Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21718 del 30/03/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21718 Anno 2018
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Minniti Giuseppe, nato a Reggio Calabria il 17/12/1967

avverso l’ordinanza del 28/10/2015 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Ciro Angelillis, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 ottobre 2015 la Corte di appello di Milano, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata da
Giuseppe Minniti, volta a ottenere l’applicazione della disciplina del reato
continuato, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., tra i reati giudicati con le
sentenze di condanna indicate nella istanza, riprese nella premessa
dell’ordinanza ed emesse:

Data Udienza: 30/03/2017

- la prima, ex art. 444 cod. proc. pen., il 22 maggio 2013 dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Monza, irrevocabile il 16 luglio 2013, per i
reati di cui agli artt. 497-bis e 648 cod. pen., commessi in epoca anteriore e
prossima al 15 ottobre 2011;
– la seconda il 15 novembre 2005 dalla stessa Corte, irrevocabile il 6 giugno
2014, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., commesso dal 2 settembre
2008.
La Corte, che premetteva il richiamo ai principi di diritto fissati dalla

esecutiva, riteneva che i fatti oggetto della richiesta non fossero riconducibili a
un unico disegno criminoso, rilevando, a ragione della decisione, che:
– la formazione dei falsi documenti, di cui alla prima sentenza, non poteva
considerarsi reato fine rispetto all’appartenenza all’associazione di tipo mafioso
denominata ‘ndrangheta, operativa nel 2008, poiché risaliva a epoca anteriore e
prossima al 15 ottobre 2011, mese in cui era cessata la latitanza dell’istante
raggiunto da ordinanza custodiale del luglio 2010;
– in ogni caso, non essendo configurabile, per costante giurisprudenza, la
continuazione tra il reato associativo e i reati fine legati a circostanze ed eventi
contingenti e occasionali e, come tali, non programmabili ab origine, neppure
sussistevano elementi valutativi dai quali fosse desumibile la programmazione
dei reati commessi nell’ottobre 2011 sin dal momento dell’ingresso dell’istante
nel sodalizio;
– in tal senso era pertinente anche il rilievo del Procuratore generale che la
falsificazione di un documento di identità per mantenere la latitanza non poteva
ritenersi correlata al medesimo disegno criminoso con il reato per il quale si era
deciso di sottrarsi alla esecuzione della pena, in quanto l’elemento volitivo
relativo era successivo alla emissione eventuale di un provvedimento restrittivo
della libertà;
– non era conferente e comunque vincolante quanto statuito per altri
soggetti e per altri reati nella stessa seconda sentenza, attesa l’additiva
contestazione per detti reati dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991
e la stretta ravvisata connessione tra i fatti e l’attività dello specifico «locale
‘ndranghetista».

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore di fiducia avv. Rocco Femia, l’interessato Minniti, che ne chiede
l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia violazione di
legge, in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 125 e 671 cod. proc. pen., e

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giurisprudenza di legittimità in tema di disciplina del reato continuato in sede

mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del medesimo
disegno criminoso.
Secondo il ricorrente, la Corte, che ha definito non correttamente i reati di
ricettazione e di confezionamento del falso documento -contestati come
commessi in data anteriore e prossima al 15 ottobre 2011 e giudicati con la
prima sentenza-, indicandoli come commessi nell’ottobre 2011, senza
considerare che la data indicata è evidentemente quella di accertamento, non ha
fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui il giudice

continuazione, la valutazione già operata in fase di cognizione potendo
prescinderne solo dimostrando l’esistenza di specifiche e significative ragioni in
senso contrario.
A mezzo memoria era stato, in particolare, rappresentato che con la
sentenza del 23 aprile 2013 la Corte di appello aveva riconosciuto il vincolo della
continuazione tra il reato associativo e i reati di ricettazione e di falso commessi
dai coimputati durante la latitanza, mentre la motivazione resa è del tutto
apparente e avulsa dalle risultanze processuali.
L’utilizzo del documento falso, cui hanno fatto ricorso più associati ed egli
stesso, si è posto come espediente concepito ab initio per conservare l’eventuale
latitanza e mantenere un ruolo dinamico e funzionale.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per
il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato, non sussistendo i denunciati vizi
di legittimità sotto entrambi i profili prospettati.

2. Quanto al primo profilo, correlato alla denunciata mancata valorizzazione
di sussistenti elementi valutativi della continuazione, deve rimarcarsi che,
secondo principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, non è
configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati-fine che, pur
rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati
al rafforzamento del medesimo, non erano programmabili ab origine perché
legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non
immaginabili al momento iniziale dell’associazione stessa ovvero dell’adesione a
essa del soggetto interessato (tra le altre, Sez. 5, n. 23370 del 14/05/2008,
Pagliara, Rv. 240489; Sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011, Bosti, Rv. 249930; Sez.

