Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21702 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21702 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCIANTI MAURIZIO N. IL 12/07/1947
ROMANELLI ELENA N. IL 26/10/1967
ROMANELLI PAOLO N. IL 13/09/1969
avverso la sentenza n. 1825/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
05/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. oL d„.01 S.—
che ha concluso per i
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Data Udienza: 13/11/2015

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Ritenuto in fatto
1. Per quanto ancora rileva, con sentenza del 05/06/2014, la Corte d’appello di
Firenze ha confermato l’affermazione di responsabilità di Elena Romanelli, Paolo
Romanelli e Maurizio Mancianti, in relazione a fatti di bancarotta fraudolenta
impropria concretatisi nel compimento di azioni dolose che avevano cagionato il
fallimento della Romanelli Finanziaria s.p.a. e, per quanto concerne solo i primi
due, anche della Banca Romanelli s.p.a.
In particolare, la Corte territoriale ha rilevato: a) che gli elementi di prova

riferimento alla posizione dei fratelli Romanelli, si era giunti nel distinto processo,
definito con sentenza irrevocabile, avente ad oggetto il reato di cui all’art. 131
del d. Igs. n. 385 del 1993 (tu. banc.), giacché nessuno dei testi escussi aveva
affermato di avere avuto contezza del decreto di autorizzazione allo svolgimento
di attività bancaria, del quale non era rimasta traccia documentale alcuna,
laddove, al contrario, risultava un espresso provvedimento di diniego della
richiesta; b) che le irregolari operazioni di raccolta di risparmio, tramite
emissioni di warrant, realizzate peraltro in violazione dell’art. 2410 cod. civ.,
all’epoca vigente, avevano comportato un fortissimo squilibrio tra capitale
proprio e capitale di debito; c) che lo squilibrio evidente già nel 1999, quando il
bilancio della società mostrava un margine operativo lordo fortemente negativo,
era stato corretto in virtù di alcune operazioni straordinarie e, in particolare,
attraverso la pluslvalenza generata da una cessione del marchio della Romanelli
Finanziaria s.p.a. in favore della Mediatarget s.r.I., la cui fittizietà era
comprovata dalle ampie dilazioni di pagamento del corrispettivo e dalla
sostanziale inoperatività della cessionaria, che, infatti, non aveva svolto alcuna
attività di valorizzazione del marchio; d) che anche nel 2000 il disavanzo della
gestione caratteristica era stato riequilibrato attraverso la costituzione della
Banca Romanelli s.p.a. e attraverso il conferimento in quest’ultima del ramo di
azienda; e) che Elena e Paolo Romanelli, nonostante il ruolo preminente del
fratello Massimo, al quale erano affidate le scelte operative di maggiore
importanza, avevano costantemente fatto parte del consiglio di amministrazione
di Romanelli Finanziaria s.p.a., entrando poi a far parte, con pienezza di poteri,
nella Banca Romanelli s.p.a.; f) che, d’altra parte, come emergeva dalle
deposizioni dei testi Cappelletti e Nucciarelli, Elena Romanelli si era occupato dei
rapporti con i fornitori e del marketing dell’azienda, mentre Paolo Romanelli si
era occupato della gestione della tesoreria e dei rapporti con i titolari dei conti
correnti; g) che i fatti di bancarotta derivavano della modalità con le quali la
Romanelli Finanziaria s.p.a. aveva svolto, per un arco di tempo prolungato, la
sua attività; h) quanto alla posizione del sindaco Mancianti, che tanto l’emissione
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raccolti nel processo non erano idonei a ribaltare le conclusioni alle quali, con

dei

warrant

che la cessione del marchio erano operazioni rilevanti e

caratterizzate da significative anomalie.
2. Nell’interesse degli imputati sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di Elena e Paolo Romanelli è affidato ai
seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge,
con riferimento all’utilizzazione della sentenza irrevocabile con la quale i
ricorrenti sono stati condannati per abusivismo bancario.

non è vincolante per il giudice di un altro processo, i ricorrenti rilevano che la
Corte territoriale non aveva tenuto conto dei numerosi elementi che, tanto con
riferimento all’emissione dei

warrant,

tanto con riguardo alla regolare

costituzione della Banca Romanelli s.p.a., erano stati introdotti. In definitiva, la
decisione impugnata si era limitata a confutare la portata di questi ultimi, senza
avvedersi che era la sentenza irrevocabile acquisita a richiedere, ai sensi dell’art.
192, comma 3, cod. proc. pen., positivi elementi di riscontro.
3.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e la mancata
assunzione di una prova decisiva, con riferimento alla richiesta di sentire come
testimoni: a) i giudici che avevano omologato l’atto costitutivo della Banca
Romanelli s.p.a. e il P.M. che aveva apposto il visto preventivo e quello
successivo all’omologa; b) uno dei tre giudici del collegio, il dott. Puliga, quale
teste de relato, in relazione alla deposizione del teste Flora.
In particolare, si osserva: quanto alla richiesta sub a), che la motivazione del
rigetto della richiesta istruttoria era fondata su un travisamento del contenuto di
altre prove acquisite, la cui corretta analisi avrebbe, al contrario, consentito di
concludere per la rilevanza della audizione richiesta; quanto alla richiesta sub b)
che la Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione ulteriore, rispetto a
quella del Tribunale, secondo il quale il Puliga non sarebbe stato teste di
riferimento, rispetto alla deposizione del Flora, trascurando di considerare che
quest’ultimo aveva appreso di avere saputo dal Puliga che egli aveva visto
l’autorizzazione.
3.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali, con riferimento
all’emissione di

