprese nella categoria delle prove documentali (art. 234 cod. proc. pen.) o delle cd. prove atipiche (art. 189 cod. proc.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

pen.), il relativo risultato costituisce comunque prova pienamente utilizzabile a
fini probatori (per tutte si rinvia a Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv.
234267), poiché parificabile a tutti gli effetti ad una prova documentale, di cui e
com’è noto il codice di rito non disciplina, tuttavia, modalità di acquisizione e
regole di utilizzazione.
Altro rilievo correttamente svolto dalla Corte territoriale è che il risultato documentale di tali riprese o registrazioni che dir si voglia costituisce elemento probatorio equivalente e, vale aggiungere, fornito di maggiore affidabilità, rispetto a

ria coinvolti in attività di osservazione e pedinamento (‘appostamento’ secon-do
la Corte d’appello, pag. 50 sent.), anch’esse pacificamente utilizzabili previa
acquisizione al compendio probatorio (Sez. 2, sent. n. 46786 del 24/10/2014,
P.G., P.C. e Borile, Rv. 261053; Sez. 1, sent. n. 4422 del 18/12/2008, dep.
2009, Gelati Sansone e altri, Rv. 242793; Sez. 5, sent. n. 33430 del
17/07/2008, Biviera, Rv. 241386).
Rispetto alle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale, che hanno ribadito
la validità di approdi interpretativi incontestati, il ricorso non introduce, dunque,
alcun aspetto di novità, talché deve dichiararsene, riguardo ai predetti punti, la
genericità sub specie di aspecificità dovuta a mancanza di correlazione tra le
ragioni argomentative della decisione censurata e quelle poste a fondamento
della impugnazione (ex pluribus v. Sez. 6, sent. n. 13449 del 12/02/ 2014,
Kasem, Rv. 259456; Sez. 2, sent. n. 36406 del 27/06/2012, Livrieri, Rv.
253893; Sez. 5, sent. 28011/13; Sez. 6, sent. n. 22445/09; Sez. 5, sent. n.
11933/05, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 4, sent. 15497/02; Sez. 5, sent. n.
2896/99).
Anche le successive censure riguardano il contenuto delle videoriprese, deducendo il ricorrente che l’affermazione di responsabilità riguardo tanto al reato
associativo quanto ai delitti in materia di armi poggia in maniera acritica sui
risultati di tale attività di registrazione..
La deduzioni non evidenziano, tuttavia, profili di illogicità nelle argomentazioni
svolte dalla Corte d’appello (pagg. 55-68 sentenza) e pertanto si atteggiano a
censura concernente il merito delle valutazioni operate dal giudice di secondo
grado, come tali non consentite in sede di legittimità (art. 606, comma 3 cod.
proc., pen.)
L’ultima doglianza concerne l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l’insufficiente motivazione asseritamente svolta dalla Corte
territoriale al riguardo, ma anch’essa appare manifestamente infondata.
Denegare, come ha ritenuto di fare la Corte d’appello, il riconoscimento delle
attenuanti generiche sull’assunto della gravità assoluta delle condotte ascritte
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quello costituito dalle dichiarazioni rese da ufficiali e/o agenti di polizia giudizia-

all’imputato, del ruolo fiduciario (custode di armi da fuoco) e pertanto rilevante
ricoperto all’interno del sodalizio criminale nonché dei precedenti penali specifici
posti a suo carico non è per nulla illogico, se solo si considera che ai sensi
dell’art. 62-bis cod. pen. la mera assenza di precedenti a carico del condannato
non costituisce titolo per concedergli le attenuanti in questione.
Le determinazioni assunte appartengono, peraltro, a quell’ambito di discrezionalità in tema di trattamento sanzionatorio che è tipico ed esclusivo dei giudici

3. Pagano Antonio
Come anticipato, l’impugnazione di tale ricorrente si articola in due distinti atti
di ricorso.
In quello a firma dell’avv. Martino, viene posta la questione dell’omessa
individuazione da parte della Corte territoriale di specifici comportamenti ascrivibili all’imputato : detto altrimenti, l’affermata appartenenza al clan dei Casalesi
poggerebbe su affermazioni apodittiche o di mero principio, non essendo stato
indicato quale ruolo egli abbia mai svolto all’interno di detto sodalizio criminale.
In tale contesto, viene anche dedotta l’altra questione della palese inconferenza della condanna con l’accusa formale di essere stato l’organizzatore delle rete
di autotrasportatori e l’anello di congiunzione tra la società La Paganese e i .
Tanto premesso, va rilevato che l’imputazione attribuisce in effetti al ricorrente la funzione sopra descritta (capo A sub 2) e tuttavia la deduzione svolta si
rapporta all’imputazione stessa sul piano del merito, nel senso di sostenere che
la specifica condotta in addebito non risulta essere stata comprovata, non
essendo per contro mai stato dedotto (neppure nell’atto d’appello a firma
dell’avv. brio) il tema della violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza di cui all’art. 521 cod. proc. pen.
Nei termini della sua formulazione, la doglianza costituisce pertanto una critica
alla decisione impugnata riguardo alla mancata specificazione del ruolo concretamente svolto dal ricorrente nell’ambito del clan dei Casalesi.
Sotto tale angolazione, tuttavia, essa appare manifestamente infondata.
La Corte territoriale ha con chiarezza indicato nel ricorrente (pagg. 76-85
sentenza) un cogestore di fatto dell’azienda formalmente ed inizialmente intestata al figlio Costantino, ma da varie fonti probatorie indicata come diretta
proiezione nel mercato dell’autotrasporto ortofrutticolo su ruote del clan dei
Casalesi, operando così una equiparazione tra interesse alla gestione dell’azienda
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dei gradi di merito del giudizio, sottratto in quanto tale al sindacato di legittimità.

