Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21732 del 07/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21732 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bersani Luca, nato a Trento il 08/04/1980

avverso l’ordinanza del 17/07/2015 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Bolzano

visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria depositata dal
ricorrente;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Francesca Loy, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con il provvedimento impugnato veniva rigettata l’opposizione proposta da
Luca Bersani avverso il decreto del Procuratore della Repubblica presso il

Data Udienza: 07/04/2016

Tribunale di Bolzano del 05/03/2015, con il quale era respinta l’istanza di
dissequestro e restituzione di telefonici cellulari, computers e supporti informatici
sequestrati nel procedimento a carico del Bersani per il reato di cui all’art. 612-

bis cod. pen. ipotizzato come commesso in danno di Shalini Mary Durante.
L’indagato ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla
ritenuta efficacia del sequestro in mancanza di convalida; il sequestro sarebbe
stato effettuato dalla polizia giudiziaria in esecuzione di un provvedimento,
emesso dal Procuratore della Repubblica il 09/02/2015, da intendersi come

perquisizione e contestuale sequestro, in quanto lasciava alla polizia giudiziaria
ampia discrezionalità nell’individuazione delle cose da sequestrare e nelle
modalità di esecuzione, ed avrebbe avuto ad oggetto anche beni appartenenti
alla madre dell’imputato ed alla società della quale la stessa era legale
rappresentante, e rinvenuti in luoghi diversi dall’abitazione e dall’autovettura
dell’indagato; il riferimento del provvedimento impugnato all’indicazione del
decreto sulla necessità di acquisire elementi di prova in ordine alla riconducibilità
all’indagato dell’indirizzo di posta elettronica, da cui risultavano partite missive
dirette alla persona offesa del reato, non sarebbe sufficiente per una puntuale
identificazione dei beni da sequestrare, avendo ad oggetto una mera finalità
investigativa che costituisce presupposto della legittimità della perquisizione;
l’argomentazione del giudice di merito porterebbe peraltro a ritenere superflua la
stessa previsione del provvedimento di sequestro di cui all’art. 253 cod. proc.
pen., potendosi giungere agli stessi risultati con la possibilità di sequestro dei
beni rinvenuti a seguito di perquisizione ai sensi dell’art. 252 cod. proc. pen.;
non vi sarebbe comunque motivazione sugli ulteriori richiami del decreto di
perquisizione al sequestro di altre cose in ogni caso utili alle indagini ed alla
prova dei rapporti fra l’indagato, la persona offesa ed eventuali altri soggetti;
sarebbe irrilevante quanto affermato nel provvedimento reiettivo del Procuratore
della Repubblica in ordine al contrasto della restituzione dei beni con la riserva di
incidente probatorio formulata dalla difesa in sede di conferimento dell’incarico
per accertamento tecnico non ripetibile, essendo stata detta riserva espressa con
salvezza delle impugnazioni proposte.
Il ricorrente ha depositato memoria a sostegno della richiesta di
accoglimento del ricorso.

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decreto di perquisizione con eventuale sequestro di quanto rinvenuto e non di

.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Le problematiche poste dal ricorrente riguardano per un verso la possibilità
e i termini della qualificazione del provvedimento del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Bolzano del 09/02/2015, in esecuzione del
quale veniva effettuato il sequestro dei beni di cui si discute, come decreto di
sequestro oltre che di perquisizione, e per altro la riconducibilità dei beni in

entrambi i quesiti la conclusione del provvedimento impugnato sull’esclusione
della necessità che il sequestro venisse convalidato e sulla conseguente
legittimità del mantenimento del sequestro nel momento in cui detta convalida
non veniva disposta.
Per il primo aspetto, non vi è dubbio che, come rammentato nel ricorso, non
sia possibile qualificare come decreto di perquisizione e contestuale sequestro un
provvedimento che, ordinando la perquisizione di determinati luoghi, rimetta alla
discrezionalità della polizia giudiziaria l’individuazione delle cose da sequestrare
(Sez. 2, n. 51867 del 20/11/2013, Gaeta, Rv. 258074; Sez. 5, n. 43282 del
17/10/2008, Vastola, Rv. 241727). Una siffatta condizione non è tuttavia
ravvisabile laddove l’oggetto del sequestro laddove il provvedimento identifichi le
predette cose con sufficiente certezza; esclusa, quest’ultima, dalla generica
indicazione di pertinenza di quanto eventualmente rinvenuto rispetto al reato
ipotizzato (Sez. 3, n. 12390 del 02/03/2010, C., Rv. 246464; Sez. 6, n. 1517 del
29/04/1999, De Blasio, Rv. 2145089).
Orbene, nel testo del decreto in esame, allegato anche al ricorso, risulta
dapprima precisato l’intento investigativo di accertare se gli indirizzi di posta
elettronica paolo.murano@gmail.com e paolo.murano@yahoo.com , dai quali
risultavano inviate missive persecutorie nei confronti della persona offesa,
fossero o meno riferibili al Bersani; e successivamente indicato l’oggetto del
sequestro in

