Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21734 del 22/12/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21734 Anno 2018
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TURIACO SALVATORE nato il 08/08/1952 a MESSINA

avverso l’ordinanza del 16/05/2017 della CORTE APPELLO di MESSINA
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
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Data Udienza: 22/12/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, resa il 16 – 30 maggio 2017, la Corte di
appello di Messina ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal difensore di
Salvatore Turiaco avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Messina che giudicando il Turiaco, imputato del reato di cui all’art. 76 d.lgs. n. 159 del 2011,
per non avere ottemperato nel termine e con le modalità stabilite dal Tribunale
di Messina, Sezione misure di prevenzione, in ordine al versamento della

ritenuto responsabile del reato ascrittogli e lo aveva condannato alla pena di
mesi sei di arresto.
1.1. La Corte territoriale, a ragione del provvedimento assunto, ha osservato
che l’appello difettava della necessaria specificità dei motivi, essendosi limitate le relative deduzioni – ad affermare che l’imputato doveva essere assolto per
insussistenza del fatto, sulla base dell’esame della documentazione ISEE, o che,
comunque, al Turiaco andavano riconosciute le circostanze attenuanti generiche,
considerando la modesta intensità del dolo, con conseguente determinazione
della pena in misura meno rigorosa: stanti questi elementi identificativi dell’atto,
il gravame era del tutto privo di argomenti ed allegazioni utili per l’effettuazione
del controllo da parte del giudice di appello su punti specifici e per specifiche
ragioni, dovendo l’appello, per essere ammissibile, contenere ragioni idonee a
confutare e sovvertire la decisione impugnata sul piano logico e strutturale e non
essendo sufficiente la mera introduzione di un nuovo giudizio.
1.2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Turiaco
chiedendone l’annullamento e formulando un unico motivo con cui ha lamentato
violazione di legge e motivazione carente ed illogica, in relazione al disposto
della norma incriminatrice, l’art. 76, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011.
L’inammissibilità dell’appello era stata dichiarata senza tener conto della
documentazione ISEE relativa all’anno in contestazione, dal cui riscontro sarebbe
emersa l’impossibilità per l’imputato di onorare l’imposizione avente ad oggetto il
pagamento della cauzione. L’interpretazione della norma incriminatrice esigeva
la prova, quanto meno, della colpa dell’obbligato al pagamento della cauzione,
sicché la materiale impossibilità di provvedere al suo versamento per mancanza
di disponibilità economica in capo al Turiaco ne comportava la esenzione da
responsabilità: e ciò alla Corte di appello era stato chiesto di accertare.
1.3. Il Procuratore generale ha prospettato il rigetto del ricorso, con le
statuizioni consequenziali, osservando che l’ordinanza della Corte territoriale
aveva motivato in modo sintetico ma sufficiente in ordine al fatto che l’appello
era sfornito di argomenti ed allegazioni utili per operare il controllo su punti

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cauzione di euro 1.000,00,, accertato in Messina, il 19 marzo 2013 – lo aveva

specifici della decisione di primo grado in base a ragioni altrettanto specifiche; la
genericità dei motivi – che nella specie avrebbero dovuto inerire all’allegazione
dei fatti impeditivi del pagamento – comportava l’inammissibilità dell’appello.

2. Il ricorso è inammissibile, atteso che la censura articolata risulta
sostanzialmente aspecifica.
2.1. L’impostazione, rigorosa e corretta, della Corte di merito ha
fondatamente messo in chiaro che nella sentenza di primo grado la

ragione per la quale essa non forniva dati attendibili ai fini della decisione
sull’accusa penale elevata a carico del Turiaco, con riferimento a tutti gli
elementi del relativo reato, ivi incluso quello soggettivo.
Orbene, sull’argomento, l’atto di appello – omettendo all’evidenza di
confrontarsi con la motivazione resa dal primo giudice – aveva lamentato la
mancata considerazione di tale documentazione: deduzione obiettivamente
carente dei requisiti di ammissibilità, poiché obliterava, senza confutarla, l’analisi
compiuta dal Tribunale sullo stesso, decisivo argomento.
E’, in ogni caso, da aggiungere, sebbene il ricorso oggetto del presente
esame non abbia elevato specifica censura in merito, che la motivazione resa dal
primo giudice sul diniego delle circostanze attenuanti generiche non era stata
criticata con specificità nell’atto di appello, nel quale il Turiaco si era limitato ad
evidenziare il carattere primario del parametro della gravità del fatto, quasi che
lo stesso non fosse stato preso in considerazione: invece, il Tribunale lo aveva
menzionato e lo aveva considerato espressamente nella sua valutazione.
2.2. Posto ciò, deve osservarsi che l’ordinanza emessa dalla Corte di appello
ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. si è conformata al
principio di diritto, già ribadito dalla giurisprudenza di legittimità nella
composizione più autorevole e qui condiviso, secondo cui “l’appello, al pari del
ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi
quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici
rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione
impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico
dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette
ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato” (Sez. U, n. 8825 del
27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; v., fra le successive, Sez. 2, n.
49191 del 12/10/2017, Malvone, Rv. 271323).
2.3. Dai rilievi che precedono deriva l’inammissibilità del ricorso, a cui
consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati

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documentazione ISEE era stata considerata dal Tribunale che aveva spiegato la

all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una
somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in rapporto alle
questioni dedotte, si reputa equo fissare in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso il 22 dicembre 2017

Il Cons liere e tensore
ncenzo ‘ani

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