e interesse al raggiungimento degli scopi dell’associazione criminale di cui la
prima costituiva il braccio operativo nel settore economico di riferimento, dimostrato oltre tutto dalla disponibilità all’impiego della violenza ed all’uso delle armi
per battere la concorrenza.
Il ricorrente contesta le valutazioni operate dai giudici d’appello degli elementi
a suo carico (risultati di intercettazioni telefoniche; video registrazioni; perquisizioni e rinvenimento di armi a carico di altri indagati; dichiarazioni del testimone
Gianluca Costa), opponendo una interpretazione alternativa del dato probatorio,

simo congiunto.
Ma l’astratta plausibilità della lettura alternativa proposta non è sufficiente a
dimostrare ipso facto l’illogicità dell’interpretazione datante dalla corte d’appello,
che quale giudice del merito ha il potere di operare simili valutazioni, precluse
invece a questo giudice di legittimità.
Ne discende che tanto le predette censure quanto quelle articolate nel secondo
atto di ricorso a firma dell’avv. brio si rivelano in definitiva incentrate sul merito
del giudizio, volte cioè a conseguire una completa rivalutazione del materiale
probatorio (significativa al riguardo è la riproduzione di consistenti brani di conversazioni intercettate nel secondo atto di ricorso) sostitutiva di quella operata
dai giudici d’appello, come tali improponibili in sede di legittimità (art. 606,
comma 3 cod. proc. pen.) e danti luogo a dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione complessivamente considerata.

4. Panico Antonio
Come anticipato, le imputazioni che lo riguardano si rivelano eccentriche rispetto al tema precipuo dell’indagine, attenendo (capi M2, N2, R2) a due episodi
di usura in danno di altrettante parti lese (Uccella Antonio e Basile Claudio).
Tanto premesso, il ricorso si rivela inammissibile, in quanto il primo motivo in
cui si articola concerne dichiaratamente il merito delle valutazioni operate dalla
Corte d’appello, sostenendo il ricorrente l’insufficienza del compendio probatorio
acquisito (dichiarazioni delle parti lese, risultati delle intercettazioni telefoniche,
osservazioni di P.G. in loco) a fornire adeguata ricostruzione dei fatti e precisa
individuazione degli importi in tesi corrisposti dalla parte lesa a tasso usurario.
L’oggetto delle censure è, pertanto, costituito dalla somma degli elementi di
valutazione che il giudice di merito è tenuto a prendere in considerazione ai fini
dell’affermazione o dell’esclusione della responsabilità rispetto all’ipotesi d’accusa, ma in nessun momento viene attaccata la logicità del discorso argomentativo
svolto dalla Corte territoriale.

12

fondata sul riconosciuto interesse per le sorti della società di proprietà del pros-

Parimenti riferita al merito del giudizio è, inoltre, la doglianza che riguarda il
provvedimento di confisca adottato a suo carico ai sensi art. 12-sexies d.l. n.
306 del 1992.
La Corte d’appello di Napoli ha osservato che la documentazione prodotta è di
per sé suscettibile soltanto di dimostrare la pregressa titolarità in capo al ricorrente di un’attività di commercio al minuto di generi alimentari (pagg. 101-102
sent.), ma priva di forza dimostrativa atta a giustificare la produzione di un
reddito lecito, a sua volta suscettibile di vincere la presunzione relativa di illecita

contabili, registri e fatture è difficile, infatti, dimostrare la sussistenza di una
effettiva redditività dell’attività economica svolta, che finisce anzi per fungere da
formale schermo di attività per la conduzione di attività di natura illecita.
Essendo questo il ragionamento svolto dalla Corte territoriale, non si vede in
cosa possa essere consistito il dedotto travisamento della lettera e dello spirito
della norma disciplinante l’istituto della confisca per sproporzione ai sensi dello
art. 12-sexies, mentre si deve per converso affermare la manifesta infondatezza
della censura formulata su tale punto della decisione.

5. Riina Gaetano
Il cuore della censura che il ricorrente muove alla decisione impugnata è il seguente: posto che gli viene addebitato di avere favorito un accordo concluso tra
la Paganese, braccio operativo del clan dei Casalesi nel settore dell’autotrasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli ed i fratelli Antonio e Massimo Sfraga,
a loro volta indicati come referenti di Cosa Nostra nello stesso ambito commerciale, la relativa condotta appare del tutto estranea a quelle tipiche indicate dallo
art. 513-bis cod. pen., il quale postula l’esercizio di atti di intimidazione e violenza commessi nell’ambito di una determinata attività imprenditoriale o di uno
specifico settore commerciale.
L’assenza, inoltre, di pregresse condanne per art. 416-bis cod. pen. tanto a
suo carico quanto nei confronti di alcuni partecipi dell’accordo, in particolare i
fratelli Sfraga (v. la sentenza di legittimità prodotta con i motivi nuovi) conferma
l’impossibilità di configurare la sussistenza di tale reato.
Parimenti è, infine, a dirsi della ritenuta ricorrenza dell’aggravante di cui allo
art. 7 I. n. 203 del 1991, in carenza totale di prova della specifica valenza associativa della condotta contestata.
A parere del Collegio, tutte le predette doglianze risultano infondate.
Prima di affrontare la questione della rilevanza della condotta in addebito ai fini
e per gli effetti dell’art. 513-bis cod. pen., pare opportuna qualche notazione

