Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21701 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21701 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

Data Udienza: 13/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMERLINGO ANTONIO N. IL 06/03/1951
avverso la sentenza n. 19/2012 TRIBUNALE di LATINA, del
10/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 14..3. ;
che ha concluso per —t

Udito, per la parte civile, l’Avv. ‘ax,QL,
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Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 10/04/2014 il Tribunale di Latina ha confermato la decisione
di primo grado, che aveva condannato Antonio Camerlingo alla pena di giustizia
e al risarcimento del danno, avendolo ritenuto responsabile del reato di lesioni
aggravate (art. 582, 61, n. 10, cod. pen.) commesso in danno di Giovanni
Passariello, responsabile dell’Ufficio condono edilizio, presso il quale il
Camerlingo prestava servizio, a seguito della richiesta, da parte del medesimo
Passariello, di spiegazioni circa l’assenza dell’imputato dalla sua stanza.

seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge, ribadendo che con la
prima doglianza formulata nell’atto di appello si era censurata l’assenza di
motivazione dell’ordinanza che aveva ammesso solo due testi tra quelli richiesti
dal P.M. e che l’imputato aveva chiesto di essere ammesso a controesaminare e,
in ogni caso, la sua indeterminatezza, per omessa specificazione dei nominativi
dei testi da escutere.
In conclusione, non era stato sentito il teste Marcoccio, che, pure, doveva
ritenersi uno dei due testi “puri” ammessi, tale non potendosi qualificare la
persona offesa, con conseguente erroneità della decisione del giudice di appello,
secondo il quale non poteva essere chiesta la rinnovazione dell’istruttoria per
assumere un teste della controparte non ammesso.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, rilevando che,
rispetto alla dinamica dell’episodio ricostruita dalla difesa, il giudice di appello, da
un lato, aveva riconosciuto che il teste Piovanello, trovandosi alle spalle del
Passariello, non aveva potuto confermare l’impatto delle mani dell’imputato con
il viso della persona offesa e, dall’altro, aveva affermato che le lesioni riportate
dall’imputato ben risultavano compatibili con l’asserita testata sferratagli dal
Passa nello.
A quest’ultimo riguardo, il ricorrente osserva: a) che il teste Piovanello, essendo
di spalle rispetto al Passariello, con difficoltà poteva scorgere il tentativo di
quest’ultimo di colpire con una testata il Camerlingo; b) che la “reazione a mo’ di
raptus” attribuita dal teste al Camerlingo confermava la percezione di
un’esigenza improvvisa di difesa; c) che la mancata presentazione di una
denuncia per le lesioni provocate dal Passariello era un elemento neutro, dal
quale non poteva trarsi alcuna indicazione sullo svolgimento dei fatti; d) che,
infine, non era l’imputato a dover spiegare come la persona offesa si fosse
procurata le lesioni accertate, essendo sufficiente, ai fini difensivi, sottolineare
l’incompatibilità delle stesse con la dinamica contestata; e) che, in ogni caso, il
tentativo di difesa personale posto in essere dall’imputato, a seguito della testata
1

2. L’imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione, affidato ai

ricevuta, avrebbe dovuto condurre a riconoscere la sussistenza della legittima
difesa.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, censurando, per un
verso, la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 10 cod. pen., in
quanto il Passeriello, nell’attività di verifica delle presenze in servizio degli altri
dipendenti comunali, non assumeva la qualità di pubblico ufficiale e, per altro
verso, il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n.
2, cod. pen.

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
La censura avente ad oggetto la violazione di legge, per omessa motivazione, in
ordine alla limitazione dei numero dei testimoni, è stata esaminata dal Tribunale,
che ha illustrato le ragioni della ritenuta, evidente superfluità dell’audizione di un
terzo teste sulle medesime circostanze indicate in relazione agli altri due.
Ora, va, in primo luogo, ribadito che il diritto alla prova riconosciuto alle parti
implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove
manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva
competenza del giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia
formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (Sez. U,
n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246585), che, nel caso di specie, non
vengono affatto rappresentati.
Per pura completezza argomentativa, può aggiungersi che, a voler seguire
l’esigenza difensiva rappresentata a sostegno della rilevata violazione di legge,
ossia quella di ascoltare il teste Marcoccio – che, secondo il ricorrente, sarebbe
stato ammesso, assieme all’altro teste “puro”, con il generico provvedimento di
limitazione della prova – il Camerlingo muove dalla premessa che un
provvedimento ammissivo sarebbe intervenuto.
E, tuttavia, al riguardo, va ribadito che la revoca dell’ordinanza amnnissiva di
testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova,
produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta
dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la
conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 2, n. 9761 del
10/02/2015, Rizzello, Rv. 263210).
2. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile.
Va, infatti, ribadito che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e
nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente
al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti
viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la
conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano
2

Considerato in diritto

nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale
probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168
e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 07/12/2012, Consorte, Rv. 254063).
Ora, il fatto che il teste Piovanello, a causa della sua posizione, pur avendo
percepito la fase iniziale dell’aggressione, mentre le mani dell’imputato andavano
verso il viso della persona offesa, non abbia colto l’impatto con la regione oculare
destra del Passariello non implica affatto l’assenza di prova della condotta
violenta che ha provocato le lesioni, giacché le dichiarazioni del testimone

