Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21686 del 22/09/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21686 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CATANZARO
nei confronti di:
DE FAZIO ANTONIO N. IL 29/03/1976
GIAMPA’ VINCENZO N. IL 26/01/1970
MURACA ROBERTO N. IL 04/06/1978
TORCASIO ANGELO N. IL 20/11/1968
TORCASIO VINCENZO N. IL 29/07/1978
inoltre:
DE FAZIO ANTONIO N. IL 29/03/1976
MORELLO GIUSEPPE N. IL 29/05/1979
MURACA ROBERTO N. IL 04/06/1978
avverso la sentenza n. 901/2009 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 22/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 22/09/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale,
Dott. Maria Giuseppina Fodaroni, che ha così concluso: in parziale accoglimento
del ricorso del P.G., annullamento con rinvio per il capo 1 relativamente a
Torcasio Vincenzo e Giampà Vincenzo; per il capo 16 relativamente a Muraca
Roberto e Giampà Vincenzo; per il capo 80 relativamente a Muraca Roberto e
De Fazio Antonio e rigetto nel resto del ricorso del P.G.; rigetto dei ricorsi degli
imputati;

ha chiesto l’accoglimento del ricorso e la reiezione dell’impugnazione del PG;
udito per i ricorrenti Muraca Roberto, Morello Giuseppe e Giampà Vincenzo
l’avv. Careri Gianluca, quale sostituto processuale dell’avv. Canzoniere Lucio per
Morello e dell’avv. Spinelli Gianfranco per Giampà, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso del Morello e la reiezione del ricorso del P.G. per
Giampà, e per Muraca la reiezione del ricorso del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20.1.2009 la Prima Sezione di questa Corte annullava con
rinvio per nuovo esame la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del
7.6.2007 con la quale, in riforma della sentenza del 27 dicembre 2005 del G.U.P.
presso il Tribunale di Catanzaro – appellata, tra gli altri, da De Fazio Antonio,
Giannpà Vincenzo, Morello Giuseppe, Muraca Roberto, Torcasio Angelo e Torcasio
Vincenzo- assolveva tutti gli appellanti, perché il fatto non sussiste, dal reato di
cui all’art. 74, commi 1, 2, 3, D.P.R. n. 309 del 1990, ad essi ascritto al capo 1),
per essersi associati – rivestendo il Muraca ed il De Fazio il ruolo di promozione e
direzione – allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’art. 73
d .P.R. n. 309 del 1990 nel settore della cocaina, eroina e marijuana, nella città
di Lamezia Terme, nonché i predetti imputati da alcuni reati fine di cui all’art. 73
D.P.R. n. 309 del 1990, loro rispettivamente ascritti.
1.1. Questa Corte rilevava, tra l’altro, che i giudici d’appello avevano ritenuto
non adeguatamente dimostrata l’esistenza degli elementi costitutivi del reato di
cui all’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, così ribaltando completamente la
decisione di primo grado sul punto, senza però fornire una spiegazione analitica e
puntuale della diversa interpretazione degli elementi di prova valorizzati dal
primo giudice, solo sommariamente indicati nella decisione impugnata
(dichiarazioni accusatorie di Macrina Gioacchino Marco e di Bua Rosario;
“imponente compendio captativo” caratterizzato dall’uso di “linguaggio criptico”);
l’inadeguatezza dell’apparato motivazionale della decisione impugnata emergeva
evidente, considerando che la natura dell’appello come “revisio prioris
instantiae” doveva comportare la doverosa motivazione analitica del dissenso
dalla decisione impugnata, sia nel caso di “nova” emersi nel corso di giudizio di
1

udito per il ricorrente De Fazio Antonio, l’avvocato Truncé Romualdo, che

secondo grado, sia “a fortiori”, in caso di materiale istruttorio inalterato, ma
diversamente valutato.
Considerazioni non dissimili valevano relativamente alla decisione dei giudici di
appello di prosciogliere gli appellanti De Fazio, Giampà, Morello, Muraca e
Torcasio Angelo dai “reati fine” ad essi rispettivamente contestati, ai capi 7), 16),
25), 42), 43), 46), 47), 51), 75), 77), 80) e 91), caratterizzandosi, anche tale
specifica statuizione, per l’indicazione del tutto sommaria degli elementi di prova