13

accumulazione patrimoniale di cui al citato art. 12-sexies: mancando scritture

circa l’interpretazione che di tale previsione ha fornito la giurisprudenza di questa
Corte di legittimità.
Com’è noto, questa si divide in due grandi tendenze interpretative.
Gt/ La prima i e manifestatasi più di recente l sottolinea come il testo legislativo
consideri, ai fini dell’applicabilità dell’art. 513-bis c.p., solo i comportamenti competitivi tipici che si prestano ad essere realizzati con mezzi vessatori, posti in
essere con violenza o minaccia nei confronti di altri soggetti economici tendenzialmente operanti nello stesso settore (tra le altre, v. Sez. 3 sent. n. 46756 del

17/01/ 2011, Rv. 249212; Sez.3 sent. n. 16195 del 06/03/2013, Rv. 255398).
La disposizione sarebbe, perciò, inapplicabile agli atti di violenza o minaccia
non sostanziatisi in condotte illecite tipicamente concorrenziali, anche nel caso in
cui la finalità perseguita dall’agente si identifichi con la limitazione della libera
concorrenza (Sez 2, sent. n. 9763 del 2015; Sez. 2., sent. n. 29009 del 2014 ;
Sez. 3, sent. n. 16195 del 06/03/2013; Sez. 1, sent. n. 6541 del 2012; Sez.2,
sent. n. 35611 del 2007).
In altri termini, non sarebbe sufficiente ai fini dell’integrazione del reato la
circostanza che il comportamento dell’agente sia idoneo o appaia teleologicamente orientato al contrasto dell’altrui libera concorrenza, poiché il testo della
norma intende chiaramente isolare, dalla generalità degli atti violenti, gli specifici
atti di concorrenza, ancorché commessi secondo tale modalità.
Il secondo orientamento valorizza invece i connotati di violenza e minaccia con
cui si atteggia la condotta, accompagnata dal dolo specifico di inibire la concorrenza (Sez. 3, sent. n. 44169 del 22/10/2008; Sez. 1, sent. n. 19173 del
22/02/2005; Sez. 2, sent. n. 13691 del 15/03/2005; Sez. 2, sent. n. 6462 del
16/12/2010).
Secondo tale impostazione ermeneutica, posto che il bene giuridico tutelato
consiste non solo nel buon funzionamento dell’intero sistema economico ma
anche nella libertà delle persone di autodeterrninarsi nello svolgimento delle attività produttive, configura l’atto di concorrenza illecita ex art. 513-bis cod. pen.
qualsiasi comportamento violento o intimidatorio che sia idoneo ad impedire al
concorrente di avvalersi di tale libertà d’impresa.
Va poi dato conto anche di un terzo, risalente e minoritario orientamento secondo cui anche una condotta fraudolenta (nella fattispecie considerata si trattava dell’aggiudicazione di una gara d’appalto) in favore di un’impresa contigua ad
una associazione criminosa, resa possibile in virtù di un clima di intimidazione
creato dalla criminalità organizzata di stampo mafioso, può integrare gli estremi
dell’art. 513-bis c.p., in quanto di per sé lesiva di quella fondamentale legge di

14

03/ 11/ 2005; Sez. 2, sent. n. 20647 del 11/05/2010; Sez. 6, sent. n. 3018 del

mercato che vuole la concorrenza non solo libera ma anche lecitamente attuata
(così Sez. 2, sent. n. 131 del 09/01/1998, n. 131).
Il primo orientamento, definibile come restrittivo, possiede indubbiamente il
pregio di offrire una lettura esegetica fedele al testo normativo, anche se al prezzo di innegabili ricadute negative sulla reale efficacia della tutela apprestata alla
libertà di concorrenza.
Il secondo, favorevole ad un’applicazione della norma quanto più generalizzata
ed estesa non solo al di fuori del contesto del crimine organizzato, ma anche ad

cnico – giuridico di cui all’art. 2595 cod. civ., è invece rispondente ad un’interpretazione sistematica della norma che, comunque ancorata al dato testuale, ne
valorizza alcuni elementi nonché le finalità di politica criminale all’origine della
sua formulazione.
Il terzo orientamento, definibile estensivo, sembra ancor più in sintonia con le
citate finalità che hanno accompagnato l’introduzione della figura di reato (coeva
all’introduzione dell’art. 416-bis cod. pen., anch’essa operata con la legge n. 646
del 1982), ma finisce per essere del tutto sganciato dal dato testuale, con evidente compromissione dei principi di tassatività e di sufficiente determinatezza
della legge penale.
Tanto premesso, ritiene il Collegio di dovere, per le ragioni già sopra esposte,
aderire al secondo orientamento, rilevando di conseguenza come la ribadita
affermazione di responsabilità del ricorrente sia avvenuta nel rispetto della interpretazione dell’art. 513-bis cod. pen. che si reputa più adeguata al dato normativo vigente ed alle ragioni di ordine sistematico in precedenza indicate.
E’ vero, infatti, che la decisione impugnata sostiene che .
Detto altrimenti, la Corte territoriale sembra essersi limitata ad affermare che
ai fini dell’integrazione del reato basta in
quanto l’espressione <'utilizzazione della forza intimidatoria' può essere ricollegabile non ad una specifica, attuale condotta degli associati e di chi agisce in nome e per conto dell'associazione, ma ad una situazione creata da una pregressa, vigente ed attuale carica intinnidatrice dell'associazione che, in virtù delle promozioni di assoggettamento e omertà, non ha più bisogno di ricorrere a specifici comportamenti di violenza e minaccia> (pag. 109 sentenza).

