Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21709 del 28/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21709 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INTERBARTOLO GANDOLFO MARIA nato il 03/11/1954 a CERDA

avverso l’ordinanza del 02/11/2017 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO SCARLINI;
sentite le conclusioni del PG MARIO MARIA STEFANO PINELLI che conclude per
l’inammissibilita’
Udito il difensore, AVV. GRAZIELLA D’AGOSTINO (in sost. Avv.ti MARTORANA e
CASTRONOVO) si riporta ai motivi e chiede l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 28/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1 – Con ordinanza del 26 maggio 2016, il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Palermo aveva applicato a Gandolfo Maria Interbartolo la misura
cautelare della custodia in carcere solo per alcuni dei delitti al medesimo ascritti
per i quali il pubblico ministero l’aveva richiesta.
Il rappresentante della pubblica accusa aveva interposto appello ed il
Tribunale di Palermo aveva accolto il gravame limitatamente ad alcuni dei capi

Questa Corte di Cassazione, con sentenza della Prima sezione del
23/03/2017 n. 44427, aveva annullato l’ordinanza del Tribunale di Palermo, su
ricorso della difesa dell’Interbartolo, per vizio di motivazione, nella parte in cui la
stessa aveva disposto la misura, in accoglimento del gravame proposto dalla
pubblica accusa in relazione ai capi 21, H, M e W dell’imputazione.
2 – Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 2 novembre 2017, censurata
con l’odierno ricorso, giudicando in sede di rinvio, accoglieva l’originario appello
del pubblico ministero limitatamente ai capi 21 ed H, rigettandolo quanto ai capi
M e W.
3 – I delitti ascritti all’Interbartolo, per la maggior parte dei quali era stata
emessa la misura cautelare massima, consistevano nell’avere questi diretto la
famiglia mafiosa di Cerda, commettendo una serie di reati fine, quali estorsioni,
atti intimidatori, furti, danneggiamenti, occupandosi inoltre dei rapporti con
l’amministrazione comunale del luogo, sempre in ragione degli interessi della
consorteria.
Gli ulteriori delitti in ordine ai quali il Tribunale aveva ritenuto la sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza erano i seguenti:
– al capo sub 21 era contestato il delitto di estorsione, consumato ai danni di
Gioacchino Di Carlo, consistito nel costringere il predetto ad assumere, nella
propria impresa individuale, Silvio Giuseppe Napolitano, nipote di Silvio
Napoletano, che, in cambio di tale favore, si era impegnato a procurare voti per i
candidati segnalatigli dall’Interbartolo per l’elezione del consiglio comunale di
Cerba, prevista per il giugno 2013;
– al capo H, era contestata la tentata estorsione commessa ai danni di
Mario e Calogero Macaluso, gestori di due distributori di benzina, ai quali erano
state chieste somme di denaro, articoli di telefonia e carburante, in cambio della
“protezione”, richieste che costoro si erano rifiutati di adempiere.
Il Tribunale, nuovamente argomentando sulle carenze motivazionali
individuate da questa Corte con la sentenza di annullamento, osservava che:
– quanto al capo 21, la qualificazione giuridica del fatto (rispetto alla quale
questa Corte aveva rilevato come non fosse stato sufficientgnente chiarito se la
//

oggetto del medesimo.

richiesta rivolta alla persona offesa fosse stata fatta con modalità intimidatorie e
se gli autori del fatto avessero effettivamente conseguito un ingiusto profitto o
se la vittima del reato avesse riportato un concreto danno) era corretta poiché
l’assunzione del Napolitano era stata chiesta al Di Carlo direttamente dal capo
della cosca, l’odierno indagato Interbartolo (che, in una conversazione, aveva
chiarito che Di Carlo non aveva altra scelta, costrizione confermata dallo stesso
Di Carlo), e, quindi, con modalità implicitamente ma chiaramente intimidatorie,
tanto che la richiesta era stata esaudita nonostante ne conseguisse un danno per