warrant,

osservando: a) che la valutazione di carattere

sostanziale espressa dalla Corte territoriale, quanto all’assimilabilità di tali
strumenti alle obbligazioni, in ragione dell’elevato prezzo pagato per il loro
acquisto era contraddittoria e non si confrontava con il fatto che, anche nel caso
di pagamento di un prezzo inferiore, l’acquirente sarebbe stato indotto ad
esercitare il diritto di opzione per non perdere il valore inizialmente investito; b)
che, in ogni caso, le considerazioni dei giudici di merito non pregiudicavano la
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Ribadito che, ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., la sentenza irrevocabile

libertà di scelta dell’investitore; c) che tali conclusioni non erano smentite dalla
deposizione del curatore fallimentare e trovavano invece conferma nel parere pro
ventate del prof. Flora e nella sua deposizione, dalla quale emergeva la non
riconducibilità dell’emissione di warrant alla raccolta di pubblico risparmio; d) che
a identici risultati erano giunti la consulenza tecnica di parte, redatta dal dott.
Aguzzoli, e il collegio sindacale, secondo la deposizione del teste Bianchi; e) che
contraddittoriamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che l’emissione di
warrant

comportasse un ulteriore indebitamento – rispetto a quello

attribuissero all’investitore alcun diritto al rimborso della somma versata; f) che
la ritenuta esistenza di uno squilibrio di bilancio della Romanelli Finanziaria s.p.a.
era pure contraddetta dal dato, rilevato dalla medesima sentenza impugnata,
che le scadenze dei

warrant erano regolate in modo che non tutti i titolari

potessero esercitare nello stesso momento il diritto di opzione.
3.4. Con il quarto motivo, si lamentano vizi motivazionali, con riferimento
all’operazione di cessione del marchio alla Mediatarget s.r.I., rilevando che la
Corte territoriale aveva trascurato di considerare: a) che per statuto le società
finanziarie non possono commercializzare il proprio marchio; b) che il fine
perseguito dagli amministratori era quello di intraprendere un percorso di
marketing aziendale che consentisse lo sfruttamento commerciale del marchio
Romanelli; c) che la cessione del marchio era avvenuta nel dicembre 1999, pochi
mesi prima che, nell’ottobre 2000, deflagrasse la vicenda della Banca Romanelli
s.p.a., che aveva impedito la pratica attuazione delle programmate iniziative; d)
che, rispetto al valore stimato del marchio, il prezzo di cessione aveva
evidenziato un atteggiamento prudenziale degli amministratori; e) che il
differimento del pagamento era scaturito dal fatto che la Romanelli Finanziaria
s.p.a. aveva mantenuto l’uso gratuito del marchio per il primo anno nonché dalla
richiesta della Mediatarget s.r.l. di ricercare altro eventuale acquirente; f) che i
pagamenti successivi erano stati correttamente eseguiti; g) che la cedente aveva
convenuto una clausola di riserva della proprietà, a garanzia delle proprie
ragioni; h) che i curatori fallimentari non avevano ritenuto simulato il contratto,
al punto che avevano manifestato la volontà di insinuarsi nel passivo della
Mediatarget s.r.l., per poi vedersi opporre, con l’avallo del giudice delegato,
proprio la clausola di riserva della proprietà; i) che l’operazione era stata
regolarmente contabilizzata.
3.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione
all’operazione di costituzione della Banca Romanelli s.p.a., rilevando che la Corte
territoriale, con argomentazioni meramente apparenti, non aveva considerato: a)
che la costituzione della società era avvenuta rispettando le Istruzioni di
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obbligazionario – della società, sebbene tali titoli, in sé considerati, non

vigilanza, quanto alla percentuale di beni in natura rispetto al capitale sociale; b)
che l’esame dei testi aveva confermato la correttezza della stima sia
dell’avviamento che del

software conferito; c) che l’accollo dei debiti della

Romanelli Finanziaria s.p.a. aveva rappresentato una normale migrazione delle
posizioni degli investitori, i quali, nel corso del tempo, disinvestivano i warrant
della Romanelli Finanziaria s.p.a. e reinvestivano in obbligazioni della neocostituita banca; d) che anche il curatore aveva riconosciuto che i crediti conferiti
rappresentavano i crediti migliori della Romanelli Finanziaria s.p.a.; e) che anche

programma di costituzione della banca e di progressiva alimentazione dell’avvio
dell’attività era stato attuato con modalità tese a favorirne in massima misura
l’adeguatezza di mezzi e strutture.
3.6. Con il sesto motivo, sì lamentano vizi motivazionali e violazione di legge,
rilevando: a) che i testimoni ascoltati avevano concordato nel delineare un
modello gestionale totalitario, accentrato nella figura di Massimo Romanelli
anche nei settori che, secondo la Corte territoriale, erano curati dagli imputati, i
quali svolgevano, invece, funzioni meramente esecutive; b) che, anche a voler
considerare il contributo recato dagli imputati all’assunzione delle deliberazioni
degli organi collegiali, non emergeva la conoscenza di segnali di allarme; c) che,
con riguardo all’emissione dei warrant, peraltro sorretta da pareri legali di
autorevoli professionisti, la complessità della vicenda, riconosciuta dalla
medesima sentenza impugnata, per spiegare i ritardi delle autorità di controllo,
non era contraddittoriamente stata valutata a favore degli imputati; d) che, del
resto, il meccanismo dei warrant non si era mai inceppato, talché, a tutto voler
concedere, era ipotizzabile al più una condotta colposa degli imputati; e) che,
con riferimento all’operazione Mediatarget s.r.I., anche la Corte territoriale aveva
ritenuto che essa era un’operazione che aggravava il rischio, in tal modo
implicitamente escludendo il concorso consapevole nella dissimulazione dello
stato di dissesto; f) che le caratteristiche dell’operazione, per considerazioni
riconducibili a quelle evidenziate nel quarto motivo, avevano indotto gli imputati
a ritenere la stessa reale e suscettibile di apportare risultati positivi per la
sponsorizzazione del marchio Romanelli; g) che, con riferimento alla costituzione
della Banca Romanelli s.p.a., gli imputati non avevano alcun motivo per dubitare
del valore di stima assegnato ai conferimenti; h) che neppure era dato cogliere
una motivazione in ordine alla rappresentazione e volontà degli imputati di
aderire ad un’operazione dolosa, con specifico riguardo all’assenza
dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, della quale si era occupato
Massimo Romanelli, il quale, secondo numerosi testimoni, era convinto, anche
sulla scorta del parere di autorevoli e stimati professionisti, della sussistenza del
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la consulenza tecnica di parte del dott. Aguzzoli aveva concluso nel senso che il