15

eventuali atti di concorrenza sleale atipici e comunque non intesi nel senso te-

In realtà, nel prosieguo dell’esame della relativa posizione, la Corte d’appello
ha evidenziato il ruolo svolto in prima persona dal ricorrente nell’accordo Paganese – Sfraga (fonte testimoniale Costa Gianluca, già dipendente della Paganese)
nonché il suo decisivo intervento, allorquando Ignazio Miceli (autotrasportatore
siciliano, oggi deceduto, indicato come concorrente nel reato) si era ribellato ai
termini del patto, inalberandosi all’arrivo del Costa in Sicilia al fine di effettuare
un carico di merce.
Nell’occasione, peraltro, era stato richiesto l’intervento del ricorrente, indicato

presenza del Costa e di Frontoso Salvatore, rappresentanti della Paganese, così
da ottenere il risultato di farlo astenere dall’entrare in concorrenza con la società
dei Casalesi (pag. 115 sentenza).
La vicenda ora rievocata dimostra la piena riconducibilità della condotta in
addebito – l’avere cioè presieduto all’accordo tra la Paganese ed i fratelli Sfraga e
fatto da garante alla sua realizzazione, accompagnata da uno specifico atto di
violenza all’indirizzo di un operatore del settore dell’autotrasporto di prodotti
ortofrutticoli (Miceli) – all’ipotesi di reato di concorrenza illecita nell’accezione
interpretativa accolta dal Collegio.
Corretto appare, inoltre, il rilievo dei giudici d’appello che intanto il ricorrente
può avere esercitato quella funzione di tenore notarile, nell’universo di regole parallelo a quello legale proprio delle organizzazioni criminali, in quanto portatore
del cognome Riina, implicante assoluto e incondizionato rispetto nell’ambiente di
riferimento (pag. 110 sentenza).
Va di conseguenza osservato come del pari correttamente la Corte territoriale
abbia ritenuto irrilevante, ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art.
7 della legge n. 203 del 1991, la circostanza che il ricorrente non sia mai stato
formalmente affiliato a Cosa Nostra, atteso che dalle fonti probatorie acquisite
egli fungeva da uomo di fiducia dell’organizzazione ovvero di persona che,
proprio per il rapporto di stretta parentela con il capo riconosciuto, rientrava
(pagg. 111-112 sentenza).
Né rileva, inoltre e come anticipato, che gli stessi fratelli Sfraga, partecipi
dello accordo, non siano stati mai condannati per il reato di cui all’art. 416-bis
cod. pen., atteso che l’obiettiva funzionalizzazione dell’intervento del ricorrente
al rafforzamento del potere di Cosa Nostra nel settore dell’autotrasporto di
prodotti ortofrutticoli trascende il vantaggio che i suddetti Sfraga possono certamente avere conseguito del patto stipulato con la Paganese, società referente
nel medesimo settore del clan dei Casalesi.
Quanto all’impiego del metodo mafioso, operando tutti i protagonisti della vicenda all’interno di un condiviso sistema di regole proprio delle organizzazioni
16

ossequiosamente come Don Gaetano, il quale aveva dato un schiaffo al Miceli in

criminali, anche l’esercizio di una contenuta violenza (lo schiaffo al Miceli) è idoneo ad integrare l’aggravante de qua (v. pag. 120 sentenza).
Dalla decisione impugnata non emerge, del resto, la sussistenza di alcun altro
interesse suscettibile di giustificare l’intromissione del ricorrente nell’accordo, talché la spiegazione accolta che esso sia stato determinato dall’intento di garantire, in virtù della mera autorevolezza del cognome, la conclusione del patto tra
società costituenti diretta espressione delle due grandi organizzazioni criminali
(per i rapporti tra gli Sfraga e Cosa Nostra, si rinvia a pag. 116 della sentenza),

Va, infine, disattesa anche la censura inerente4 determinazione della pena, t
irrogata in misura prossima al massimo edittale, nonostante l’allegata età avanzata del ricorrente, il suo precario stato di salute e l’assenza di precedenti penali.
Le ragioni del trattamento di estremo rigore riservatogli sono state esposte con
chiarezza: autorevolezza criminale, dovuta alle ragioni sopra delineate e gravità
del reato, in funzione degli effetti gravemente distorsivi della concorrenza sul
mercato di riferimento, rappresentano i termini argomentativi della valutazione
operata dalla Corte territoriale.
Non costituendo prerogativa di questa Corte di Cassazione interferire nel processo di determinazione del trattamento sanzionatorio nei suoi risvolti quantitativi all’interno della cornice edittale di legge, ci si limita a rilevare che il ruolo di
garante dell’accordo e di notaio svolto dal ricorrente nel contesto del sistema di
regole alternativo a quello legale proprio delle grandi organizzazioni criminali, a
sua volta espressione di quel contropotere illegale che le stesse rappresentano
rispetto all’ordinamento dello Stato democratico, rende congrue le determinazioni assunte sul punto dalla Corte territoriale.

6. Sacco Almerico
L’impugnazione proposta da detto ricorrente svolge argomentazioni che, pur
contestando formalmente la configurabilità del reato di cui dell’art. 513-bis cod.
pen., finiscono tuttavia per investire direttamente il merito dell’accusa e le relative determinazioni del giudice di secondo grado.
Il punto cruciale di tutte le censure è, infatti, il seguente: le condotte ascritte
al capo Q.

e relative alla concorrenza illecita svolta nel settore

dell’autotrasporto ortofrutticolo in favore della società Junior Trasporti srl, costituirebbero in realtà la legittima reazione esercitata avverso le condotte altrettanto intimidatorie attuate dalla società Paganese Trasporti, nel contesto della
violenta contrapposizione tra il gruppo camorristico Alleanza di Secondigliano
(Junior Trasporti) ed il clan dei Casalesi (Paganese Trasporti).

17

si dimostra del tutto plausibile ed immune da censure di ordine logico.