stata del tutto fittizia perchè, pur non essendovi prova che al Napolitano fosse
stato corrisposto un emolumento, Di Carlo aveva certamente sostenuto gli oneri
che da tale assunzione erano necessariamente derivati;
– quanto al capo H, sussisteva il quadro indiziario (del quale questa Corte
aveva dubitato alla luce dell’inadeguata motivazione del Tribunale circa l’effettiva
configurabilità anche solo del tentativo del reato contestato), posto che, in
alcune conversazioni intercettate, lo stesso Interbartolo aveva ricordato le
richieste estorsive avanzate ai Macaluso, gli incontri che ne erano effettivamente
derivati, il rifiuto dei Macaluso di aderire alle richiesta anche in considerazione
delle difficoltà economiche del momento, il fatto che costoro fossero stati
destinatari di analoghe richieste anche da parte di altri gruppi mafiosi (questione
di cui Interbartolo ed i Macaluso aveva direttamente trattato), il fatto che si
dovesse procedere ad azioni intimidatorie e, infine, la necessità di definire la
questione.
2 – Avverso tale decisione propone ricorso l’imputato, a mezzo dei suoi
difensori, articolando le proprie censure in cinque motivi.
2 – 1 – Con il primo motivo deducono la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in riferimento al rigetto dell’eccezione preliminare volta a contestare
l’utilizzabilità delle risultanze investigative acquisite dopo l’emissione della
misura cautelare personale.
In particolare si lamenta che le emergenze utilizzabili era`uelle acquisite
fino al 19 marzo 2014, posto che, nei confronti dell’Interbartolo, era stata
disposta l’iscrizione nei registri degli indagati per la violazione dell’art. 416 bis
cod. pen. il 19 marzo 2012. Considerato anche il fatto che non risulta vi fossero
state ulteriori iscrizioni a suo carico, ad esempio per le indagini da svolgere sui
reati fine.
Quanto al capo 21, Di Carlo avrebbe dovuto essere sentito come imputato di
reato connesso, avendo egli riportato, con l’assunzione del Napoletano, il
vantaggio economico derivante dalla applicazione della circolare 28 ottobre 2011
che disponeva agevolazioni fiscali e contributive, con la commissione da parete
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la persona offesa amente intimidatorie, anche perché, altrimenti, non sarebbe

del medesimo, a causa della fittizietà dell’assunzione, del delitto di truffa ai danni
dello Stato.
Ne derivava pertanto anche un problema di attendibilità del teste – persona
offesa.
A ciò si aggiungeva il fatto che a Di Carlo erano state poste domande
suggestive con l’effetto che le relative risposte dovevano considerarsi
inutilizzabili ai fini della prova.
2 – 2 – Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di

dai quali non emergeva affatto l’illiceità delle stesse e il contributo ad esse
fornito dal ricorrente.
In particolare, dalle dichiarazioni della persona offesa Di Carlo si evinceva
che questi aveva inteso solo fare una cortesia all’Interbartolo, senza avere subito
alcuna pressione. Secondo il medesimo Di Carlo, poi, era stato Interbartolo ad
accollarsi l’onere del versamento dei contributi. Doveva infine ricordarsi come Di
Carlo stesso, grazie a tale assunzione, avesse ottenuto vantaggi fiscali e
contributivi (da una conversazione intercettata emergeva poi che gli oneri
derivanti dall’assunzione del Napolitano sarebbero stati assunti da un terzo
soggetto).
Altrettanto inesistenti erano gli elementi da cui il Tribunale aveva dedotto la
costrizione del Di Carlo ad assumere Napolitano.
2 – 3 – Con il terzo motivo deducono la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del quadro indiziario relativo al
capo H.
Dalla conversazione fra Maranto ed Interbartolo emergeva che era stato il
primo a decidere di non richiedere più il denaro ai Macaluso. Maranto stesso, del
resto, parlando con altri accoliti della cosca, si era lamentato dell’inconcludenza
dell’Interbartolo.
Lo stesso Calogero Macaluso, una delle presone offese, aveva riferito di un
incontro con l’Interbartolo che gli aveva chiesto del denaro a titolo estorsivo.
Incontro a cui erano seguiti altri due abboccamenti con l’Interbartolo che, al suo
rifiuto di corrispondere alcunchè, era poi sparito, non facendosi più sentire.
Al più, quindi, Interbartolo avrebbe desistito dalla tentata estorsione.
2 – 4 – Con il quarto motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista
dall’art. 7 d. Igs. n. 152/1991, posto che, sul punto, era stata spesa una
motivazione del tutto generica perché afferente il complesso dei reati fine.
2 – 5 – Con il quinto motivo deducono la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in riferimento alle esigenze di cautela ritenute, dal Tribunale, solo
argomentando con frasi di mero stile.
3

motivazione in riferimento alla ricostruzione delle condotte descritte al capo 21,