provvedimento amministrativo; i) che del resto Massimo Romanelli esternava la
sua convinzione che fosse falso il provvedimento della Banca d’Italia di rigetto
della richiesta di autorizzazione; I) che, con atteggiamento ritenuto prudenziale
dal curatore della Banca Romanelli s.p.a., l’attività era in concreto iniziata due
anni dopo la costituzione.
3.7. Con il settimo motivo si lamentano vizi motivazionali, sia con riferimento
alla determinazione della pena, che si discosta, senza motivazione, dal minimo
edittale, sia con riguardo agli aumenti di pena per le circostanze aggravanti e per

circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., sia, infine, con riferimento al
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
4. Il ricorso proposto nell’interesse del Mandanti si affida ai seguenti motivi.
4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione dell’art.
2381 cod. civ., in relazione agli artt. 216 e 223, comma secondo, I. fall., in
relazione all’art. 2622 cod. civ.
Rileva il ricorrente che la riforma dell’art. 2381 cit., operata con il d. Igs. n. 5 del
2003, ha sostituito l’obbligo di vigilanza dei sindaci sull’operato dell’organo
amministrativo con una verifica avente ad oggetto la valutazione di documenti e,
in particolare, delle relazioni dei soggetti delegati e, in generale, con il dovere di
compiere i necessari accertamenti solo quando si manifestino elementi
sintomatici di una situazione pregiudizievole per la società.
Ribadito che la conoscenza del fatto illecito non è equiparabile alla conoscibilità,
aggiunge il ricorrente: a) che nel corso dei circa due anni e mezzo nei quali il
Mancianti aveva ricoperto il ruolo di sindaco della Romanelli Finanziaria non
erano emersi segnali di allarme; b) che, in particolare, per quanto concerne la
raccolta di risparmio mediante l’emissione di warrant, in violazione del disposto
dell’art. 2410 cod. civ., lo stesso curatore fallimentare aveva riconosciuto che
esisteva una situazione di incertezza che aveva condotto lo stesso Ufficio Italiano
Cambi a disporre un accertamento ispettivo solo in data 16/11/2001, dieci mesi
dopo l’uscita dell’imputato dal collegio sindacale; c) che, per quanto concerne
l’operazione di cessione del marchio, il valore di quest’ultimo era stato oggetto di
una stima, prudenzialmente disposta, in assenza di obbligo di legge; d) che,
inoltre, non era dato intendere per quale motivo il Mancianti avrebbe dovuto
supporre che Mediatarget s.r.l. non fosse in grado di onorare le proprie
obbligazioni, che, infatti, erano state adempiute con il pagamento delle tre rate
scadenti dal 30/09/2001 al 31/03/2002; e) che la cessione dell’uso del marchio
da parte della Mediatarget s.r.l. in favore della Romanelli finanziaria era poi
intervenuta nel dicembre 2001, quando il Mancianti non era più sindaco di
quest’ultima società; f) che, d’altra parte, la relazione del consiglio di
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il vincolo della continuazione, sia con riferimento alla mancata concessione della

amministrazione al bilancio chiuso al 31/12/1999 non faceva affatto riferimento
all’operazione di cessione del marchio e che la valutazione di stima non appariva,
all’epoca, così lontana dalla realtà; g) che non vi era alcun motivo che
giustificasse la svalutazione del credito vantato nei confronti della Mediatarget
s.r.I., sia nel bilancio al 31/12/1999, quando l’operazione si era appena
perfezionata, sia nel bilancio successivo, peraltro predisposto e approvato,
quando il Mancianti si era ormai dimesso.
4.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 42 cod. pen., in

Corte territoriale ritenuto sufficiente il dolo eventuale, laddove la fattispecie di
bancarotta societaria addebitata all’imputato richiede il dolo intenzionale.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dei Romanelli è infondato.
L’art. 238-bis cod. proc. pen., infatti, attraverso il non perspicuo richiamo agli
artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen., intende escludere che la sentenza
irrevocabile possa avere, sul piano dimostrativo, un’efficacia superiore alle altre
prove.
A meno di non voler ritenere la previsione assolutamente inutile, dal momento
che è nell’art. 238 cod. proc. pen. che va colta la disciplina dell’acquisizione dei
verbali di prove di altri procedimenti, essa va allora intesa come mera esclusione
dell’efficacia vincolante del giudicato penale (v., infatti, Sez. 3, n. 8823 del
13/01/2009, Cafarella, Rv. 242767) ed esprime l’esigenza di garantire in ogni
caso l’esercizio del diritto di difesa, senza imporre una automatica trasposizione
delle regole operative elaborate, in relazione all’art. 192, comma 3, del codice di
rito, con riguardo alle dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo imputato o
da persona imputata in procedimento connesso.
È proprio con riferimento all’ipotesi, destinata a venire in rilievo nel caso di
specie, in cui la sentenza acquisita sia stata resa nei confronti del medesimo
imputato, che si avverte come il significato del richiamo all’art. 192, comma 3,
cod. proc. pen. non possa essere parametrato rispetto alla finalità di particolare
cautela valutativa derivante dalle caratteristiche soggettive dei dichiaranti
coimputati o imputati in un reato connesso, ma alla specifica ratio sottesa alla
formulazione dell’art. 238-bís di esaltare il principio del libero convincimento del
giudice penale, in omaggio ai principi dell’autonomia di ciascun processo e della
formazione della prova in dibattimento (Corte cost., 06/02/2009, n. 29).
D’altra parte, anche sistematicamente non è pensabile che l’accertamento
operato dalla sentenza irrevocabile possa avere un rilievo probatorio inferiore a
quello del verbale delle prove assunte con la partecipazione del difensore
dell’imputato, a norma dell’art. 238, comma 2-bis cod. proc. pen.
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relazione agli artt. 2622 cod. civ. e 223, comma secondo, I. fall., per avere la