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dell’esecuzione non può trascurare, al fine del riconoscimento del vincolo della

6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Amato, Rv. 259481), e la unitaria genesi
programmatica dei reati, costituente presupposto essenziale per il
riconoscimento del vincolo della continuazione, non coincide con l’atteggiamento
mentale di chi, persistendo nell’adesione all’associazione criminosa, persevera
anche nella commissione dei reati attuativa dei suoi scopi criminali in forza di
una rinnovata adesione, psicologica e materiale, agli stessi, e non di un
originario atto volitivo.
È in linea con detti principi lo sviluppo decisionale dell’ordinanza, che,

dato, ha sottolineato l’ontologica incompatibilità delle azioni od omissioni,
generate da eventi non prevedibili ab origine, con l’istituto della continuazione
rettamente inteso, impedendone il riconoscimento, e la non confondibilità del
programma delinquenziale generico, che giustifica la reiterazione nel tempo della
condotta criminosa, o che sostiene l’associazione criminosa, con l’identità e
originarietà del disegno criminoso che presiede all’indicato istituto.
Con dette premesse è, infine, coerente la sintesi conclusiva cui è pervenuto
il Giudice dell’esecuzione, che, esclusa la sussistenza di elementi da cui inferirsi
che i reati commessi nell’ottobre 2011 fossero stati previsti nelle loro linee
essenziali sin dall’ingresso del ricorrente nel sodalizio, contestato con decorrenza
dal 2 settembre 2008, ha valorizzato il rilievo del Procuratore generale, già
sintetizzato sub 1 del «ritenuto in fatto», secondo cui ostava alla correlazione
della falsificazione del documento di identità per mantenere la latitanza in cui
l’istante si era posto al medesimo disegno criminoso con il reato (associativo),
per il quale lo stesso aveva deciso di sottrarsi alla esecuzione della pena, la
sopravvenienza dell’elemento volitivo alla emissione eventuale del
provvedimento restrittivo della libertà.

3. Quanto al secondo profilo, correlato al denunciato omesso apprezzamento
del diverso trattamento riservato dal giudice della cognizione a coimputati del
ricorrente, a cui favore è stato riconosciuto il vincolo della continuazione tra il
reato associativo e i reati di ricettazione e falsificazione dei documenti di identità,
si deve procedere dal richiamo alla costante affermazione, nella giurisprudenza
di legittimità, del principio alla cui stregua non possono trascurarsi in sede
esecutiva i criteri di applicazione dell’art. 81 cod. pen. che risultano adottati,
nell’ambito di ciascun processo di cognizione, riguardo alla pluralità di reati
oggetto delle singole sentenze di condanna, in quanto «l’intenzione del
legislatore è appunto quella di porre rimedio, con l’art. 671 cod. proc. pen., a
eventuali lacune e carenze del giudizio di cognizione estendendo alla fase
esecutiva la possibilità di realizzare quella stessa unificazione che,
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richiamandoli a sua volta e implicitamente ritenendo subvalente ogni diverso

verosimilmente, sarebbe stata disposta con un’unica sentenza di condanna, se
questa avesse investito tutti i reati commessi dal soggetto interessato» (tra le
altre, Sez. 1, n. 1737 del 12/04/1991, Zanatta, Rv. 187579; Sez. 1, n. 228445
del 02/03/2012, Aprile, n.nn.), e che «il giudice dell’esecuzione non può
prescindere dal riconoscimento della continuazione operato dal giudice della
cognizione con riguardo ad altri episodi analoghi, giudicati separatamente o con
un’unica sentenza, assumendo in tal caso le valutazioni espresse dal giudice
della cognizione una significativa valenza, che il giudice dell’esecuzione può

taluni fatti, anche se omogenei a quelli per i quali il nesso della continuazione è
stato riconosciuto, non possono essere ricondotti al medesimo disegno
criminoso» (Sez. 1, n. 11240 del 06/12/2000, dep. 2001, Bersani, Rv. 218523;
tra le successive, Sez. 1, n. 20471 del 15/03/2001, Ibba, Rv. 219529; Sez. 1, n.
21617 del 20/04/2011, Alfano, n.m.; Sez. 1, n. 28445 del 02/03/2012, citata;
Sez.1, n. 19358 del 22/02/2012, Nugnes, Rv. 252781; Sez. 1, n. 33399 del
10/07/2013, Purcariu, n.m.; Sez. 5, n. 39837 del 19/05/2014, Aprile, Rv.
262203).
3.1. Di tali rilievi in diritto la Corte

di

appello si è fatta carico,

ragionevolmente sottolineando la inconferenza dei richiami alle statuizioni
relative ad altri soggetti e ad altri reati con riguardo alla posizione del ricorrente.
La Corte, a ogni buon conto, richiamando i dati emergenti dagli atti
processuali sui quali ha operato la sua analisi e seguendo un coerente
ragionamento, esente da vizi logici e giuridici, ha congruamente considerato che
le valutazioni fatte in sede di cognizione, unificando per continuazione, con
riguardo ad altri correi, il reato associativo (comune al ricorrente) e singoli
diversi reati (sub 80 81 della imputazione), non potevano ritenersi vincolanti
rispetto alla verifica demandatagli, riguardante fatti diversi rispetto ai detti reati
per i quali, a differenza dei primi, era stata contestata l’aggravante di cui all’art.
7 d.l. n. 152 del 1991 e che erano risultati strettamente connessi all’attività
criminale di specifico «locale ‘ndranghetista (Erba e Mariano Comense)».
3.2. Né una tale valutazione, negativa in ordine alla sussistenza della unicità
del disegno criminoso, attinente a questione di fatto rimessa all’apprezzamento
del giudice di merito e non manifestamente illogica in rapporto ai dati richiamati
(ai quali sono contrapposti argomenti di contenuto generico), è sindacabile in
sede di legittimità.

4. Il ricorso deve essere, conclusivamente, rigettato, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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superare solo individuando specifici e concreti elementi idonei a dimostrare che

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 30/03/2017

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