l’esposizione assolutamente generica delle ragioni giustificative della decisione
contraria, del tutto priva di richiami alle specifiche risultanze, che dimostravano
l’inadeguatezza del giudizio di responsabilità degli appellanti.
Per quanto riguardava, poi, le impugnazioni proposte da Giampà, Morello e
Torcasio, questa Corte rilevava che nella decisione impugnata mancava, in
effetti, una motivazione completa ed esauriente relativamente alle censure
prospettate nei rispettivi atti di appello, con riferimento, in primo luogo, a quella
riguardante l’inutilizzabilità delle disposte intercettazioni relative all’utenza di
telefonia mobile in uso a Muraca Roberto, in ragione della dedotta nullità del
decreto n. 39 del 2002 R.I.T., questione questa di decisiva rilevanza, in
considerazione del fatto che il contenuto delle intercettazioni costituiva uno dei
più rilevanti elementi di prova a carico dei predetti appellanti.
2. Con sentenza in data 22.1.2014 la Corte d’Appello di Catanzaro, in sede di
rinvio: assolveva Torcasio Vincenzo e Giampà Vincenzo dal reato associativo
di cui al capo 1) loro ascritto, per non per non aver commesso il fatto; previa
riqualificazione del delitto contestato al capo 88), ai sensi dell’art. 73, comma
5, DPR 309/90, per come sostituito dall’art. 2 decreto legge 23 dicembre
2013 n. 146, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Torcasio
Vincenzo per estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione; previa
riqualificazione del delitto contestato al capo 6) ai sensi dell’art. 73, comma 5,
DPR 309/90, per come sostituito dall’art. 2 decreto legge 23 dicembre 2013
n. 146, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Giampà Vincenzo
per estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione; assolveva Torcasio
Angelo dal reato a lui ascritto al capo 80), perchè il fatto non sussiste e, per
l’effetto, rideterminava l a pena in relazione ai residui reati a lui ascritti e per i
quali era stato già condannato in primo grado in anni cinque di reclusione;
assolveva De Fazio Antonio dai reati a lui ascritti ai capi 42), 43), 46), 80) e
91), perchè il fatto non sussiste e, per l’effetto, previa esclusione del ruolo di
promotore, riconosciuto nella sentenza appellata, rideterminava la pena, in
relazione ai reati a lui ascritti in rubrica e per i quali era stato già condannato
in primo grado, in anni cinque, mesi undici e giorni dieci di reclusione; assolveva

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valorizzati dal primo giudice, ai fini della pronuncia di condanna e per

Muraca Roberto dai reati a lui ascritti ai capi 16), 42), 43), 46), 47) e 80),
perché il fatto non sussiste e, per I ‘effetto, rideterminava I a pena in
relazione ai residui reati a lui ascritti e per i quali era stato già condannato in
primo grado in anni dieci e mesi quattro di reclusione; previa riqualificazione
del delitto contestato al capo 2), ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90,
per come sostituito dall’art. 2 decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146,
dichiarava non doversi procedere nei confronti di Morello Giuseppe per

Giuseppe dai reati a lui ascritti ai capi 7) e 14) della rubrica, perché il fatto non
sussiste e, per l’effetto, rideterminava I a pena in relazione ai residui reati a
lui ascritti e per i quali era stato già condannato in primo grado in anni quattro
e mesi nove di reclusione; dichiarava non luogo a provvedere nei confronti dì
Morello Giuseppe in ordine al reato di cui al capo 124) della rubrica, essendo
definitiva la sentenza assolutoria di primo grado non impugnata sul punto;
assolveva Giampà Vincenzo dal reato a lui ascritto al capo 16) della rubrica
perché il fatto non sussiste; eliminava le pene accessorie disposte nei confronti
degli imputati Giannpà e Torcasio Vincenzo; sostituiva l’interdizione perpetua
dai pubblici uffici disposta nei confronti di Morello Giuseppe con quella
temporanea per la durata di anni cinque; eliminava la misura di sicurezza della
liberta vigilata disposta nei confronti di De Fazio Antonio, confermando nel resto
la sentenza impugnata.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi, sia il P.G. presso la
Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti di Torcasio Vincenzo, Torcasio Angelo,
De Fazio Antonio, Giampà Vincenzo, Morello Giuseppe e Muraca Roberto, sia De
Fazio Antonio, Morello Giuseppe e Muraca Roberto, a mezzo dei loro difensori di
fiducia, lamentando:
3.1 I! RG. presso la Corte d’Appello di Catanzaro, la ricorrenza dei vizi di cui
all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per mancanza – contraddittorietà
della motivazione ed inosservanza dell’art. 74 D.P.R. 309/1990, nella parte in cui
Giampà Vincenzo e Torcasio Vincenzo sono stati assolti dal reato loro ascritto al
capo 1) della rubrica; Muraca Roberto e Giampà Vincenzo sono stati assolti dal
reato loro ascritto al capo 16) della rubrica; De Fazio Antonio, Muraca Roberto e
Torcasio Angelo sono stati assolti dal reato di cui al capo 80); in particolare:
-quanto a Torcasio Vincenzo, nell’escludere la responsabilità in ordine al capo 1),
non sono stati considerati alcuni elementi rilevanti per ritenere la responsabilità
dell’imputato per il delitto associativo – esclusa per l’occasionalità della
condotta, non attestante quella stabilità di rapporti che costituisce requisito
indispensabile per la prova e per l’insussistenza di altri specifici contatti con altri
sodali

e segnatamente le risultanze delle conversazioni oggetto di

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estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione; assolveva Morello

intercettazione del 27/28.8.2002 progr. 332, 348, 443, 417, 444, relative al
reato di cui al capo 88) della rubrica, per il quale vi è stata la dichiarazione di
estinzione per intervenuta prescrizione; in tali conversazioni, alcune intercorse
tra Torcasio Vincenzo e il De Fazio (cfr. 27 e 28 agosto 2002), la condotta risulta
essere sintomatica dell’esistenza di stabili e confidenziali rapporti con il “capo”
dell’accolita e la conoscenza dei dati segreti è indicativa dello stabile inserimento
dell’imputato nel gruppo; il singolo episodio criminoso attesta l’intervento del