In definitiva, come chiarito dalla citata sentenza n. 29 del 2009 della Corte
costituzionale, “la sentenza irrevocabile non può essere considerata un
documento in senso proprio, poiché si caratterizza per il fatto di contenere un
insieme di valutazioni di un materiale probatorio acquisito in un diverso giudizio;
tuttavia, neppure può essere equiparata alla prova orale. Ne consegue che, in
relazione alla specifica natura della sentenza irrevocabile, il principio del
contraddittorio trova il suo naturale momento di esplicazione non nell’atto
dell’acquisizione – nel quale, del resto, non sarebbe ipotizzabile alcun

della valutazione e utilizzazione. Una volta che la sentenza è acquisita, le parti
rimangono libere di indirizzare la critica che si andrà a svolgere, in
contraddittorio, in funzione delle rispettive esigenze. Nel corso del dibattito, ai
fini della valutazione e utilizzazione in questione, non si potrà non tenere conto
del tipo di procedimento (ordinario, abbreviato, con accettazione della pena) in
cui la sentenza acquisita è stata pronunciata e, quindi, anche del contraddittorio
in esso svoltosi”.
Da tali premesse discende l’infondatezza del rilievo difensivo che ritiene
necessari, rispetto agli accertamenti contenuti nella sentenza irrevocabile resa
nei confronti degli stessi imputati, ulteriori elementi di riscontro.
Al contrario, risulta corretto il procedimento logico – giuridico seguito, nel caso di
specie, dal giudice di merito, che ha esaminato gli elementi probatori posti a
fondamento della precedente decisione e li ha criticamente valutati rispetto alle
ulteriori emergenze probatorie acquisite per iniziativa della difesa, evidenziando
l’inidoneità di queste ultime a sorreggere conclusioni diverse rispetto a quelle già
raggiunte dalla sentenza ormai divenuta irrevocabile.
2. Il secondo motivo del medesimo ricorso è inammissibile.
Esso concerne il rigetto della richiesta di audizione dei giudici che avevano
omologato l’atto costitutivo della Banca Romanelli s.p.a. e del P.M. che aveva
apposto il visto preventivo e quello successivo all’omologa, nonché di uno dei tre
giudici del collegio, il dott. Puliga, anche quale persona alla quale il teste Flora si
era riferito per la conoscenza dei fatti sui quali aveva deposto.
Al riguardo, deve ribadirsi che è “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606
lett. d) cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni
contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita,
avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non
assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante
(Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo avere premesso un dato di centrale
rilievo sul piano logico, sul quale si registra il silenzio assoluto dei ricorrenti,
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contraddittorio, se non in ordine all’an dell’acquisizione – ma in quello successivo

ossia la circostanza che non è rimasta alcuna traccia documentale
dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, che i Romanelli assumono
essere stata rilasciata, prima dell’espresso diniego da parte della Banca d’Italia,
ha osservato, con argomentazioni che valgono ad escludere la decisività delle
prove richieste: a) che i cancellieri ascoltati non avevano riferito nulla di specifico
al riguardo; ciò che viene confermato dalla sintetica riproduzione del contenuto
delle deposizioni contenuta in ricorso, dalla quale si può solo arguire che nel
2000 il Tribunale di Firenze fu chiamato ad omologare soltanto un atto

b) che, del pari, irrilevante era la deposizione del notaio Bon, il quale non aveva
fatto alcun accenno ad un’autorizzazione espressa, prospettando semmai che i
Romanelli potessero sostenere che si era formato il silenzio – assenso; e tale
rilievo non è oggetto di alcuna critica dei ricorrenti, che, invece, assumono, in
termini meramente congetturali, di poter trarre dal rilievo del dott. Puliga su un
aspetto marginale della pratica, la prova dell’esistenza dell’autorizzazione, dal
momento che nulla era stato osservato al riguardo; c) che i componenti del
collegio che aveva omologato l’atto costitutivo della Banca Romanelli s.p.a.
avevano, in una loro missiva, evidenziato di non poter fornire elementi in ordine
al contenuto del fascicolo in questione, tenuto conto del tempo decorso e delle
migliaia di pratiche esaminate ogni anno; laddove i ricorrenti valorizzano una
frase attribuita al dott. Puliga, il quale aveva escluso che potesse aver visionato
il fascicolo senza avvedersi dell’assenza di autorizzazione della Banca d’Italia,
trascurando, però, di aggiungere che i medesimi giudici avevano anche
prospettato la possibilità di un mero errore nella decisione, in tal modo offrendo
chiara conferma del carattere meramente ipotetico e non decisivo di ogni
contraria ricostruzione; d) che pure la deposizione del Flora, richiamata in ricorso
e avente ad oggetto le dichiarazioni del Puliga, che aveva affermato di avere
visto l’autorizzazione, era elisa, nella sua portata (e nella conseguente decisività,
per quanto qui rileva, dell’audizione del giudice, ai sensi dell’art. 195, cod. proc.
pen.), dal fatto che il medesimo Flora aveva dichiarato che, in altro colloquio (a
proposito del quale nulla si dice in ricorso) il Puliga aveva, invece, ricostruito i
fatti in modo diverso, evidentemente dubitando che l’autorizzazione esistesse.
3. Il terzo motivo è infondato.
L’esame dello stesso – e dei successivi due motivi – deve essere preceduto dalla
considerazione che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui
all’art 223, comma secondo, n. 2, I. fall., attengono alla commissione di abusi di
gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo
nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per
la “salute” economico-finanziaria della impresa (ancorché di natura omissiva,
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costitutivo di società avente come oggetto sociale l’esercizio di attività bancaria;

purché produttivi di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse
per l’impresa: Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013 – dep. 17/03/2014, Beretta, Rv.
259997) e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non
già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione,
dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore
complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un
procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez.
5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684).

