Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21715 del 19/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21715 Anno 2018
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROCCO ANTONIO nato il 23/06/1939 a POZZUOLI

avverso la sentenza del 14/03/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ROBERTO
ANIELLO
che ha concluso per
Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore
L’avvocato VALTERONI EMIRENO conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso
e deposita conclusioni e nota spese
L’avvocato LETIZIA FERDINANDO si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 19/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31 ottobre 2014, il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in esito a giudizio
abbreviato, dichiarava Rocco Antonio colpevole: a) dell’omicidio di Schioppi
Giancarlo, commesso il 6 aprile 2013 sparando contro costui – al quale
addebitava la responsabilità di rumori molesti e con il quale era da tempo

e rendevano necessario un intervento chirurgico; la morte era avvenuta il
21 maggio 2013 in ospedale per insufficienza cardiorespiratoria, complicata
da edema polmonare acuto secondario al verificarsi di un’embolia
polmonare massiva in relazione alla formazione di un trombo parietale al
livello dell’arteria polmonare; b) dell’omissione di denuncia di trasferimento
di alcune armi, fatto accertato il 6 aprile 2013. Le sanzioni principali
venivano determinate in anni sedici di reclusione per l’omicidio e in euro
100,00 di ammenda per l’altro reato. L’imputato veniva condannato altresì
al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite.

2.

In parziale riforma della predetta sentenza, su gravame

dell’imputato, rigettato per il resto, la Corte di assise di appello di Napoli,
con sentenza del 14 marzo 2016, riconosceva le circostanze attenuanti
generiche e rideterminava la pena principale per l’omicidio in anni
quattrodici di reclusione.

3. L’avv. Raffaele Ambrosca, in difesa del Rocco, ha proposto ricorso
per cassazione, datato 4 aprile 2016, affidato a tre motivi.

3.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e difetto
assoluto di motivazione in relazione all’art. 530 cod. proc. pen. Il giudice
di appello ha errato nel non affermare che, a causa della condotta colposa
dei sanitari nell’effettuare le cure mediche successivamente al ferimento,
si interruppe il nesso causale fra l’attività dell’imputato e la morte
dell’imputato.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e difetto
assoluto di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen. La condotta dell’imputato
fu provocata dal comportamento della vittima, che lo aveva ripetutamente

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in lite per questo – due colpi di fucile che ferivano lo Schioppi ad una spalla

disturbato con rumori molesti provocando l’accumulo della tensione
sfociata poi nell’aggressione mediante fucile.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 62-bis e 133
cod. pen. Il giudice di appello avrebbe dovuto muovere da una pena più
mite ed applicare le riconosciute circostanze attenuanti generiche nella
massima estensione.

1. Il primo motivo, riguardante l’ipotizzata sussistenza di
responsabilità dei sanitari che curarono la vittima dopo il ferimento, è
manifestamente infondato.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
omicidio doloso, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie
mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta lesiva posta in
essere dall’agente e l’evento morte (Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015 dep. 10/09/2015, Ferrito e altri, Rv. 264534; Sez. 5, n. 39389 del
03/07/2012 – dep. 05/10/2012, Martena, Rv. 254320; Sez. 5, n. 17394
del 22/03/2005 – dep. 06/05/2005, D’Iginio, Rv. 231634).
1.2. Sulla base del principio richiamato, deve affermarsi, con
riferimento al caso ora in esame, che, una volta accertata la responsabilità
dell’imputato per aver sparato due colpi di fucile contro Schioppi Giancarlo,
ferendolo ad una spalla e rendendo necessario un intervento chirurgico con
successiva morte della vittima, il comportamento dei sanitari non avrebbe
potuto escludere, comunque, la responsabilità penale del Rocco a titolo di
omicidio doloso.

2. Il secondo motivo, riguardante l’attenuante della provocazione,
è manifestamente infondato. La sentenza di appello, dopo aver richiamato
la giurisprudenza di legittimità, ha escluso la citata attenuante, ponendo in
evidenza con chiarezza e precisione articolati ragionamenti privi di illogicità
manifesta, dai quali emerge senza alcuna contraddizione che l’imputato fu
mosso dall’intento di infliggere allo Schioppi, presunto offensore, un
castigo espressione di rancore, vendetta, malanimo, sicché la condotta
omicida travalicò i limiti di una semplice reazione all’atto ingiusto altrui. Vi
fu mera occasionalità, non di nesso di causalità fra offesa e reazione.
L’esistenza di contrasti risalenti nel tempo fra l’omicida e la vittima è
attestata, nota il giudice di appello, da varie reciproche denunce prese tate

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CONSIDERATO IN DIRITTO

dai predetti alla polizia giudiziaria, per una conflittualità riconducibile a
banali contrasti nel rapporto di vicinato.

3. Il terzo motivo, riguardante la dosimetria della pena anche con
riferimento alla estensione della diminuzione concretamente operata per le
concesse circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
Le valutazioni su detti punti non sono frutto di errore giuridico, risultano

insindacabili in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv.
242419). Il giudice di appello, in particolare, ha dato conto di aver fatto
riferimento ai criteri dettati dall’art. 133 cod. pen.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
perché le deduzioni difensive si risolvono in generiche contestazioni di
natura fattuale, tendenti ad ottenere, sui profili evidenziati, un riesame nel
merito, precluso in sede di indagine di legittimità stante la correttezza
giuridica e logica del discorso giustificativo della decisione. Ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
duemila alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla
stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella
proposizione dell’impugnazione. Il ricorrente va condannato, inoltre, alla
rifusione, in favore della parte civile, delle spese del presente giudizio, che
si reputa giusto liquidare, in considerazione dell’attività svolta, nella misura
indicata nel seguente dispositivo, oltre accessori come per legge.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore
della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore della
parte civile liquidate in 3.500,00 euro, oltre il 15 % per spese generali,
I.V.A. e C.P.A.
Così deciso in Roma il 19 ottobre 2017.

sorrette da motivazione esente da manifesta illogicità e, pertanto, sono

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