la sentenza impugnata non ha tenuto conto che anche il collaboratore di giustizia
Macrina Gioacchino Marco, nel verbale del 3 aprile 2003, ha riferito che Torcasio
Vincenzo, detto “Giappone” era solito spacciare droga; inoltre, la sentenza
impugnata non ha tenuto conto che il 7-10-2002 personale della Squadra Mobile
di Catanzaro procedeva nei confronti di Torcasio Angelo al sequestro
amministrativo di una modica quantità di marijuana, ragionevolmente ritenuta
dagli investigatori, sulla scorta delle intercettazioni precedenti e successive al
sequestro, un campione di cui l’imputato si era munito nel corso di un viaggio in
nuove località di approvvigionamento, per far conoscere tale tipo di droga agli
acquirenti della zona di Lamezia Terme; in tale occasione, Torcasio Angelo era in
compagnia di Torcasio Vincenzo (cl.’78) ed il giorno successivo Torcasio Angelo,
reduce dal controllo di polizia della sera precedente, nel tentativo di eludere
ulteriori controlli, aveva incaricato Torcasio Vincenzo di acquistare altra sostanza
stupefacente;
-quanto a Muraca Roberto e Giampà Vincenzo, in relazione al capo 16), la
sentenza impugnata non tiene conto del fatto che la sostanza stupefacente è
indicata proprio utilizzando una delle coperture di cui parla il collaboratore di
giustizia Bua Rosario (“.

la custodia dammela sana…”; cfr. intercettazione del

marzo 2002 ore 22,03, n. 3317); in particolare, il 5-3-2002, Muraca Roberto
telefonava a Giampà Vincenzo per incontrarlo e prendersi una “custodia” intera
che Muraca doveva dare ad un suo amico; il riferimento ad un quantitativo di
sostanza stupefacente che Muraca intendeva acquistare per cederla ad un suo
acquirente risulta evidente, anche alla luce delle dichiarazioni del collaboratore di
giustizia Bua Rosario, che svelava il significato dei termini criptici utilizzati per
indicare la sostanza stupefacente e le modalità di offerta in vendita erano
sempre le stesse; la sentenza impugnata non ha tenuto conto che, in tema di
commercio di sostanze stupefacenti, nel caso in cui venga raggiunto un accordo
per la cessione di un determinato quantitativo di droga, ma manchi del tutto la
prova dell’avvenuta consegna di questa, non si configura a carico del venditore il
reato di tentata cessione, bensì il reato consumato di offerta in vendita della
sostanza; pertanto, anche nel caso in cui si ritenga non raggiunta la prova
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gruppo, che partecipa nel suo insieme ad un evento rilevante per l’associazione e

dell’avvenuta cessione, la condotta posta in essere da Giarnpà Vincenzo è,
comunque, penalmente rilevante;
-quanto al capo 1) per Gíampà Vincenzo, la sentenza impugnata ha escluso la
sua responsabilità, comparendo egli in sole tre intercettazioni nell’arco di
un’operazione che si è sviluppata per circa un anno; sul punto, la sentenza
impugnata non ha tenuto conto del fatto che Giampà Vincenzo risulta essere
ripetutamente in contatto con il Muraca per ragioni connesse allo spaccio di

dei quali effettua lo spaccio di cocaina (“tutti me l’hanno portato indietro e mi
hanno detto che è acido”), conosce la fonte soggettiva di provenienza della
sostanza (“il compare”), che individua mediante il termine solitamente utilizzato
dal Muraca e dal De Fazio allorquando gli stessi devono effettuare periodico
approvvigionamento; tali circostanze sono di assoluta importanza, in quanto i
tempi, ì luoghi e le modalità di acquisto dello stupefacente implicano conoscenze
dirette dei meccanismi di funzionamento dell’organizzazione, rispetto ai quali il
mero consumatore/acquirente è estraneo per le esigenze di segretezza proprie di
un’accolita criminale di tal fatta; la condotta mantenuta evidenzia l’esistenza di
stabili e confidenziali rapporti con il “capo” del sodalizio, nonché la conoscenza
dei dati segreti, indicativa dello stabile inserimento dell’imputato nel gruppo;
-quanto a Muraca Roberto, De Fazio Antonio e Torcasio Angelo, in relazione al
capo 80), la sentenza impugnata non tiene conto che tale capo di imputazione
attiene all’ offerta in vendita di sostanza stupefacente a Bua Rosario, che ha
confermato la natura dei suoi rapporti con il Muraca, spiegando la fraseologia di
cui il gruppo si serviva, attesa l’esigenza di celare il significato delle
conversazioni; le dichiarazioni rese dal Bua si sovrappongono alle risultanze di
indagini e ne rappresentano un concreto riscontro, poiché provengono da
soggetto che fino a non molto tempo addietro era stato acquirente di cocaina da
Muraca e De Fazio e alla luce di tali dichiarazioni, vanno interpretate le
intercettazioni rilevanti per tali fatti;
3.2. De Fazio Antonio, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma,
lett. b) c.p.p., in relazione all’art.74 commi 2 e 6 D.P.R. 309/90; in particolare,
la Corte d’Appello di Catanzaro, pur avendo assolto il ricorrente da alcuni episodi
di cui all’art. 73, confermando le statuizioni di responsabilità già espresse dal
G.U.P. di Catanzaro, tra l’altro, per il delitto ex art. 74 D.P.R. 309/90 e pur
avendo escluso la sua qualità di promotore del sodalizio, attribuendogli un ruolo
partecipativo ex art. 74/2 D.P.R. 309/90, dando nel contempo atto del fatto che
il ricorrente è stato detenuto sino all’aprile 2002 ed è entrato a far parte del
gruppo, una volta che lo stesso aveva già iniziato ad operare, non ha indicato le
prove che conforterebbero l’ingresso tardivo dell’imputato nel sodalizio e, quindi,
5