La sentenza impugnata ha, infatti, ribadito la responsabilità di Almerico Sacco
(noto nell’ambiente come zio Vincenzo o anche solo Vicienz’) a titolo di concorso,
in qualità di extraneus, nel reato proprio di cui all’art. 513-bis cod. pen., ravvisando la sussistenza di un mandato verbale da lui conferito ai formali gestori
della Junior Trasporti, Cataldo Vincenzo e i suoi figli Domenico e Donato, di fare
quanto dovuto (Schiattategli anche la testa’) per attuare una ritorsione verso
titolari e dipendenti della Paganese Trasporti, in concreto tradottasi nell’aggressione compiuta il 24/11/2002 ai danni di due autisti della Paganese e dei dipen-

inviare merce in Sicilia; il relativo compendio probatorio è stato, inoltre, individuato nelle dichiarazioni di uno dei testimoni escussi (Mar. CC Limongi), in quelle
rilasciate dai collaboratori di giustizia Felice Graziano e Gianluca Costa ed infine
in un cospicuo numero di conversazioni oggetto di intercettazione (pag. 131
sent.).
Articolata nei termini sopra specificati, l’impugnazione risulta, tuttavia, manifestamente infondata.
L’art. 513-bis cod. pen., infatti, a prescindere dalle contrastanti interpretazioni
in ordine alla necessaria sussistenza o meno di condotte illecite tipicamente concorrenziali (v. supra sub 5., posizione ricorrente Riina), non autorizza letture
interpretative nel senso propugnato dal ricorrente.
Una volta ritenuta corretta l’opzione ermeneutica secondo cui qualunque comportamento violento o intimidatorio atto ad impedire al concorrente di avvalersi
della libertà d’impresa può integrare il reato, la previsione non autorizza alcuna
distinzione tra quanti partecipano ad una medesima contesa imprenditoriale in
cui tutti condividano il ricorso alle medesime logiche di affermazione della supremazia mediante intimidazione e/o violenza, talché deve ritenersi corretta la conclusione cui è pervenuta la Corte napoletana per cui la .
Gli ulteriori vizi dedotti (omessa e travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni, travisamento della prova dichiarativa con particolar riferimento alla
epoca in cui sarebbe intervenuto l’accordo spartitorio per il controllo del trasporto da e per i mercati ortofrutticoli tra i Casalesi e le organizzazioni criminali rivali,
motivazione apparente, illogica e contraddittoria su tali aspetti) riguardano,
invece, come anzidetto, il merito dell’accusa – delimitata oltre tutto in maniera
precisa dalla Corte territoriale che ha dichiarato non doversi procedere in ordine
ai fatti contestati ai capi Q1 e R1 per ne bis in idem ai sensi dell’art. 649 cod.
18

denti di un commerciante (tale De Feo) che si serviva dei suoi automezzi per

proc. pen. (pagg. 122-126 sent.) – e come tali improponibili in sede di legittimità
(art. 606, comma 3 cod. proc. pen.).
Del pari manifestamente infondata è la doglianza concernente la dedotta violazione dell’art. 7 della I. 12 luglio 1991, n. 203, sostenendo il ricorrente che in
nessun processo è mai emersa la sua appartenenza a qualsivoglia clan camorristico, ivi compreso quello all’epoca capeggiato dal defunto fratello Gennaro,
appartenente alla cd. Alleanza di Secondigliano.
Le ragioni della manifesta infondatezza consistono nel fatto che, pure a pre-

Maurizio Prestieri e Gennaro Russo) in ordine al ruolo concretamente ricoperto
dal ricorrente nell’ambito della cd. Alleanza di Secondigliano (f. 148 sent.), la
sussistenza dell’aggravante dell’impiego del metodo mafioso prescinde dalla
dimostrazione o anche della mera contestazione dell’immanenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino
alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo

(ex pluribus v. Sez. 2, sent. n. 16053 del

25/03/2015, Campanella, Rv. 263525; Sez. 2, sent. n. 322 del 02/10/2013, dep.
2014, Ferrise, Rv. 258103; Sez. 1, sent. n. 16883 del 13/04/ 2010, Stellato e
altri, Rv. 246753), circostanza nella fattispecie pacificamente sussistente ed anzi
costituente uno dei presupposti impliciti ma condivisi da parte dei gruppi malavitosi contrapposti.
La stessa circostanza è, inoltre, configurabile anche a carico di soggetti che
non facciano parte di alcuna associazione di tipo mafioso, ma pongano in essere,
nella commissione dei fatti addebitati, comportamenti minacciosi dalle caratteristiche sopra indicate (Sez. 2, sent. n. 38094 del 05/06/2013, PM in proc. De
Paola, Rv. 257065; Sez. 6, sent. n. 23153 del 16/05/2007, Niglia, Rv. 237091).
Quanto alla finalità di agevolazione degli scopi perseguiti dal gruppo criminale,
la Corte d’appello ha congruamente e sufficientemente argomentato mediante
rinvio alle propalazioni dei ricordati collaboratori di giustizia riguardo al ruolo
svolto dal ricorrente nell’ambito del gruppo camorristico di riferimento.
Manifestamente infondata è, infine, la censura di carente o apparente motivazione riferita al denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche,
che i giudici d’appello hanno adeguatamente argomentato in base alla gravità del
fatto in addebito ed ai numerosi precedenti penali a carico dell’imputato.

