Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21694 del 21/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21694 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MARINO VINCENZO nato il 12/01/1966 a NAPOLI
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso l’ordinanza del 23/10/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI

Data Udienza: 21/02/2018

I.

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Ferdinando Lignola, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

quale il Tribunale di Napoli confermava in sede di riesame il decreto del Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata del 26 settembre
2017, dispositivo del sequestro preventivo della somma di euro 38.740,
rinvenuta in possesso del Marino, in quanto pertinente al reato di spendita di
marche da bollo contraffatte.

2. Il ricorrente propone due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge sul rigetto dell’eccezione
di nullità del decreto dispositivo del sequestro per omessa motivazione,
lamentando che tale provvedimento era ritenuto motivato con riguardo alla
configurabilità del reato, peraltro in base ad un generico rinvio all’ordinanza
applicativa della misura cautelare, trascurando il fatto che la motivazione del
decreto, in merito al rapporto pertinenziale fra la somma ed il reato, conteneva
solo un’apodittica affermazione sulla correlazione del denaro con la vendita delle
false marche da bollo, e che l’esistenza del pericolo nella disponibilità della
somma era giustificata esclusivamente dal richiamo all’art. 321, comma 1, cod.
proc. pen..
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge sulla ritenuta
sussistenza dei presupposti del sequestro, lamentando in primo luogo il
contrasto di quanto affermato nel provvedimento impugnato, per cui la somma
doveva ritenersi provenire dall’illecita attività contestata in quanto rinvenuta
accanto ai valori bollati falsi e al materiale utilizzato per la loro contraffazione,
con le circostanze per le quali il denaro era custodito in una cassaforte, al Marino
non è contestata un’attività di contraffazione e gli esemplari autentici e le
fotocopie di valori bollati non possono essere considerati strumenti per la
contraffazione. Il ricorrente rileva altresì che l’argomento difensivo sulla
sproporzione fra la somma e il valore delle marche da bollo false, vendute dei
due episodi contestati al Marino, era ritenuto irrilevante evocando l’inserimento
della condotta dell’indagato in un contesto associativo estraneo a quanto allo
stesso specificamente addebitato, e omettendo di considerare le diverse entrate
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1. Vincenzo Marino ricorre avverso l’ordinanza del 23 ottobre 2017 con la

a disposizione della famiglia del Marino; e lamenta infine il carattere apparente
della motivazione sul pericolo nella disponibilità della somma, riferita alla
destinazione del denaro a commettere ulteriori reati, che non spiegava le ragioni
per le quali il possesso della somma costituisca condizione necessaria per la
commissione di ulteriori fatti di spendita di valori falsi.

1.

Il motivo dedotto sul rigetto dell’eccezione di nullità del decreto

dispositivo del sequestro, per omessa motivazione, è inammissibile.
E’ in primo luogo manifestamente infondato il rilievo del ricorrente per il
quale il decreto di sequestro sarebbe stato ritenuto motivato, sulla configurabilità
del reato, in base ad un generico richiamo del decreto al contenuto
dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, laddove nel provvedimento
impugnato si precisava invece come tale richiamo rinviasse alla descrizione della
condotta di partecipazione del Marino a due episodi di vendita di marche
contraffatte.
Quanto al rapporto pertinenziale fra la somma sequestrata ed il reato, la
censura di apoditticità del decreto di sequestro sul punto è generica, risultando
invece dalla lettura del provvedimento che nello stesso l’apprensione della
somma era giustificata con un’argomentazione articolata nel riferimento sia alla
previsione di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., per essere la somma
suscettibile di confisca in quanto provento dei reati di vendita di marche
contraffatte, che a quella del comma 1 della norma citata, con riguardo alla
possibilità che il denaro venisse impiegato per la commissione di ulteriori reati.
Quest’ultimo passaggio motivazionale rende infine manifestamente
infondata la doglianza per la quale il periculum in mora sarebbe stato ritenuto
nel decreto con un mero richiamo all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.,
essendo stata invece specificata la ragione di cautela nella possibilità del prelievo
del denaro per la prosecuzione dell’attività criminosa.

2. Anche il motivo dedotto sulla ritenuta sussistenza dei presupposti del
sequestro è inammissibile.
Posto che il sequestro della somma era disposto anche per la finalità di
impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, la censura di omessa o
apparente motivazione su tale aspetto e sulla sussistenza dell’esigenza cautelare
è manifestamente infondata, nel momento in cui il richiamo del provvedimento
impugnato al rinvenimento della somma in prossimità dei valori bollati falsi e a
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CONSIDERATO IN DIRITTO

materiale utilizzato per la contraffazione, segnatamente etichette autoadesive,
fotocopie di valori bollati su carta adesiva e marche autentiche, rendeva
evidente, nell’argomentazione del Tribunale, la ritenuta correlazione del denaro
con un’attività illecita che richiedeva l’acquisto di materiale del genere, e quindi
l’impiego di risorse finanziarie. Tanto essendo sufficiente a giustificare la
legittimità del sequestro, sul luogo di ritrovamento della somma e sulla
proporzione della stessa rispetto ai pregressi episodi di vendita di marche
contraffatte, ai fini della ravvisabilità del diverso ed ulteriore profilo

ricorrente deduce comunque rilievi in fatto e comunque meramente
motivazionali, e in quanto tali non proponibili nel giudizio di legittimità in questa
materia, a fronte di quanto osservato nel provvedimento impugnato sulla
collocazione della somma accanto agli altri oggetti e sul valore indiziante di tale
circostanza in ordine alla derivazione del denaro dall’attività illecita .
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare
equo determinare in euro 2000.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 21/02/2018

dell’assoggettabilità del denaro a confisca in quanto provento di detti reati, il

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