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso promosso nell’interesse di Gandolfo Maria Interbartolo è
inammissibile.
1 — Il Tribunale ha deciso in sede di rinvio a seguito di annullamento della
precedente ordinanza, così che lo stesso doveva affrontare i soli vizi individuati
dalla sentenza di questa Corte.

indagini, peraltro solo genericamente indicate, contenuta nel primo motivo
perché già dedotta alla Prima sezione e da questa affrontata e rigettata, come si
legge a pagina 6 e 7 di quella pronuncia.
Priva di pregio è anche la doglianza circa la forma dell’escussione del Di
Carlo, perchè non dedotta con il precedente ricorso e non esaminata e decisa
dalla Prima sezione e perché fondata su un mero assunto difensivo, privo di
qualsivoglia riscontro fattuale e processuale, la pretesa imputabilità al medesimo
di un delitto di truffa ai danni dello Stato.
Del tutto generica, oltre che non precedentemente dedotta (e non
discendente da fatti sopravvenuti), è infine la censura relativa alla inutilizzabilità
delle risposte date dal dichiarante a domande ritenute suggestive (questione
peraltro valutabile solo in sede di verifica dell’attendibilità della prova e non
sanzionata dalla inutilizzabilità della stessa: Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, Rv.
262468).
Il primo motivo di ricorso è pertanto interamente inammissibile.
2 — Quanto al nuovo percorso argomentativo seguito dal Tribunale nel
decidere sull’originario appello del pubblico ministero — premesso che, come
aveva già ricordato anche la Prima sezione, il ricorso per cassazione che deduca
l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei provvedimenti che dispongono
le misure cautelari personali è inammissibile quando propone censure che
riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione
degli elementi esaminati dal giudice di merito (come da orientamento costante di
questa Corte da ultimo ribadito da Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti,
Rv. 270628) – lo stesso risulta avere emendato tutte le insufficienze e discrasie
motivazionali rilevate dalla precedente pronuncia di legittimità.
Posto che, il Tribunale:
– ha dedotto l’intimidazione implicita nella richiesta fatta dall’indagato al Di
Carlo dalla circostanza che questa era stata avanzata direttamente dal
riconosciuto capo della cosca che operava in quel territorio, lo stesso
Interbartolo; una richiesta a cui usati Di Carlo non poteva opporre un rifiuto,
come avevano riconosciuto sia il ricorrente, sia Di Carlo stesso;
4

Ne consegue che è inammissibile la censura di inutilizzabilità delle attività di

- ha ritenuto che si fosse concretato l’ingiusto danno per il Di Carlo a causa
delle conseguenze economiche che, inevitabilmente, derivano dall’assunzione di
un dipendente (e che tale danno sarebbe stato, almeno in parte, rifuso, era
rimasta una mera asserzione difensiva posto che non si era neppure chiarito se
vi avrebbe provveduto l’Interbartolo o un altro soggetto);
– ha osservato che le richieste estorsive fatte ai Macaluso erano state
ripetute, ad esse erano seguiti degli incontri, il ricorrente si era prospettato la
necessità di accompagnarle ad azioni intimidatorie, e che tutto ciò concretava già

solo preparatori), non consumatosi solo per il reiterato rifiuto delle persone
offese a versare quanto richiesto.
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono, pertanto, manifestamente
infondati.
3 – Il quarto motivo è inammissibile perché del tutto generico, non avendo,
il ricorso, affrontato gli argomenti spesi dal Tribunale in relazione al contesto nel
quale si erano collocate le sopra menzionate condotte estorsive, l’azione della
consorteria mafiosa, ad opera di chi ne rivestiva il ruolo di vertice, nell’imporre la
propria supremazia nel territorio di riferimento.
4 – Il quinto motivo è inammissibile perché anch’esso difetta di specificità
non potendosi considerare di mero stile le affermazioni del Tribunale in
riferimento alla sussistenza delle esigenze di cautela, adeguatamente motivate
alle pagine 27, 28 e 29 dell’ordinanza impugnata anche considerando le
presunzioni, seppur relative, previste dall’art. 275, comma 3, cod. proc pen., in
tema di esigenze di cautela in riferimento ai delitti aggravati dalla circostanza
prevista dall’art. 7 legge n. 203/1991.
5 – All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della
somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Manda la cancelleria per le comunicazioni relative alla esecuzione
concernente i capi 21 ed H.
Così deciso in Roma il 28 febbraio 2018.

il contestato delitto di tentata di estorsione (non configurandosi certo come atti

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