7. Sacco Gaetano
E’ invece fondato e deve essere accolto il ricorso proposto da tale ricorrente.
La Corte d’appello ne ha ribadito la responsabilità in base ad una complessiva
valutazione degli elementi probatori, rappresentati in primo luogo dalle dichiara19

scindere dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Salvatore Torino,

zioni rese dal teste Gianluca Costa e poi dagli esiti delle operazioni di intercettazione ambientale e telefonica, secondo cui il ricorrente risultava a pieno titolo
coinvolto nella gestione della Junior Trasporti e nelle dinamiche malavitose alla
stessa correlate; in tale contesto, ne è stata valorizzata la presenza ad alcuni
incontri con esponenti dell’avverso clan dei Casalesi a seguito dell’aggressione
perpetrata il 24/11/2002 ai danni di due autisti della Paganese Trasporti, per
concludere che al pari del germano Almerico anch’egli deve dirsi corresponsabile
a pieno titolo delle condotte intimidatorie e violente riferibili ai dipendenti della

sentenza).
Dal suo canto, il ricorrente protesta di non essere mai stato condannato per
associazione mafiosa, circostanza che trova, invero, riscontro nel corpo della
stessa decisione impugnata, là dove, passandone in rassegna i precedenti penali,
non si fa menzione di pregresse condanne per art. 416-bis cod. pen. (pag. 151
sentenza).
Non è, tuttavia, quello ora indicato l’elemento che induce questo Collegio ad
accogliere la doglianza difensiva.
Nel ricordare ancora una volta il contrasto interpretativo che tuttora caratterizza la giurisprudenza in tema di art. 513-bis cod. pen., resta tuttavia fermo che
esso costituisce un reato proprio a forma vincolata, secondo la versione più rigorista integrato dalla commissione di un atto di concorrenza propriamente inteso e
secondo quella più estensiva, qui condivisa, da un qualsiasi atto di intimidazione
e/o violenza connotato dal dolo specifico, che può ovviamente essere consumato
anche da un estraneo all’attività o al settore imprenditoriale considerato,
secondo le forme proprie del concorso personale nel reato di cui all’art. 110 cod.
pen.
Ebbene, se nel caso del germano Almerico Sacco è stato congruamente valorizzato lo specifico apporto causale al medesimo riferibile, integra to da quel
mandato puramente verbale ma senza dubbio cogente tipico delle organizzazioni
criminali riferito all’aggressione degli autisti del clan dei casalesi nel novembre
2002, non è dato dalla sentenza desumere alcun apporto specifico riferibile al
ricorrente a quel rilevante atto di concorrenza illecita.
Non è sufficiente, infatti, ad integrare l’ipotesi di concorso dell’extraneus nel
reato proprio in esame, un interesse, quand’anche specifico, alla gestione
dell’organismo economico coinvolto nell’anomala vicenda concorrenziale, pena
l’ulteriore dilatazione dell’ambito applicativo dell’art. 513-bis cod. pen. e la surrettizia sua trasformazione da reato di evento (l’atto intimidatorio e/o violento)
ad illecito di pura condotta.

20

Junior, integranti il reato di cui all’art. 513-bis cod. pen. (pagg. 135-136

La decisione impugnata va, dunque, annullata su tale punto, spettando ad
altra Sezione della Corte territoriale individuare ed argomentare in ordine a distinti elementi probatori atti a dar conto di uno specifico apporto fornito dal
ricorrente all’aggressione del 24 novembre 2002.
Valgono, invece, per le altre doglianze, le identiche considerazioni svolte per il
germano Almerico Sacco in punto sufficienza argonnentativa della decisione
impugnata, quanto a contestazione e sussistenza dell’aggravante speciale di cui
all’art. 7 I. n. 203 del 1991 nonché adeguatezza della motivazione in tema di

8. Schiavone Francesco di Luigi
L’impugnazione proposta da tale ricorrente deve essere accolta nei limiti di
seguito precisati.
Va, tuttavia preliminarmente rilevata l’infondatezza delle censure concernenti
la parte più significativa della composita imputazione ascrittagli, riferita alla
partecipazione con ruolo direttivo al clan camorristico dei Casalesi.
Il ricorrente sostiene che l’affermazione di responsabilità è stata illogicamente
ritenuta e ribadita in grado di appello in assenza di prove sia della partecipazione
sia del ruolo direttivo ricoperto, non essendo stato dalla Corte territoriale
considerato lo stato di detenzione in regime speciale ex art.

41-bis O.P.

protrattosi dal marzo del 2004 fino al 2005 ed in mancanza di elementi probatori
specifici circa la persistenza di contatti con gli associati, anche ai fini del mantenimento del ruolo apicale che gli viene attribuito.
Tanto premesso, siccome la decisione è sul punto tacciata di manifesta illogicità, rileva il Collegio che la Corte territoriale ha ampiamente e congruamente
motivato al riguardo, ricordando i persistenti contatti mantenuti dal ricorrente
con il nipote Carlo Del Vecchio – con colui, cioè, che da varie fonti testimoniali è
stato indicato come il vero dominus della Paganese Trasporti (pag. 168 sentenza) – il quale aveva scontato .

trattamento sanzionatorio.

E’ stato, inoltre, richiamato il contenuto delle intercettazioni telefoniche ed
ambientali quale compendio probatorio dimostrativo del ruolo apicale ricoperto
all’interno del clan dei Casalesi – fazione Schiavone, confermato dalle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia anche nell’ambito di distinti procedimenti riguardo all’ascesa criminale di Francesco Schiavone di Luigi, noto nel
clan come ‘Cicciariello’ (pagg. 163-164 sentenza).
Coerentemente col ruolo direttivo ricoperto, al ricorrente è stata, pertanto,
ascritta la diramazione di ordini e direttive, ciò che ha indotto la Corte territoriale
– in maniera immune di vizi di ordine logico – a ritenere non ostativo a detti fini
il periodo di detenzione a regime speciale dal lui patito.
21

cff

L’impugnazione risulta, invece, fondata quanto alla denegata applicazione della
continuazione rispetto a precedenti condanne riportate per il reato di cui all’art.
416-bis cod. pen. in relazione alla partecipazione al clan dei Casalesi.
Sul punto il ricorrente ha svolto una considerazione che il Collegio reputa pregnante: è illogico sostenere che lo stato di detenzione non abbia interrotto la sua
partecipazione al gruppo criminale e per contro affermare che lo stesso gruppo
abbia mutato natura sol perché i reati fine commessi nel periodo successivo a
quello di detenzione sono stati di natura diversa rispetto a quelli riferiti al periodo