dissimulazione dello stato di dissesto, ossia tradursi in manovre dirette
all’artificiosa apparenza della integrità patrimoniale (si veda, in motivazione, Sez.
5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti s.p.a., Rv. 247313)
D’altra parte, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria di cui
si tratta non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento,
costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una
causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di
cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia
cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione
di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben
distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica (Sez. 5, n. 40998 del
20/05/2014, Concu, Rv. 262189; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013 – dep.
21/02/2014, Besurga, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 cit.)
Ciò posto, si osserva che i ricorrenti svolgono gran parte delle loro considerazioni
avendo riguardo al tema della riconducibilità formale o non degli

warrant alla

categoria delle obbligazioni, ancora una volta, come già nel processo definito da
Sez. 5, n. 2071 del 25/11/2008 – dep. 20/01/2009, Romanelli, Rv. 242358,
trascurando gli aspetti economici delle operazioni, sui quali puntualmente si
concentra la Corte territoriale.
Ma soprattutto non considerano, se non in termini generici, il dato rappresentato
dal fatto che, al di là dello scaglionamento delle scadenze, evidentemente
finalizzato ad evitare l’immediato

default,

l’emissione degli

warrant aveva

comportato un fortissimo squilibrio sostanziale tra capitale proprio e capitale di
debito, esistente già con riguardo all’esercizio 1998 (e del resto era stato
puntualmente avvertito da Sandro Malevolti presidente del collegio sindacale
della Romanelli Finanziaria s.p.a. sino al 1997), ma destinato ad aggravarsi negli
esercizi successivi.
4. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto valorizza profili del tutto privi di
concludenza rispetto ai puntuali rilievi della Corte territoriale, la quale ha colto la
finalità dissimulativa delle perdite in atto nella fittizia operazione di cessione del
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A tal fine, siffatte operazioni dolose ben possono essere strumentali alla

marchio, sottolineando l’assoluta inadeguatezza della cessionaria a realizzare le
previste attività di valorizzazione, sulle quali il ricorso insiste.
Del resto, la Mediatarget s.r.I., collegata ai Romanelli e costituita con un capitale
sociale di soli venti milioni di lire, era del tutto priva di attivo patrimoniale ed era
praticamente inattiva, con la conseguenza che non è dato intendere come
avrebbe potuto far fronte al pagamento del corrispettivo pattuito di quasi nove
miliardi di lire, che infatti era stato dilazionato nel tempo sino al 30/09/2001
(laddove la plusvalenza era stata interamente imputata all’esercizio 1999) e solo

Il carattere assolutamente fittizio dell’operazione e la sua strumentalità rispetto
all’occultamento delle perdite rende del tutto irrilevanti le clausole di riserva della
proprietà a garanzia della cedente o la loro valorizzazione nelle controversie che
hanno visto impegnate le curatele fallimentari, giacché ciò che conta nel
presente procedimento è essenzialmente il primo profilo, ossia la preordinazione
ad aggravare lo stato di dissesto in essere attraverso operazioni di pura facciata.
5. Il quinto motivo che investe la specifica situazione della Banca Romanelli
s.p.a. è inammissibile, in quanto le censure, oltre a non considerare la stretta
correlazione tra lo stato di dissesto della Finanziaria e la conseguente assenza di
solidità economica del nuovo soggetto giuridico, trascurano il dato,
assolutamente essenziale, della assenza di autorizzazione all’esercizio
dell’attività bancaria che pregiudicava in radice la concreta possibilità di svolgere
l’attività imprenditoriale prevista, con il conseguente gravissimo pregiudizio dei
creditori.
6. Il sesto motivo del ricorso in esame è infondato.
Come si avrà modo di ribadire in fra sub 9, in tema di bancarotta fraudolenta
impropria, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non
determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è
configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il
profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della
condotta antidoverosa. (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, Rv. 265510)
Occorre, al riguardo, aggiungere che, con riferimento alla responsabilità degli
amministratori non esecutivi, l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di
legittimità appare, sul punto – come ricordato da Sez. 5, n. 32352 del
07/03/2014, Tanzi, Rv. 261943 – , uniforme sin da Sez. 5, n. 23838 del
04/05/2007, Amato, Rv. 237251.
In tale pronuncia, questa Corte ha rilevato che la riforma della disciplina delle
società, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, ha certamente modificato il quadro
normativo dei doveri di chi è preposto alla gestione della società ed ha
compiutamente regolamentato la responsabilità dell’amministratore destinatario
10

parzialmente onorato a partire da tale data.

di delega. E, così, ha delineato, da un lato, il criterio direttivo dell'”agire
informato”, che sostiene il mandato gestorio (art. 2381 cod. civ., comma 5) e,
correlativamente, l’obbligo di ragguaglio informativo sia a carico del presidente
del consiglio di amministrazione (art. 2381 cod. civ., comma 1) sia in capo agli
amministratori delegati, i quali, con prestabilita periodicità, devono fornire
adeguata notizia “sui generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile
evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o
caratteristiche, effettuate dalla società o dalle sue controllate” (art. 2381 cod.