Va, invero, considerato che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc.
pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto
a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n.
41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).
In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona
offesa non si deve tradurre nell’individuazione di prove dotate di autonoma
efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della
rilevanza probatoria delle prime.
Inoltre, il ricorrente sviluppa delle critiche all’apparato argomentativo della
sentenza, muovendo dalla premessa di un’affermazione del Tribunale inesistente.
Ed, infatti, nella sentenza impugnata non si legge che le lesioni sofferte
dall’imputato “ben risultano compatibili con un’asserita testata sferratagli dal
Passariello”, ma, al contrario, che esse “risultano compatibili non con un’asserita
testata sferratagli dal Passariello, che di certo avrebbe cagionato conseguenze
ben più gravi, ma dalla coljuttazione nata in seguito all’aggressione da lui
perpetrata a quest’ultimo”.
Quanto poi all’interpretazione che il ricorrente attribuisce alla deposizione del
Piovaniello, per il quale l’imputato “come colto da un raptus” si era lanciato
contro il Passariello, è appena il caso di rilevare che rinvenire in tale espressione
la dimostrazione dell’invocata legittima difesa è il frutto della reiterata
prospettazione della propria versione dei fatti, non accompagnata dall’indicazione
di elementi idonei a palesare la manifesta illogicità della motivazione che
sorregge le conclusioni del giudice di secondo grado.
Infine, del tutto fuori fuoco sono le critiche alle considerazioni dedicate dal
Tribunale alla scarsa credibilità della tesi difensiva secondo cui il Passariello
avrebbe dato una testata all’imputato.
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devono essere lette unitamente a quelle della persona offesa.

Ed, infatti, osserva la sentenza impugnata che, se ciò fosse accaduto, la persona
offesa avrebbe riportato una ferita sulla fronte e non nelle regione oculare.
In tale prospettiva, assolutamente decisiva, soprattutto alla luce degli altri
elementi dichiarativi raccolti nel processo, la valorizzazione della mancata
spiegazione di una dinamica alternativa idonea a rendere verosimili le
affermazioni dell’imputato non vale a trasferire su quest’ultimo un onere
probatorio che grava sull’accusa, ma a sottolineare l’assenza di qualunque
elemento, anche fornito dal Camerlingo, in grado di restituire alle sue

probatorio esistente.
Peraltro, neppur s’intende il riferimento a probabili atti autolesionistici del
Passariello, giacché, a ben vedere, la testata è stata esclusa dal Tribunale non
tanto per le ferite registrate, ma per quelle (alla fronte) non rinvenute.
3. Il terzo motivo è inammissibile, per manifesta infondatezza.
La prima articolazione investe la sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 61, n. 10, cod. pen., che, secondo il Tribunale, trae fondamento dal
rilievo che l’aggressione era avvenuta a causa del legittimo esercizio dei poteri
organizzativi e direttivi spettanti al Dirigente dell’ufficio.
Il ricorrente non critica l’accertamento fattuale che sorregge tale conclusione, ma
osserva che il Passeriello, nell’attività di verifica delle presenze in servizio degli
altri dipendenti comunali, non assumeva la qualità di pubblico ufficiale.
Il richiamo alle indicazioni di Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006, Sepe, Rv. 233423
(e mutatis mutandis a quelle di Sez. 5, n. 37262 del 14/07/2010, Taranto, Rv.
248651), tuttavia, non coglie nel segno.
È certamente esatto che non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico
la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio
riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti
che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente
inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che,
peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla
P.A.
E, tuttavia, in motivazione, le Sezioni Unite citate chiariscono, per giustificare
tale conclusione, che appare ineludibile distinguere, nell’attività del pubblico
impiegato – ed in un contesto in cui il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti
ha assunto connotazioni privatistiche, “gli atti che sono espressione della
pubblica funzione e/o del pubblico servizio e che tendono a conseguire gli
obiettivi dell’ente pubblico” da quelli “strettamente attinenti alla prestazione” di
lavoro, “ed aventi, perciò, esclusivo rilievo sul piano contrattuale e non anche su
quello funzionale”.
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affermazioni quella persuasività che, invece, non è stata colta nel quadro

Ora, la situazione del soggetto sovraordinato che opera delle verifiche relative
alla presenza in ufficio degli altri dipendenti è prodromica non solo
all’individuazione delle eventuali sanzioni da irrogare e, in generale, delle
decisioni relative alla gestione del rapporto di lavoro, ma anche alla adozione
delle misure occorrenti per assicurare la funzionalità del servizio.
Ne discende che correttamente è stata attribuita al Passariello la qualifica
soggettiva richiesta dall’art. 61, n. 10, cod. pen. e coerentemente si è ritenuto
che la condotta dell’imputato era stata posta in essere mentre il primo agiva

La seconda articolazione, che concerne il mancato riconoscimento della
circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen. è, del pari, inammissibile,
Del tutto assertivamente, infatti, il ricorrente deduce che l’alterco insorto tra i
due “evidenziava i toni inopportuni del Passariello” e che il Camerlingo sarebbe
stato provocato in quanto “verbalmente (e poi anche fisicamente) costretto
dall’altrui veemenza”.
Al contrario, secondo l’accertamento del giudice di merito, il primo
legittimamente aveva mosso una contestazione informale al’imputato, quanto
alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
Né elementi in senso contrario possono trarsi dalla assoluzione in primo grado
dell’imputato dal reato di cui all’art. 594 cod. pen., dal momento che essa si
fonda sul mero dato della reciprocità delle offese, che in sé rappresenta un
elemento equivoco rispetto alla sussistenza del fatto ingiusto integrante la
provocazione, per l’assorbente ragione che la causa di non punibilità di cui all’art.
599, comma primo, cod. pen., può essere riconosciuta anche a colui che abbia
offeso per primo (Sez. 5, n. 7401 del 26/09/2013 – dep. 17/02/2014,
Scardannaglia, Rv. 258980).
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. Del pari, il
ricorrente va condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel
giudizio di legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in
euro 1.800,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende; condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute
dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.800,00, oltre
accessori come per legge.
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nell’esercizio delle sue funzioni.

Così deciso in Roma il 13/11/2015
Il Presidente

Il Componente estensore

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