stupefacenti, dispone di una molteplicità di soggetti consumatori, nei confronti

la responsabilità dello stesso; invero, la giurisprudenza di legittimità ammette
l’adesione di un soggetto ad un’associazione finalizzata al narcotraffico,
consentendo, dunque, la possibilità di ravvisare la figura di un partecipe che
entra in un “cartello” già precostituito, ma è necessario che siano indicati gli
elementi di fatto che avvalorano questa prospettazione e quale attività in
concreto avrebbe posto in essere al fine di manifestare la sua affectio societatis;
inoltre, avrebbero dovuto essere esplicitate le conversazioni dalle quali

un contributo efficace sul piano causale, in vista dell’associazione ex art. 74
D.P.R. 309/90 e, comunque, le cessioni di stupefacente, oggetto di statuizioni
definitive, sono state poste in essere in maniera del tutto episodica, in un arco di
tempo molto ristretto, rispetto a quello indicato quale tempus commissi delicti;
3.3 Morello Giuseppe:
-con il primo motivo, l’inutilizzabilità delle intercettazioni e segnatamente quelle
di cui al decreto n. 39/02 R.I.T., atteso che sia il provvedimento d’urgenza del
P.M. del 21.1.2002, sia il decreto di convalida emesso dal Tribunale di Catanzaro
in data 23.1.2002, sono motivati quanto all’esistenza degli indizi di reato

per

relationem alla nota della Questura di Catanzaro, Squadra Mobile del 14.2.2001
e sempre

per relationem,

in merito alla indispensabilità delle stesse

intercettazioni, nonché alla necessità di riscontrare le ipotesi accusatorie
contenute in quella nota della Questura e le dichiarazioni di tal Caligiuri
Domenico; tuttavia, il richiamo per relationem è legittimo sempre che, tra l’altro,
l’atto di riferimento venga allegato o trascritto, ovvero sia conosciuto
dall’interessato, ma, nel caso di specie, gli atti di riferimento non risultano
presenti nel fascicolo e non sono stati posti a disposizione delle difese; nel caso
specifico, gli atti di riferimento (nota 14.2.2001 Questura di Catanzaro;
dichiarazioni di Caligiuri Domenico) non risultano presenti nel fascicolo e, quindi,
la mancanza provoca l’ inesistenza della motivazione dei provvedimenti
autorizzativi indicati (decreto P.M. del 21.1.2002 e decreto dì convalida del G.i.p.
del 23.1.2002) e l’inutilizzabilità delle intercettazioni di cui al decreto 39/02
,propagandosi alle altre intercettazioni disposte; inoltre, il presente
procedimento, non è diverso da quello in cui tali intercettazioni vennero
effettuate, non trovando, quindi, applicazione, in punto di utilizzazione delle
captazioni telefoniche, il disposto dell’art. 270 c.p.p.; nel caso di specie è
indubitabile lo strettissimo collegamento probatorio e finalistico delle indagini
utilizzate per sostenere l’accusa nel presente procedimento penale ed i reati per i
quali l’intercettazione era stata disposta, ovvero quelli perseguiti nel
procedimento penale n. 226/2001 R.N.R. D.D.A., «Tabula Rasa», nell’ambito dei
quali vi era anche l’associazione poi contestata nel presente processo penale;
6

emergeva che l’imputato avesse praticato le cessioni di stupefacente, apportando

-con il secondo motivo, la violazione di legge penale e segnatamente dell’ art. 74
D.P.R. 309/90, atteso che la norma in contestazione, come tutti i reati
associativi, richiede l’esistenza di una, seppur rudimentale, struttura, una
preordinazione di uomini e mezzi, indipendenti dalla realizzazione di un singolo
reato, laddove, nel caso di specie, può farsi riferimento al più ad un
estemporaneo accordo che non va oltre il semplice concorso di persone, limitato
a quella sporadica condotta; risulta infatti che i soggetti coinvolti si muovessero

richieste di presunti consumatori, ma la sentenza impugnata a fronte di tale
eccezione non ha indicato gli elementi sintomatici della condotta partecipativa e
quale fosse in concreto il ruolo del