La Corte d’appello ha argomentato tale statuizione sostenendo che dopo il
periodo di detenzione sono stati stretti nuovi e diversi accordi criminosi, ma la
motivazione appare speciosa e sostanzialmente apodittica, richiamando oltre
tutto principi giurisprudenziali in maniera non del tutto appropriata.
In tema di reato continuato, la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione
ha, infatti, affermato che (Sez. 1, sent. n. 32475 del 19/06/2013,
Taraore, Rv. 256119; Sez. 4, sera. n. 20169 del 06/03/2007, Antonucci e altri,
Rv. 236611; Sez. 5, sent. n. 2851 del 12/02/1999, Ciancio V, Rv. 212605).
Più in particolare poi e con riferimento al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.,
si è affermato che (Sez. 1, sent. n. 38486 del
19/05/2011, Rinzivillo, Rv. 251364).
La tendenza interpretativa pare, dunque, nel senso opposto a quello ritenuto
dalla Corte territoriale e cioè che a fronte di un gruppo criminale di stampo mafioso, specie se radicato anche in senso territoriale (sul punto si rinvia alle
indicazioni riportate a pag. 164 della sentenza impugnata), lo stato di detenzione
22

antecedente, costituenti oggetto delle sentenze ormai divenute irrevocabili.

non determina affatto l’incompatibilità del vincolo della continuazione con il reato
permanente, quando la frazione della condotta associativa successiva alla detenzione stessa si ponga in rapporto di sostanziale continuità rispetto alla precedente, in vista degli obiettivi di consolidamento ed affermazione propri di quel
gruppo criminale.
La decisione impugnata va, pertanto, annullata sul punto, ad altra sezione della Corte territoriale spettando il compito di vagliare nuovamente la questione alla
luce del principio di diritto ora affermato.

al reato di intestazione fittizia delle quote della Paganese Trasporti (capo B).
Secondo i giudici d’appello, conformemente a quanto stabilito da quelli in primo grado, le ripetute modifiche intervenute nella composizione personale della
Paganese Trasporti & C snc nel periodo 2003 – 2005 fino alla trasformazione nel
2008 in società cooperativa, accompagnata da parziale redistribuzione delle relative quote (vicende ricostruite a pag. 194 della sentenza), hanno avuto quale
precipuo scopo quello di impedire agli inquirenti di risalire all’effettiva titolarità
dell’organismo economico e di prevenire l’adozione di misure ablative di prevenzione.
La statuizione trova riscontro nelle plurime risultanze istruttorie riguardanti la
sostanziale riferibilità della società al ricorrente (la sentenza lo definisce socio di
fatto ovvero occulto, pag. 192), attraverso il nipote Carlo Del Vecchio (pagg.
164-179) e tiene conto della fondamentale circostanza che egli è stato già condannato per art. 416-bis c.p. per appartenenza al clan dei Casalesi fino al 1996 e
in distinto processo fino al 2000.
Detta valutazione può, dunque, essere contrastata nel merito ed in tal modo
si è determinato il ricorrente nel giudizio di secondo grado, ma si rivela inoppugnabile sotto il profilo dell’argomentazione logica e conforme sul piano dogmatico ai principi che regolano il concorso di persone nel reato (art. 110 cod. pen.)
in relazione ad una figura d’illecito, quale l’art. 12-quinquies I. n. 356 del 1992,
non costituente neppure reato proprio.
Va, infine, disattesa la censura riguardante l’imputazione di cui al capo C
(reato di illecita concorrenza).
Ribadita una volta ancora l’opzione del collegio per l’interpretazione dell’art.
513-bis cod. pen. nei termini indicati al precedente punto 5, la decisione impugnata si rivela immune da censure, dal momento che evidenzia in maniera
compiuta la sussistenza di elementi probatori atti a dimostrare che tutte le
condotte di alterazione violenta della concorrenza poste in essere dai formali
responsabili della Paganese e in primo luogo da Costantino Pagano, sono avvenute con preventivo assenso e pieno sostegno del ricorrente.
23

E’, invece, infondata la censura concernente la ribadita responsabilità in ordine

Quanto agli specifici atti di intimidazione e/o violenza nei confronti di singoli
commercianti, oltre al contenuto di telefonate intercorse tra terzi e riguardanti i
metodi impiegati dalla Paganese per affermarsi nel mercato dell’autotrasporto
ortofrutticolo su gomma (quella tra Pagano Costantino e Gianluca Costa indicata
a pag. 188, quella tra Luigi Terracciano e tale Campisi di Siracusa a pag. 190
nonché le linee di comportamento da assumere nei confronti del riottoso
commerciante Di Gregorio esposte da e captate nei confronti di Paolo Del
Vecchio, pag. 191), la Corte territoriale ha ritenuto che la condotta dei titolari

Cataldo ed alla Junior Trasporti sia stata sempre sostenuta e preventivamente
approvata dal ricorrente (significativa l’indicazione della telefonata intercorsa tra
Costantino Pagano e Salvatore Frontoso a pag. 179 della sentenza), nel che si
rinviene il suo contributo causale all’ipotesi di reato in addebito.