disposizione letterale – alleggerito gli oneri e le responsabilità degli
amministratori privi di deleghe, poiché l’art. 2392 cod. civ., comma 1 chiarisce
che essi sono responsabili verso la società nei limiti delle attribuzioni proprie,
quali stabilite dalla disciplina normativa. È stato, dunque, rimosso il generale
“obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione” (già contemplato
dall’art. 2392 cod. civ., comma 2), sostituendolo con l’onere di “agire informato”,
atteso il potere (che si qualifica come doveroso nell’ottica dell’indicazione
normativa sulla modalità di gestione informata) di richiedere informazioni (senza
che ciò assegni anche un’autonoma potestà di indagine).
Analogamente, è stato rinnodulato il contenuto dell’art. 2403 cod. civ., a
proposito dei doveri del collegio sindacale.
La sentenza n. 23838 del 04/05/2007, Amato cit. ha aggiunto che certamente
occorre individuare il limite operativo dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.,
quando sia correlato ad incriminazioni connotate da volontarietà, onde evitare di
sovrapporlo o, peggio, sostituirlo con responsabilità di natura colposa,
incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatici. In questa prospettiva,
l’analisi del profilo della responsabilità discendente dall’art. 40, comma secondo,
cit. per condotte connotate da volontarietà e la configurazione della “posizione di
garanzia” che qualifica il ruolo dell’amministratore (come pure quello del sindaco,
che rileva nel presente procedimento, con riferimento alla posizione del
Mancianti, per la quale si veda infra, sub 8 e 9) evidenzia due momenti, tra loro
complementari, ma idealmente distinti ed entrambi essenziali.
Il primo postula la rappresentazione dell’evento, nella sua portata illecita, il
secondo – discendente da obbligo giuridico – l’omissione consapevole
nell’impedirlo.
Entrambe queste due condizioni debbono ricorrere nel meccanismo tratteggiato
dal nesso di causalità giuridica di cui si discute. Non è, quindi, responsabile chi
non abbia avuto rappresentazione del fatto pregiudizievole (sì che l’omissione
dell’azione impeditiva non risulti connotata da consapevolezza).

11

civ., comma 5). In tal modo la riforma ha indubbiamente – con più puntuale

Ovviamente, l’evento può essere oggetto di rappresentazione anche eventuale;
pertanto chi consapevolmente si sia sottratto dall’esercitare i poteri-doveri di
controllo attribuiti dalla legge, accettando il rischio, presente nella sua
rappresentazione, di eventi illeciti discendenti dalla sua inerzia, può rispondere di
essi ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.
Tale soluzione non comporta alcuna equiparazione tra conoscenza e conoscibilità
dell’evento che si deve impedire.
In linea generale, infatti, l’affidamento riposto nella condotta dell’amministratore

corredo di competenza professionale, laddove l’accusa dimostri la presenza di
segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito, nonché l’accertamento
del grado di anormalità di questi sintomi, non in linea assoluta, ma per
l’amministratore non operativo, oltre che, s’intende, la percezione degli stessi in
capo agli imputati.
In definitiva, volendo sintetizzare il senso complessivo di siffatta ricostruzione
giurisprudenziale, i segnali perspicui e peculiari di operazioni anomale devono
tradursi in indizi gravi, precisi e concordanti della conoscenza da parte
dell’amministratore non esecutivo della probabile realizzazione di eventi
pregiudizievoli e impongono sia l’attivazione delle necessarie e non
predeterminate fonti conoscitive richieste dall’ordinamento – e, infatti, la cit.
sentenza n. 23838 del 2007 aggiunge significativamente che esse non possono
ragionevolmente ridursi all’informazione resa in seno al consiglio di
amministratore o al solo ambito societario – non potendo l’affidamento spingersi,
come s’è detto, sino alla cieca rinuncia delle personali facoltà critiche o del
corredo di competenze professionali, sia l’adozione di tutte le iniziative, rientranti
nelle attribuzioni degli stessi, volte ad impedire gli eventi medesimi, in ciò
concretandosi l’obbligo di agire informati.
Del tutto coerente con siffatta ricostruzione è l’affermazione contenuta nella
motivazione di Sez. 5, n. 43101 del 03/10/2007, Mazzotta, Rv. 238498, laddove
si legge che il combinato disposto degli artt. 40 cpv. e 43 cod. pen non deroga
alla lettura dell’elemento psicologico del reato: la nozione di dolo, come la
giurisprudenza ha ormai insegnato da tempo, è estensibile anche al c.d. “dolo
eventuale”, ossia alla commissione di una condotta omissiva, accompagnata
dalla rappresentazione del rischio di consentire in tal modo il verificarsi
dell’evento che il soggetto ha l’obbligo di impedire.
Quest’ultima decisione, peraltro, aggiunge che non è sufficiente la
rappresentazione della mera possibilità dell’evento, che (risultando sempre
configurabile nella prospettazione delle cose future) non è idoneo paradigma
valutativo. Necessita, invece, una qualche misura di probabilità dell’evenienza e
12

non può implicare anche una cieca rinuncia delle personali facoltà critiche o del

che questa, sia pur modesta ma più concreta prospettiva, venga rappresentata
dall’autore dell’omissione. Diversamente il giudizio che si limiti alla “conoscibilità”
del fatto approda inevitabilmente a schemi propri della colpa, improponibili per le
fattispecie (come la bancarotta fraudolenta) contrassegnate dal dolo.
In questo senso, va, dunque, intesa la contrapposizione tra conoscenza e
conoscibilità.
Non potendo l’elemento soggettivo che essere desunto da elementi obiettivi
rivelatori dell’atteggiamento psicologico dell’agente (ossia, per usare