ricorrente, all’epoca dei fatti

tossicodipendente, né ha indicato in cosa si sostanzi

l’affectio,

la stabilità

dell’adesione e la peculiarità del suo ruolo;
14. Muraca Roberto, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett.
b) ed e) c.p.p., in relazione all’art. 74/6 DPR 309/90; in particolare, nonostante
la mancanza di elementi da cui poter ricavare i dati probatori per affermare la
qualifica di organizzatore dell’associazione, la Corte d’appello ha confermato tale
ruolo, senza minimamente indicare le statuizioni confermative di tale qualifica;
inoltre, deve ritenersi censurabile la motivazione della sentenza impugnata,
laddove i giudici di merito ritengono di affermare per il Muraca e di escludere per
il coimputato De Fazio Antonio dal solo numero dei reati – fine contestati, un
ruolo apicale nel contesto associativo; invero, la contestazione di numerosi reati
è stata determinata esclusivamente dal fatto che proprio l’utenza telefonica del
Muraca è stata oggetto di attività di intercettazione, portando alla contestazione
di un numero di episodi maggiore rispetto agli altri imputati, elemento
quest’ultimo che non può di per sé solo costituire un dato probatorio della
funzione apicale del Muraca, fondandosi, invece, tale ruolo su circostanze e
presupposti completamente diversi rispetto alla commissione dei reati; l’aver
affermato che fosse proprio l’imputato ad effettuare i viaggi da Lamezia a
Rosarno per l’acquisto dello stupefacente tronca sul nascere qualsivoglia
possibilità di ritenerlo il capo o l’organizzatore dell’associazione, essendo tali
figure di fatto assolutamente incompatibili con ruoli apicali di un’associazione
criminosa, per la quale, a ben vedere, nel caso di specie, non si ravvisa neanche
una struttura organizzata gerarchicamente; l’avere il Bua e il Macrina indicato il
Muraca quale principale esponente del gruppo non ha nessuna portata esplicativa
rispetto alla sostanziale mancanza di motivazione, non potendosi far derivare
nemmeno da ciò la dimostrazione del ruolo verticistico nel contesto attribuito al
ricorrente, né può essere rimessa ai collaboratori di giustizia l’attribuzione di un
determinato ruolo o della qualifica che rivestono determinati soggetti facenti
7

in relazione, non già ad un preordinato programma, ma sulla scorta delle sole

parte di un’organizzazione illecita; inoltre, nonostante il pacifico riconoscimento
da parte dei giudici di merito del fatto che gli acquisti di stupefacente fossero
quantitativamente sempre modesti, tali cioè da potersi sussumere nell’ipotesi di
lieve entità ex art. 73/5 D.P.R. 309/90, è stata ugualmente esclusa l’ipotesi
contemplata al comma 6° del medesimo art. 74, previsto proprio per i casi di
associazione che commette fatti di lieve entità; tale ultima ipotesi è stata
erroneamente disattesa senza adeguata motivazione, con argomentazioni

della norma; la sentenza impugnata ha affermato, in particolare, che se è pur
vero che i quantitativi erano sempre modesti, tali da rientrare nell’ipotesi
attenuata di cui all’art. 73 quinto comma, tuttavia, l’ipotesi della lieve entità non
va valutata attraverso l’isolata considerazione dei quantitativi, dovendosi
assumere a riferimento la qualità della sostanza – nella specie – cocaina, con ciò
confondendosi il parametro qualitativo con l’entità della sostanza di cui trattasi;
la Corte territoriale ha escluso l’ipotesi associativa attenuata, poi, semplicemente
richiamando (ma non motivando) le circostanze dell’essersi procurati
un’abitazione per le consegne, la disponibilità a frequenti viaggi, la rete estesa di
contatti, l’uso di un linguaggio criptico, ma tali circostanze lungi dal costituire
elementi sintomatici di maggiore pericolosità, al punto da rivestire quella
rilevanza idonea ad escludere l’ipotesi attenuata, si rivelano come congetture
prive di qualsivoglia efficacia dimostrativa; dalla stessa sentenza impugnata,
infine, emerge come gli associati siano solo cinque, ossia in numero veramente
esiguo.

RITENUTO IN DIRITTO
1.11 ricorso del Procuratore Generale di Catanzaro è inammissibile, siccome
manifestamente infondato, laddove i ricorsi di Torcasio Vincenzo, Giampà
Vincenzo e Muraca Roberto vanno respinti.
1. Il RG., presso la Corte d’Appello di Catanzaro, lamenta la non compiuta
valutazione di elementi indiziari a carico di alcuni imputati e, segnatamente,
Giampà Vincenzo, Torcasio Vincenzo, Muraca Roberto, De Fazio Antonio e
Torcasio Angelo, sia con riguardo al delitto associativo di cui al capo 1) (nei
confronti di Giampà Vincenzo e Torcasio Vincenzo), sia per quanto concerne il
delitto di cui al capo 16) (nei confronti di Muraca Roberto e Giampà Vincenzo),
che per il delitto di cui al capo 80) (nei confronti di De Fazio Antonio, Muraca
Roberto e Torcasio Angelo).
1.1 Il ricorso nei confronti di Torcasio Vincenzo per il delitto associativo di cui
al capo 1) è manifestamente infondato. Ed invero, la Corte d’appello, anche
all’esito del giudizio di rinvio, ha ritenuto che Torcasio Vincenzo andasse assolto
dal reato associativo di cui al capo 1 -ribaltando sul punto il precedente decisum
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decisamente irrilevanti, se non contrarie a quelle richieste dalla corretta lettura

della sentenza di

primo grado del G.U.P. del Tribunale di Catanzaro-

evidenziando in proposito che l’imputato, già assolto dal reato di cui al capo 23)
in primo grado, risponde del reato di cui al capo 88), fatto questo
espressamente definito come occasionale, che non attesta quella stabilità di
rapporti che costituisce requisito indispensabile per la prova del ruolo associativo.
La Corte territoriale ha evidenziato, altresì, che non emergono ulteriori specifici
contatti con gli altri sodali e ciò preclude la possibilità di ricostruire un qualsiasi

