Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21707 del 07/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21707 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRI STEFANO N. IL 12/05/1953
avverso la sentenza n. 4/2011 GIUDICE DI PACE di TERAMO, del
21/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 07/01/2016

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dott.ssa Francesca Loy, ha
concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
il difensore dell’imputato, avv. Pasqualino Mastrilli, ha concluso per
l’accoglimento del ricorso, depositando istanza di liquidazione delle spese ed
onorari, in relazione al patrocinio a spese dello Stato.

1. Con sentenza del 21 gennaio 2015 del giudice di pace di Teramo, Ferri
Stefano era condannato alla pena di euro 800 di multa per i reati di lesioni lievi
ed ingiuria commessi il 12 agosto 2009 in danno di Valleriani Giuseppe.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, con atto affidato
a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale in
relazione agli artt. 111 Cost., 20 del D.Lgs. 274/2000, 178 lettera c) e 179 cod.
proc. pen., poiché le udienze successive al 5 novembre 2011 si sono svolte in
una sede ed in un Comune diversi rispetto a quella iniziale; infatti le prime due si
sono tenute in Montorio al Vomano e le successive in Teramo, via Beccaria,
senza alcuna comunicazione in favore dell’imputato. A fronte dell’eccezione,
ritualmente proposta dal difensore, si è ritenuta adeguata un’affissione di un
avviso sulla porta dell’ufficio del giudice di pace di Montorio al Vomano.
2.2 Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione, sotto forma di
travisamento della prova, in relazione alle dichiarazioni della persona offesa
Valleriani Giuseppe e del teste Di Marco Danilo, delle quali viene riportato un
brevissimo passaggio, allo scopo di evidenziare un contrasto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima doglianza è infondata.
1.1 Va ricordato l’arresto giurisprudenziale secondo il quale, in tema di
rinvio in prosecuzione del processo ad altra udienza, l’omesso formale avviso
all’imputato, già presente, della celebrazione della successiva udienza in altro
edificio diverso da quello in cui sino a quel momento si era celebrato il processo
con la partecipazione dello stesso imputato non è equiparabile all’omessa
citazione e non integra la nullità assoluta ed insanabile di cui all’art. 179, comma
1, cod. proc. pen. ma , eventualmente, solo la nullità di cui all’art. 178, comma 1,

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RITENUTO IN FATTO

lett. c), cod. proc. pen.; si tratta cioè di una nullità a regime intermedio, che va
eccepita nei termini previsti dall’art. 182, comma 2, ed è sanabile, ai sensi
dell’art. 183, comma 1, lett. b), dalla partecipazione del difensore di fiducia che
ha assistito l’imputato nelle udienze precedenti, alla udienza immediatamente
successiva che si svolge nei nuovi edifici, senza sollevare la relativa eccezione
(Sez. 5, n. 14691 del 12/12/2012, Pernaci, Rv. 255437).
1.2 Va dato atto che nel caso di specie l’eccezione è stata proposta

2013, a seguito del mutamento della persona fisica del giudicante e poi dedotta
in sede di appello e ricorso per cassazione.
1.3 Peraltro, come pure è stato affermato (Sez. 2, n. 18130 del 20/02/2001,
Zito, Rv. 219496; Sez. 5, n. 14691 del 12/12/2012, Pernaci, Rv. 255437) il
trasferimento del luogo dell’udienza in altri locali costituisce un evento
eccezionale e di tale notorietà che può essere portato a conoscenza dell’imputato
e del suo difensore con modalità diverse da un avviso formale ed anche con
avvisi pubblici, la cui idoneità allo scopo andrà verificata dal giudice, con
valutazione di merito che, ove sorretta da adeguata motivazione, è insindacabile
in sede di legittimità.
Il Giudice di pace, con motivazione non manifestamente illogica né
contraddittoria, ha ritenuto che l’affissione del provvedimento presidenziale sulla
porta dell’ufficio di Montorio al Vonnano, anche in considerazione della evidente
notorietà della soppressione dell’ufficio, sia stata legittima ed adeguata allo
scopo di informare l’imputato.
1.4 D’altra parte le generali regole di lealtà processuale delle parti
imponevano al difensore di fiducia, il quale per almeno 5 volte ha sollevato la
questione (due volte in udienza, in sede di discussione di primo grado, in appello
ed in questa sede), di rendere edotto il proprio assistito del trasferimento del
luogo dell’udienza, oltre che continuare ad insistere sull’asserita nullità del
processo.
1.4.1. Il fondamento di un tale obbligo risiede nel principio di leale
collaborazione del giudice e delle parti alla celebrazione di un processo equo,
principio sovrapponibile a quello di lealtà processuale il quale, sebbene tipizzato
e dunque previsto solo con riferimento al processo civile (art. 88 cod. proc. civ.),
non per questo può ritenersi estraneo al processo penale.
1.4.2. In due decisioni della Terza Sezione di questa Corte, il principio è
stato affermato con riferimento all’onere di comunicare al giudice l’impedimento