computers, telefoni cellulari e supporti informatici, idonei ad

effettuare tale accertamento, da ricercare presso l’abitazione dell’indagato e gli
uffici dallo stesso utilizzati presso due imprese, fra le quali la La Fenice s.n.c.,
amministrata dalla madre dell’indagato Gabriella Ambrosini. Di seguito, si
disponeva con il decreto il sequestro di quanto precedentemente specificato e,
inoltre, delle cose ritenute in ogni caso utili per le indagini anche ai fini della
ricostruzione dei rapporti fra l’indagato, la persona offesa ed altri soggetti.
Tale essendo il contenuto dispositivo del decreto di perquisizione,
l’affermazione del provvedimento impugnato, per la quale quel decreto
individuava adeguatamente i beni da ricercare ed assumeva, rispetto agli stessi,
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concreto sequestrati ai termini di cui sopra; dipendendo dalla risposta positiva ad

natura di contestuale decreto di sequestro, è corretta e conforme ai principi
richiamati relativamente al riferimento ad oggetti informatici e telefonici utili a
verificare il rapporto fra il Bersani e gli indirizzi di posta elettronica specificati. In
questa parte, il decreto del 09/02/2015 forniva infatti, nella descrizione della
natura oltre che della funzionalità probatoria degli oggetti, elementi che,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, vincolavano in limiti
sufficientemente definiti l’operato della polizia giudiziaria, non rimettendone
l’operato ad una generica valutazione di pertinenza al reato per il quale si

E’ ben vero che, come osservato nel ricorso, il decreto di cui sopra
conteneva anche una disposizione di sequestro di cose più ampiamente indicate
come utili per le indagini, per la quale non possono essere formulate conclusioni
analoghe in termini di puntuale identificazione degli oggetti da sottoporre a
sequestro. Diviene tuttavia rilevante a questo punto verificare se i beni in
concreto sequestrati, ai quali soli attiene il ricorso in quanto diretto contro il
provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro dei beni stessi, siano
riferibili alla prima disposizione del decreto, ovvero quella che si è detto essere
congruamente identificativa delle cose da ricercare e come tale qualificabile
come provvedimento di sequestro, ovvero alla seconda e più estesa previsione,
che viceversa affidava completamente agli esecutori del decreto l’individuazione
degli oggetti da sequestrare, in quello che si sarebbe risolto a quel punto
nell’esercizio dell’autonomo potere attribuito in materia alla polizia giudiziaria.
Dall’esame dei verbali in atti emerge in questo senso come il sequestro
abbia interessato unicamente telefoni cellulari, computers, dischetti e chiavette
elettroniche; e quindi oggetti pienamente corrispondenti alla disposizione del
decreto di perquisizione costituente provvedimento di contestuale sequestro, del
quale l’apprensione dei beni costituiva pertanto esecuzione.
Le censure del ricorrente sulla genericità delle ulteriori disposizioni del
decreto sono conseguentemente irrilevanti, non avendo le stesso trovato
effettiva esecuzione. Sono altresì infondate le doglianze relative ai luoghi di
esecuzione del sequestro, in quanto gli stessi risultano dai verbali corrispondere
all’abitazione in Trento, ove avevano sede entrambe le imprese menzionate nel
decreto, e ad altra abitazione in Vetriolo Terme presso un residence gestito da
una di dette imprese, ossia la La Fenice; e quindi a sedi indicate nel decreto
come in uso all’indagato. Mentre gli ulteriori rilievi sul richiamo del
provvedimento reiettivo del Procuratore della Repubblica alla riserva di incidente
probatorio formulata dalla difesa sono inconferenti, trattandosi di un tema non
riproposto nel provvedimento impugnato e superato dalle considerazioni che
precedono.

procede.

Il vincolo sui beni, la cui restituzione veniva negata, era pertanto
correttamente efficace in quanto derivante dall’esecuzione di un provvedimento
dispositivo di sequestro, e pertanto non necessitante di convalida. Il ricorso deve
quindi essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/04/2016

P. Q. M.

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