252945, non essendo possibile entrare “nella testa” degli amministratori) è dalla
conoscenza dei segnali di allarme, intesi come momenti rivelatori, con qualche
grado di congruenza, secondo massime di esperienza o criteri di valutazione
professionale, del pericolo dell’evento, che può desumersi la prova della
ricorrenza della rappresentazione dell’evento da parte di chi è tenuto – per la
posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento ad uno specifico

devoir

d’alette (che include in sè anche l’obbligo di una più pregnante sensibilità
percettiva, oltre che il dovere di ostacolare l’accadimento dannoso). Ovviamente,
secondo la puntualizzazione della citata sentenza n. 43101 del 2007, questa
dimostrazione deve inquadrarsi nel bagaglio di esperienza e cognizione
professionale proprio del preposto alla posizione di garanzia, la cui valutazione in rapporto al sintomo allarmante – deve esplicarsi in concreto, volta per volta:
dal che consegue che la convinzione di questa percezione e del relativo grado di
potenzialità informativa del fatto percepito, è rimessa alla valutazione del giudice
di merito, insuscettibile di censura se accompagnata da adeguata giustificazione.
In definitiva, nella prospettiva del dolo eventuale, l’evento pregiudizievole, in
coerenza con il giudizio di prognosi postuma che sorregge l’accertamento
giudiziale, è oggetto di una rappresentazione in termini di probabilità, cui si
accompagna l’inerzia dell’amministratore, che, in tal modo, accetta il rischio del
suo verificarsi (in termini, v. Sez. 5, n. 45513 del 05/11/2008, Ferlatti, Rv.
241852).
Quest’ultima decisione aggiunge, in linea con i precedenti approdi
giurisprudenziali, che gli “indici di allarme” rappresentano i sintomi eloquenti del
fatto

in itinere.

Della loro relativa consapevolezza soltanto (e non

dell’accadimento nella suo compiuta fisionomia) deve darsi pieno riscontro in
capo all’imputato, preposto alla posizione di garanzia, ma la dimostrata
percezione di questi sintomi di pericolo concreta adeguato riscontro alla penale
responsabilità, salvo che sia fornita convincente e legittima giustificazione sulle
ragioni che hanno indotto il soggetto all’inerzia.

13

l’espressione di Sez. 5, n. 3708 del 30/11/2011 – dep. 30/01/2012, Ballatori, Rv.

Non diversa prospettiva argomentativa si coglie in Sez. 5, n. 36595 del
16/04/2009, Bossio, Rv. 245138, secondo cui, in tema di reati fallimentari e
societari, ai fini della affermazione della responsabilità penale degli
amministratori senza delega e dei sindaci è necessaria la prova che gli stessi
siano stati debitamente informati oppure che vi sia stata la presenza di segnali
peculiari in relazione all’evento illecito, nonché l’accertamento del grado di
anormalità di questi sintomi, giacché solo la prova della conoscenza del fatto
illecito o della concreta conoscibilità dello stesso mediante l’attivazione del

giuridico degli amministratori non operativi e dei sindaci di intervenire per
impedire il verificarsi dell’evento illecito, mentre la mancata attivazione di detti
soggetti, in presenza di tali circostanze, determina l’affermazione della penale
responsabilità, avendo la loro omissione cagionato, o contribuito a cagionare,
l’evento di danno. E nella stessa linea si muove anche Sez. 5, n. 21581 del
28/04/2009, Mare, Rv. 243889.
Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012 – dep. 28/05/2013, Berlucchi, Rv. 256939, al
pari di Sez. 5, n. 42519 del 08/06/2012, Bonvino, Rv. 253765 ribadisce quanto
già sopra ricordato, ossia che non è sufficiente la presenza dei c.d. segnali
d’allarme da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il
rischio del verificarsi di detto evento, ma è necessario che l’imputato ne sia
concretamente venuto a conoscenza ed abbia volontariamente omesso di
attivarsi per scongiurarlo.
Ed è sul crinale della conoscenza dei segnali d’allarme, allora, che si misura
l’accertamento demandato al giudice di merito e la puntualizzazione, contenuta
nella sentenza da ultimo citata, secondo la quale un conto è che l’amministratore
privo di delega rimanga indifferente dinanzi ad un “segnale di allarme” percepito
come tale, in quanto decida di non tenere in considerazione alcuna l’interesse dei
creditori o il destino stesso della società, ben altra cosa è che egli continui a
riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri.
Nella specie, i giudici di merito, con motivazione che non esibisce alcuna
manifesta illogicità, hanno appunto tratto dalla natura operativa dei compiti dei
ricorrenti, sia pure subordinati alle scelte del fratello Massimo, la piena capacità
di cogliere nelle dolose operazioni sopra descritte, icasticamente definite
“assolutamente autoevidenti”, l’idoneità causale ad incidere sullo stato di
dissesto delle due società delle quali si discute, con conseguente rilevanza sia
della condotta omissiva sia di quella di attivo concorso nell’assunzione delle
delibere del consiglio di amministrazione.

14

potere informativo, in presenza di segnali inequivocabili, comporta l’obbligo

D’altra parte, nel caso dei Romanelli, come pure del Mancianti, proprio
l’intraneità alla struttura organizzativa in questione, rende privi di rilievo i ritardi
delle autorità di vigilanza nell’individuare irregolarità.
7. Il settimo motivo del medesimo ricorso è infondato.
Al riguardo si osserva: a) con riferimento alla circostanza attenuante di cui
all’art. 114 cod. pen., che esattamente la Corte territoriale ha richiamato il
principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui tale circostanza trova applicazione laddove l’apporto del correo risulti così