9. Schiavone Paolo
Va, invece, dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza l’impugnazione
proposta da detto ricorrente.
La Corte d’appello ha preso in debita considerazione ma disatteso in maniera
particolarmente argomentata le doglianze formulate con i motivi d’appello, sia
quelle di carattere procedurale (tenore e significato attribuito alle conversazioni
oggetto di captazione, pagg. 209-210; necessità o meno dell’esistenza di riscontri ed applicabilità dell’art. 192, commi 2 e 3 cod. proc. pen., pagg. 211-212;
valore attribuito alle video riprese ai fini dell’identificazione personale del ricorrente, pagg. 217-218) che sostanziale (è stata ritenuta infondata la tesi della
fornitura di servizi di pubblicità in favore della Paganese, pagg. 213-217;
inattendibile la deposizione a discarico del teste Nicola Madonna, riconosciutosi
nel soggetto ripreso nelle video registrazioni, pagg. 218-220; sono state reputate per contro attendibili le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gianluca
Costa di avere incrociato l’imputato alcune volte presso gli uffici della Paganese,
pagg. 220-221, corroborate anche da quelle rese dl’altro collaboratore Raffaele
Piccolo, pagg. 220-221), talché la deduzione dei vizi di mancanza o manifesta
contraddittorietà della motivazione, anche sotto forma di travisamento della
prova risulta palesemente destituita di fondamento.
Altra cosa è, evidentemente, la mancata condivisione nel merito delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici d’appello, situazione peraltro insuscettibile di
integrare vizio rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 606 cod. proc. pen.
Rilevata l’omessa impugnazione dell’affermazione di responsabilità in ordine al
reato di cui all’art. 12-quinquies I. n. 356 del 1992 (capo B), la penultima

24

della Paganese nell’ambito della contesa violenta che l’ha opposta alla famiglia

censura investe la motivazione della disposta confisca per sproporzione ai sensi
dell’art. 12-sexies della medesima legge.
Il ricorrente sostiene la tesi che la mancata acquisizione al compendio probatorio del verbale dell’esame di un consulente di parte, svoltosi nell’ambito di un
distinto procedimento di prevenzione, sia non solo illegittima per violazione
dell’art. 431 cod. proc. pen., ma abbia anche privato la Corte territoriale di
decisivi elementi di valutazione per stabilire la provenienza dei beni oggetto del
provvedimento di confisca, dolendosi di conseguenza della mancata rinnovazione

A tale riguardo, il Collegio si limita a rilevare che la Corte d’appello ha ricostruito in dettaglio la storia processuale di tale documento, ricordando come esso
fosse già a disposizione della difesa del ricorrente dalla fase delle indagini preliminari e come ne fosse stata concordata con il PM l’acquisizione agli atti nel
giudizio di primo grado; all’accordo intervenuto con la parte pubblica non aveva,
però, fatto seguito la sua materiale produzione (pag. 236 sentenza).
Ne deriva che il ricorrente non può che imputare l’omissione esclusivamente a
sé stesso e non al già PM, assuntosi l’onere di produzione a titolo di mera cortesia, con la conseguenza che la dedotta violazione dell’art. 431, comma 2 cod.
proc. pen. appare palesemente destituita di fondamento.
L’ultima doglianza, ribadita con forza nella memoria aggiuntiva, riguarda, infine, l’entità del trattamento sanzionatorio, che il ricorrente reputa sperequato
rispetto a quello riservato ad altri imputati (Fasanella, Pagano) tanto da definirlo
arbitrario (pag. 8 memoria) e minimamente rispettoso del contegno processuale
mantenuto e delle scelte di vita susseguenti al reato, indicativi di rilevanti e positivi mutamenti nella propria personalità.
Articolato in detti termini il motivo è, tuttavia, improponibile (art. 606, comma
3 cod. proc. pen.), atteso che la determinazione del trattamento sanzionatorio
costituisce prerogativa esclusiva del giudice di merito, che nella specie la ha
esercitata sulla base di considerazioni immuni di vizi di ordine logico, incentrate
essenzialmente sul ruolo apicale ricoperto dal ricorrente nell’ambito del gruppo
criminale, ritenuto elemento preponderante rispetto a quelli di segno positivo pur
riscontrati in corso di giudizio (pag. 238 sentenza).
Né è dato nell’ordinamento ravvisare un principio di tendenziale parità di trattamento tra soggetti coinvolti nell’ambito di un medesimo procedimento penale,
atteso che le finalità per cui la pena è irrogata sono stabilite, anche per espresso
dettato costituzionale (art. 27 Cost.), sempre in funzione della specifica personalità dell’imputato.

25

dell’istruttoria dibattimentale sul punto.

v

10. Per le composite ragioni sopra indicate, la sentenza impugnata deve essere
annullata quanto alla posizione di Gaetano Sacco e limitatamente all’applicazione
dell’art. 81 cod. pen. con riferimento alla posizione di Schiavone Francesco, con
conseguente rinvio degli atti ad altra sezione della Corte territoriale; va rigettato
in parte il ricorso dello stesso Schiavone Francesco nonché quello di Gaetano
Riina; inammissibili tutti gli altri ricorsi.

annulla la sentenza impugnata con riferimento a Sacco Gaetano e limitatamente all’applicazione dell’art. 81 cod. pen. con riferimento a Schiavone Francesco e rinvia per nuovo giudizio sui punti ad altra sezione della Corte d’Appello di
Napoli; rigetta nel resto i ricorsi dei predetti ricorrenti.
Rigetta il ricorso di Riina Gaetano che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Fasanella Salvatore, Pagano Antonio, Panico
Antonio, Sacco Almerico e Schiavone Paolo che condanna al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello della somma di C 1.500,00 (millecinquecento) in favore della cassa delle ammende.

Roma, 13/0/2016

P. Q. M.

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