Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21706 del 07/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21706 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMPANELLA ANTONIO N. IL 01/06/1962
avverso la sentenza n. 5/2012 GIUDICE DI PACE di TERAMO, del
17/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 07/01/2016

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dott.ssa Francesca Loy, ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 febbraio 2015 del giudice di pace di Teramo,
Campanella Antonio era condannato alla pena di euro 1.000,00 di multa per la

D’Argento Antonio, con l’invio a mezzo fax di una lettera diretta all’assessore
Cordoni ed all’organizzatore Michetti, nella quale si denunciava la percezione di
contributi pubblici senza aver mai allestito né fatto entrare in funzione il museo
Michetti, si contestava l’assunzione di persone non idonee e si denunciava
l’affitto di stanze del museo per feste private.
2.

Propone ricorso per cassazione personalmente l’imputato, con atto

affidato a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’articolo
414 cod. proc. pen., poiché il procedimento era stato già oggetto di una richiesta
di archiviazione, per cui il pubblico ministero doveva conseguire l’autorizzazione
prevista dalla norma processuale.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione
all’articolo 649 cod. proc. pen. e 4 Prot.11o n. 7 CEDU, sempre in riferimento
all’errato esercizio dell’azione penale, sicché il giudice avrebbe dovuto dichiarare
l’improcedibilità dell’azione penale per il divieto di bis in idem.
2.3 Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt.
192 e 533 cod. proc. pen., poiché non risultava provato l’invio della missiva da
parte dell’imputato e non era stato dimostrato alcun movente dell’azione, per cui
in presenza di una situazione probatoria carente il giudice avrebbe dovuto
assolvere l’imputato.
2.4 Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt.
100 della legge 689/1981 e 133-bis cod. pen., poiché il giudice, nel determinare
la pena di euro 1.000 di multa, non ha tenuto conto delle condizioni economiche
del reo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due motivi sono infondati: il ricorrente ha allegato un avviso di

2

diffamazione commessa il 30 aprile 2010 in danno di Centorame Vincenzo e

conclusione delle indagini preliminari per un fatto diverso da quello oggi
contestato, per cui le doglianze formulate in ordine alla procedibilità dell’azione
penale risultano in concreto infondate, poichè prive di qualsiasi supporto in punto
di fatto.
2. Il terzo motivo è inammissibile.
In primo luogo va ricordato che è inammissibile il motivo in cui si deduca la
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e

valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva
atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro
istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla
motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod.
proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi
dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. 6, n.
45249 del 08/11/2012, Cimini, Rv. 254274).
In secondo luogo la doglianza di violazione del principio del ragionevole
dubbio è del tutto generica; il ricorrente che intenda prospettare l’esistenza di un
ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato, deducendo il vizio
motivazionale della decisione di appello, deve fondare le sue argomentazioni su
elementi sostenibili, desunti dai dati acquisiti al processo e non meramente
ipotetici, poichè il dubbio addotto dall’imputato deve essere “ragionevole” (Sez.
4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, Rv. P45879); il ricorrente si limita invece
ad invocare una carenza probatoria su tutti gli elementi del reato di
diffamazione.
3. Il quarto motivo è inammissibile per genericità: il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 133-bis cod. pen., giudicando eccessiva la pena di euro 1000
di multa (comunque contenuta, essendo prevista la pena pecuniaria della multa
da euro 258 a euro 2.582 o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a
trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da dieci giorni a
tre mesi, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 52, comma 2, lettera a),
D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274), ma non indica per quali ragioni il giudice
avrebbe dovuto applicare una pena inferiore, in considerazione delle condizioni
economiche del reo, che non vengono in alcun modo specificate.
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso proposto da Campanella Antonio va
rigettato, con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese

3

546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea

processuali, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2016
Il Presidente

Il consi liere estensore

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