tutto marginale ( (Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Caradonna, Rv. 264455),
laddove, nel caso di specie è stato sottolineato, anche attraverso il richiamo
implicito ma non equivoco alla parte motivazionale relativa all’affermazione di
responsabilità, il contributo fornito dai due imputati alla realizzazione dei reati;
b) che, nonostante la pur sottolineata gravità dei reati, la Corte territoriale ha
valorizzato i profili soggettivi per contenere in termini prossimi al minimo edittale
la determinazione della pena base (quattro anni di reclusione) e in misura ridotta
gli aumenti ulteriori; c) la comparazione con la posizione del Mancianti, quanto al
contestato diniego delle circostanze attenuanti generiche, è assolutamente priva
di concludenza, in quanto si fonda sulla categoria astratta dell’elemento
soggettivo rinvenuto nei due casi, senza considerare che ben altro è stato,
secondo la ricostruzione della sentenza, il ruolo dei ricorrenti, anche alla luce
della condanna riportata nel distinto processo per esercizio abusivo dell’attività
bancaria.
8. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del Mancianti è, nel suo
complesso, infondato.
Con riferimento ai profili giuridici della responsabilità dei sindaci, che presenta
tratti sovrapponibili a quella degli amministratori non esecutivi, è sufficiente
rinviare, per comodità espositiva, alle considerazioni sviluppate supra sub 6.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, con motivazione che non palesa alcuna
manifesta illogicità, ha rilevato: a) che nel significativo arco temporale in cui il
ricorrente aveva ricoperto il ruolo di sindaco si collocavano due dei principali fatti
che avevano portato al fallimento della Romanelli finanziaria s.p.a., ossia
l’enorme incremento degli oneri passivi derivanti dal collocamento degli

warrant

e la fittizia cessione del marchio alla Mediatarget s.r.I.; b) che, con riguardo
all’emissione degli warrant, i segnali di allarme erano molteplici ed evidenti sin
da prima dell’ispezione dell’Ufficio Italiano Cambi del 2001 – 2002, con la
conseguenza che i componenti del collegio sindacale non potevano omettere di
rilevare l’intrinseca pericolosità dell’ingente esposizione debitoria che gravava
sulla Romanelli Finanziaria s.p.a. per importi imponenti in relazione alle limitate
15

lieve da apparire, nell’ambito della relazione di causalità, quasi trascurabile e del

D

dimensioni del capitale sociale; c) che il valore nominale in linea capitale degli
warrant

era aumentato costantemente sin dal 1996, con un’abnorme

moltiplicazione dell’indebitamento rilevata, come si è sopra notato, dal Malevolti,
che era cessato dalle funzioni sin dal 1997; d) che l’operazione di cessione del
marchio, sottoposta al collegio sindacale in sede di esame del bilancio al
31/12/1999, non era sorretta, per quanto sopra ricordato a proposito della
posizione dei Romanelli, da alcuna logica economica.
Le critiche svolte in ricorso non riescono ad evidenziare alcun profilo di manifesta

correttamente fondate sui doveri discendenti dall’art. 2403 cod. civ. e, può
aggiungersi, in particolare, sul dovere di vigilare sul rispetto dei principi di
corretta amministrazione.
In particolare, quanto all’emissione di

warrant, il ricorrente si concentra sui

profili di legittimità formale dell’operazione (peraltro, tutt’altro che persuasivi,
alla stregua di quanto sopra osservato, a proposito della posizione dei
Romanelli), ma trascura il rilievo altrettanto essenziale, ai fini dell’affermazione
di responsabilità, concernente l’intrinseca pericolosità scaturente dall’ingente
esposizione debitoria che gravava sulla Rornanelli Finanziaria s.p.a.
E si tratta di un dato certamente a conoscenza dell’imputato, anche
semplicemente alla luce delle informazioni trasmesse con riguardo al bilancio
relativo agli esercizi 1998 e 1999.
Quanto alla cessione del marchio, i rilievi critici del ricorrente risultano privi di
specificità.
La sentenza impugnata ha, infatti, ricordato che l’operazione era stata sottoposta
dal consiglio di amministrazione ai sindaci e ha sottolineato i caratteri di assoluta
anormalità della stessa, giacché, a fronte dell’ingente valore attribuito al
marchio, era stata individuata, come cessionaria, una società con
capitalizzazione minima, come dimostrato dalla singolarmente ampia dilazione di
pagamento concessa.
Nonostante tali puntualizzazioni, il Mancianti insiste nell’interrogarsi, del tutto
genericamente, su quali profili avrebbero dovuto indurre il dubbio sull’incapacità
di Mediatarget s.r.l. di provvedere al pagamento del prezzo, facendo poi
riferimento a irrilevanti circostanze successive alla cessazione del suo incarico
(quali il pagamento di tre rate di prezzo, per lire 834.375.000 a decorrere dal
30/09/2001) o prive di qualunque decisività (quale la cessione del credito per le
rate successive alla Banca Romanelli s.p.a.).
La circostanza che la relazione del consiglio di amministrazione al bilancio chiuso
al 31/12/1999 non facesse riferimento alla cessione del marchio è poi
meramente assertiva e, in ogni caso, collide con l’accertamento, non contestato
16

illogicità, in punto di accertamenti fattuali sottesi alle valutazioni giuridiche,

y

sul punto, che solo attraverso la fittizia plusvalenza derivante da tale operazione,
era stata impedita l’emersione delle perdite che, alla stessa data, avevano ormai
azzerato il capitale sociale.
9. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del Mancianti è, del pari,
infondato.
Deve, innanzi tutto, rilevarsi che il Mancianti è stato ritenuto responsabile, come
emerge in modo non equivoco dalla motivazione della sentenza impugnata, del
reato di bancarotta fraudolenta impropria, per avere, con la propria condotta

derivato dalle operazioni dolose sopra descritte e attribuite ai coimputati
Roma nelli .
Ne discende che sono del tutto fuori fuoco, in relazione alla sua posizione, le
considerazioni sviluppate in relazione alla fattispecie incriminatrice delle false
comunicazioni sociali e alle modifiche normative conseguenti all’entrata in vigore
della I. n. 69 del 2015, quali sviluppate nel corso della discussione.
Ciò posto, come questa Corte ha già affermato, con orientamento condiviso dal
Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi di fallimento
causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento
della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali
operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla
prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n.
45672 del 01/10/2015, Lubrina, cit. supra sub 6).
9. Alla pronuncia di rigetto dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la
condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13/11/2015

omissiva, concorso a cagionare il fallimento della Romanelli Finanziaria s.p.a.

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