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tempestivamente all’udienza del 7 novembre 2012, riproposta in data 3 luglio

a comparire dell’imputato, detenuto agli arresti domiciliari per altra causa (Sez.
3, n. 33404 del 15/07/2015, Tota, Rv. 264204) e con riferimento all’onere di
tempestiva richiesta di ottenere le copie dei supporti informatici, i cui esiti siano
posti a fondamento di un provvedimento cautelare impugnato dinanzi al
Tribunale del riesame (Sez. 3, n. 4376 del 13/12/2013, dep. 30/01/2014,
Palermitano, non mass.). In entrambi i casi si è osservato che il codice
deontologico forense prescrive all’avvocato di svolgere la propria attività

difensore nel processo penale si può ricavare espressamente dall’art. 105,
comma 4, cod. proc. pen.; che il codice etico della magistratura richiede ai
magistrati (sia ai giudici che ai pubblici ministeri) di operare, nell’esercizio delle
loro funzioni, per rendere effettivo il valore dell’imparzialità, agendo con lealtà
(art. 9); che lo stesso codice di procedura penale contiene diverse disposizioni
che documentano l’esistenza di un tale obbligo: la responsabilità per il
querelante e per la parte civile in materia di spese e danni (artt. 427, 541,
comma 2, 542); la condanna di una somma a favore della Cassa delle ammende
(artt. 44, 48, 616 e 634); la lealtà nell’espletamento dell’esame testimoniale
(art. 499, comma 6).
1.4.3. Anche questa Sezione ha espressamente richiamato il dovere di lealtà
processuale come principio che deve improntare la condotta di tutti i soggetti del
procedimento e la cui violazione è valutabile dal giudice (Sez. 5, n. 15547 del
19/03/2008, Aceto, Rv. 239489), con riferimento alla non deducibilità in sede di
ricorso per cassazione della prescrizione che si ritiene “maturata” per effetto
dell’accordo con il pubblico ministero in caso di sentenza emessa in sede di
appello ex art. 599, comma 4, cod. proc. pen., come all’epoca vigente.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità, nella parte in
cui viene dedotto un travisamento delle prove testimoniali, poiché non rispetta le
regole indicate da questa Suprema Corte. Il ricorso che intenda far valere il vizio
di travisamento della prova deve infatti, a pena di inammissibilità (Sez. 1, n.
20344 del 18/05/2006, Salaj, 234115; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010,
Damiano, Rv. 249035; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723):
a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza; b)
individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che
risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza
impugnata; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui

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professionale con lealtà e correttezza (art. 6); che il dovere di lealtà e probità del

tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del
dibattimento; d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. Sul ricorrente,
dunque, grava, oltre all’onere di formulare motivi di impugnazione specifici,
anche quello di individuare ed indicare gli atti processuali che intende far valere

avrebbero dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere
nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione.
Nulla di tutto ciò è stato fatto dal ricorrente, che in realtà lamenta una
errata interpretazione di una singola frase estratta dalla complessiva
testimonianza e non un travisamento della deposizione; in tal modo propone un
alternativo apprezzamento alla valutazione operata dei giudici di merito, finendo
con il richiedere alla Corte di legittimità di prendere posizione tra le diverse
letture dei fatti, operazione inammissibile in sede di legittimità. A questo
proposito va ribadito che la Corte di cassazione non ha il compito di trarre
valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, e pertanto non si può
addentrare nell’esame del contenuto documentale delle stesse, neppure se
riprodotte nel provvedimento impugnato e, tanto meno, se contenute in un atto
di parte, poiché in sede di legittimità è l’argomentazione critica che si fonda sugli
elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato
che è sottoposta al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di
verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e
all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 28703 del 20/04/2012,
Bonavota, Rv. 253227).
3. In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse di Ferri Stefano va
rigettato, con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese
processuali, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen.; a norma dell’art. 83,
comma 2, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, alla liquidazione dell’onorario e
delle spese spettanti al difensore procede il giudice di rinvio, ovvero quello che
ha pronunciato la sentenza passata in giudicato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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(e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati,

processuali.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2016
Il Presidente

Il consigliere estensore

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