Bua appare insufficiente a fondare la prova della penale responsabilità.
1.1.1. A fronte di tale precisa valutazione, che non merita censura, il P.G.
ricorrente ha evidenziato, innanzitutto, la Corte territoriale non avrebbe
considerato che:
– dalle intercettazioni sulle utenze di De Fazio Antonio del 27/28.08.2002 progr.
332, 348, 443, 417, 444, sulle quali è stata fondata la responsabilità per il reato
di cui al capo 88), dichiarato estinto per prescrizione, andavano ricavati altresì
dati rilevanti per ritenere la responsabilità di Torcasio Vincenzo, anche per il
delitto di cui all’art. 74 DPR 309/90 ascrittogli al capo 1);
-dalle dichiarazioni di Macrina Gioacchino Marco, nel verbale del 3 aprile 2003,
del pari si ricavavano elementi significativi in tal senso;
-dagli esiti dell’operazione del 7-10-2002 della Squadra Mobile di Catanzaro nei
confronti di Torcasio Angelo emergevano elementi di responsabilità anche nei
confronti dell’imputato.
1.1.2. Tali deduzioni si traducono in una alternativa ricostruzione della vicenda,
implicante una diversa valutazione (in fatto) delle risultanze processuali,
inammissibile in sede di legittimità, e non già in censure riconducibili ad un vizio
di motivazione, desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, non
essendo, peraltro, tali deduzioni, comunque, idonee a superare il dato messo in
risalto dal primo giudice circa l’occasionalità della condotta e l’assenza di contatti
con altri sodali.
Dalla conversazione del 28 agosto 2002, intervenuta tra Torcasio Vincenzo e De
Fazio Antonio, sintetizzata nel corpo dell’impugnazione -peraltro addotta in
violazione della regola dell’autosufficienza del ricorso, a termini della quale
occorreva la riproduzione del testo integrale della sua trascrizione- non pare
emergano elementi ulteriori, oltre a quelli della conoscenza dell’arrivo della droga
destinata allo spaccio, quali le asserite conoscenze dei meccanismi di
funzionamento dell’organizzazione criminale.
In ogni caso, deve richiamarsi in linea generale il principio, secondo cui in tema
di intercettazioni di

conversazioni

o

comunicazioni,

l’interpretazione

del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o
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ruolo associativo dell’imputato rispetto al quale la mera conoscenza riferita dal

cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di
merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza
utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità

1.1.3.Generiche, siccome sfornite di qualsivoglia riferimento spazio temporale, si
presentano le dichiarazioni riportate in stralcio del collaborante Macrina e,
comunque, non congruenti rispetto al ruolo di compartecipe dell’imputato al
sodalizio, essendosi il collaborante limitato ad attribuire a Torcasio Vincenzo,
detto “Giappone”, il ruolo di venditore di droga. Così come non si presentano
univoci in tal senso gli esiti del controllo del 7.10.2002, che paiono comprovare
un ruolo significativo di Torcasio Angelo, ma non di Torcasio Vincenzo, incaricato
semplicemente di acquistare in sua vece.
In definitiva, è immune da vizi la valutazione effettuata in sostanza dalla Corte
territoriale, secondo cui il singolo episodio che ha visto coinvolto l’imputato (capo
88) in sé non è idoneo a configurare il delitto associativo a carico dello stesso,
in mancanza di ulteriori univoci elementi che attestino la sua piena adesione al
sodalizio in questione, partecipndo all’organizzazione criminale promossa,
costituita e diretta da Muraca Roberto, fungendo da acquirente presso i fornitori,
vettore della sostanza stupefacente acquistata, nonché distributore agli associati
per l’ulteriore spaccio e spacciatore verso i clienti di quantitativi di stupefacente
in circostanze diverse riconducibili nell’ambito temporale contrassegnato dalle
intercettazioni, come contestato con il capo di imputazione 1).
La motivazione dei giudici d’appello in merito all’assoluzione dell’imputato
sebbene non particolarmente articolata, deve comunque ritenersi essenziale
avendo fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte
secondo cui, in materia di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la
partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso può essere desunta anche
dalla commissione di singoli episodi criminosi, purché siffatte condotte, per le
loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio
e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona,
funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale,
e risultino compiute con l’immanente coscienza e volontà dell’autore di fare parte
dell’organizzazione

(Sez. 6, n. 50965 del 02/12/2014, Rv. 261379), elementi

10

(Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015).

questi che all’evidenza, con valutazione di merito priva di illogicità, non sono
stati ravvisati nella fattispecie in esame. Peraltro, il mutamento del rapporto tra
fornitore ed acquirente, da relazione di mero reciproco affidamento a vincolo
stabile, riconducibile all'”affectio societatis”, può ritenersi avvenuto solo se il
giudicante verifica, attraverso l’esame delle circostanze di fatto, e, in particolare,
della durata dell’accordo criminoso tra i soggetti, delle modalità di azione e
collaborazione tra loro, del contenuto economico delle transazioni, della rilevanza

contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagrnatico contrattuale e sia
stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del singolo al progetto
associativo (Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014).
1.2 Parimenti, manifestamente infondato, si presenta il ricorso del P.G. in
relazione al capo 16), quanto a Muraca Roberto e Giampà Vincenzo.
La Corte territoriale, nell’analizzare il contenuto della conversazione oggetto di
intercettazione n. 3317 del 5.03.2002, posto a fondamento dell’imputazione in
questione ha evidenziato come esso fosse equivoco, non essendo chiaro il
riferimento quantitativo e qualitativo della sostanza, nè se i due, effettivamente
si accordassero per la cessione; né pare sufficientemente certa la circostanza che
l’accordo fosse funzionale ad una successiva cessione da parte del Muraca, né
risulta l’ effettivo accordo per detta cessione, in quanto, alla richiesta della
“custodia” Giampà Vincenzo rispondeva con un sibillino “vaffanculo Robè” ed in
seguito i due si accordavano per vedersi; inoltre, non risulta chiaro se l’ incontro
abbia ad oggetto la consegna della sostanza stupefacente.
Il P.G. ricorrente, invece, ritiene che dal contenuto della conversazione si
ricaverebbe univocamente che l’oggetto della conversazione fosse l’accordo per
la cessione della droga (cocaina celata con l’espressione custodia sana) ed in
proposito ha richiamato l’indirizzo di questa Corte, secondo cui è sufficiente
l’accordo sulla quantità, sulla qualità e sul prezzo della sostanza, senza che sia
richiesta l’effettiva “traditio” della stessa, per integrare il reato in contestazione
(Cass. n. 6781 del 23/01/2014). In altri termini, la consumazione del reato di
acquisto di sostanze stupefacenti non richiede la cessione e la conseguente
ricezione della droga, perfezionandosi la compravendita con il solo incontro delle
volontà del compratore e del venditore (Sez.4 n. 3950 del 11/10/2011).
1.2.1. La valutazione della Corte territoriale non merita censura, in quanto alla
luce dei riportati principi, correttamente è stata ritenuta non configurabile nella
fattispecie l’ipotesi di acquisto di sostanza stupefacente, stante la mancanza di
prova non equivoca dell’intervenuto “accordo” fra le parti, precipuamente
finalizzato alla cessione della sostanza stupefacente. Invero,

se

la

compravendita si perfeziona con il solo incontro delle volontà del compratore e

11

obiettiva che il contraente riveste per il sodalizio criminale, che la volontà dei

del venditore, difettando, tuttavia, a monte la prova univoca dell’accordo
necessario e prodromico alla consegna della droga non può ritenersi integrata la
fattispecie in contestazione.
1.3. Quanto al capo 1) per Giampà Vincenzo, non merita censura la valutazione
della Corte territoriale, secondo cui non risulta sufficientemente dimostrato il
ruolo associativo dell’imputato, atteso che costui compare in sole tre
intercettazioni nell’arco di un’operazione che si è sviluppata per circa un anno,

deduzioni del P.G. si presentano generiche, riportando frasi di conversazioni
estrapolate da un contesto senz’altro più ampio, che, a prescindere dalla
violazione della regola dell’autosufficienza del ricorso, si traducono, anche in
questo caso, in una ricostruzione della vicenda, implicante una diversa
valutazione (in fatto) delle risultanze processuali e non già in una censura
riconducibile ad un vizio di motivazione desumibile dalla lettura del
provvedimento impugnato. Del resto, da tali frammentarie espressioni non è
dato evincere conoscenze dirette dei meccanismi di funzionamento
dell’organizzazione, ovvero l’esistenza di stabili e confidenziali rapporti con il
“capo” del sodalizio, nonché la conoscenza dei dati segreti, indicativa dello stabile
inserimento dell’imputato nel gruppo. Fermo restando sempre che
l’interpretazione del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione ,
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito,
immune da censura ove logica.
1.4 E’ inammissibile, altresì, il ricorso del P.G. relativo a Muraca Roberto, De
Fazio Antonio e Torcasio Angelo in relazione al capo 80).
La Corte territoriale ha rilevato come, dal contenuto della conversazione oggetto
di intercettazione n. 12711 delle ore 10.26 del 20.8.2002, emerga che Muraca e
De Fazio facciano generico riferimento a “quelle cose” che, però, il Muraca si
rifiuta di andare a prelevare; inoltre, risulta generico il riferimento fatto nella
stessa conversazione dal De Fazio al fatto che questi si trovava sull’autostrada
insieme a Torcasio Angelo, in quanto non è dato comprendere con sufficiente
certezza dove i due si stessero recando. In tale contesto il contenuto vago delle
conversazioni e l’ assenza dei riferimenti tipici utilizzati solitamente tra i sodali
per indicare la disponibilità di stupefacente, è stato ritenuto inidoneo a provare la
penale responsabilità degli imputati per il reato in questione.
Tale valutazione non merita censura, atteso che le deduzioni del P.G.- secondo
cui l’imputazione in questione attiene all’ offerta in vendita di sostanza
stupefacente a Bua Rosario, che ha confermato la natura dei suoi rapporti con il
Muraca- non si confronta con la valutazione dei giudici d’appello, secondo la

12

poste a fondamento dei capi 6) e 16). A fronte di tale precisa valutazione le

quale il contenuto della conversazione sarebbe equivoco e, quindi, non idoneo ad
integrare un elemento di prova.
Ed invero, richiamati sul punto i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa
Corte (Sez. U, Sentenza n. 22471 del 26/02/2015), secondo cui la condotta
criminosa di “offerta” di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento in cui
l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente
dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta

intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente, ovvero di smistarlo in
tempi ragionevoli e con modalità che “garantiscano” il cessionario, tuttavia come
già rilevato, dal contenuto della conversazione indicata dal P.G. non è dato
rinvenire alcun riferimento tipico utilizzato tra i sodali per indicare l’effettiva
disponibilità di stupefacente, sia in termini di disponibilità attuale che potenziale,
presentandosi secondo la Corte irrilevante la circostanza per cui il De Fazio
riferisca al Muraca di essere in viaggio sull’autostrada con il Torcasio Angelo, non
essendovi alcuna prova che i due si stessero dirigendo in luogo ove procurarsi o
cedere droga.
Vale la pena evidenziare, altresì, che in tema di inammissibilità del ricorso
per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano
intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria
correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento
innpugnato(Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568).
2. Il ricorso di De Fazio Antonio è infondato.
L’imputato si duole del fatto che, pur essendo stato assolto da alcuni reati di cui
all’art. 73 DPR 309/90, ed essendo stata esclusa nei suoi confronti la qualifica di
promotore dell’associazione criminosa di cui al capo 1), la Corte territoriale non
abbia indicato le prove che conforterebbero la sua adesione (qualificata come
“ingresso tardivo”, essendo stato detenuto sino all’aprile 2002) al sodalizio già in
essere, atteso che, pur non potendo escludersi l’adesione successiva di un
soggetto ad un’associazione finalizzata al narcotraffico già esistente, tuttavia è
necessario che siano indicati gli elementi di fatto avvaloranti tale prospettazione
e quale attività in concreto abbia posto in essere il presunto partecipe al fine di
manifestare la sua affectio societatis.
In proposito, il Collegio ritiene, invece, che la sentenza impugnata abbia dato
adeguatamente conto, senza incorrere in vizi, degli elementi di responsabilità a
carico del De Fazio per il reato associativo in esame.
2.1.Giova, innanzitutto, richiamare i principi più volte affermati da questa
Corte, secondo cui la partecipazione al reato di associazione finalizzata al traffico
illecito di sostanze stupefacenti va desunta da una serie di condotte significative
13

collegata ad una effettiva disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale

che, complessivamente valutate, denotino l’organico inserimento in una struttura
criminosa (Sez. 6, n. 32803 del 11/05/2012; Sez. 6, n. 50965 del 02/12/2014).
Il vincolo associativo, infatti, può essere ravvisato quando l’attività del c.d.
“grossista” sia realizzata avvalendosi consapevolmente delle risorse
dell’organizzazione, e con la coscienza di farne parte, ma deve escludersi che
possa essere desunto automaticamente da una serie di operazioni, anche
frequenti, di compravendita delle sostanze illecite concluse tra le stesse persone,

consapevolezza di operare in qualità di aderenti ad una organizzazione criminale
e nell’interesse della stessa (Sez. 6, n. 23798 del 07/04/2003, dep. 29/05/2003,
Rv. 225682; Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Rv. 242397),
dovendo siffatte condotte, per le loro connotazioni, essere in grado di attestare,
al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un
ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche
operative e di crescita criminale (Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, dep.
26/11/2008, Rv. 242397). Inoltre, integra la condotta di partecipazione ad
un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante
disponibilità alla fornitura delle sostanze stupefacenti di cui l’illecito sodalizio fa
traffico, perchè agevola lo svolgimento dell’attività criminosa del gruppo
organizzato ed assicura la realizzazione del suo programma delittuoso, sempre
che si accerti che essa è posta in essere avvalendosi continuativamente delle
risorse dell’organizzazione, con la coscienza e volontà dell’autore di farne parte e
di contribuire al suo mantenimento (arg. ex Sez. 6, n. 9927 del 05/02/2014).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, laddove
ha rilevato che i ventotto reati fine posti in essere dal De Fazio, in concorso con
altri partecipi, per i quali è stato condannato assumono una portata decisiva,
risultando l’imputato essere uno stabile fornitore come emergente dalle
conversazioni intercettate, denotante un suo ruolo specifico, funzionale
all’associazione e, quindi, la consapevolezza di operare nell’interesse della
stessa.
Il numero di tali reati fine- che senz’altro non può indurre a ritenere occasionale
od episodica l’attività dell’imputato- è stato correttamente ritenuto dai giudici
d’appello espressione della piena partecipazione al sodalizio, considerato altresì
la quantità dei contatti con gli altri associati, i quali hanno confermato appunto il
ruolo di stabile fornitore all’interno dell’associazione.
3. Infondato si presenta, altresì, il ricorso di Morello Giuseppe.
3.1. L’imputato deduce con il primo motivo di ricorso l’inutilizzabilità delle
intercettazioni di cui al decreto n. 39/02 R.I.T. (utenza cellulare di Muraca
Roberto), atteso che sia il provvedimento d’urgenza del P.M. del 21.1.2002, sia il
14

in quanto è necessario che gli acquirenti agiscano con la volontà e

decreto di convalida emesso dal Tribunale di Catanzaro in data 23.1.2002, sono
motivati, quanto all’esistenza degli indizi di reato,

per relationem alla nota della

Questura di Catanzaro, Squadra Mobile del 14.2.2001 e sempre per relationem,
in merito alla indispensabilità delle stesse intercettazioni, nonché alla necessità di
riscontrare le ipotesi accusatorie contenute in quella nota della Questura e le
dichiarazioni di tal Caligiurì Domenico. Sul punto non meritano censura le
valutazioni operate dalla Corte territoriale (pg. 14 e ss. della sentenza

dell’intercettazione e delle ragioni di urgenza ex art. 267/2 c.p.p., richiamando
correttamente i principi affermati da questa Corte, secondo cui in tema di
intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, l’eventuale difetto di
motivazione del decreto emesso in via d’urgenza dal P.M. è sanato con
l’emissione del decreto di convalida da parte del G.I.P., che assorbe
integralmente il provvedimento originario e rende utilizzabili i risultati delle
operazioni dì intercettazione, precludendo qualsivoglia discussione sulla
sussistenza del requisito dell’urgenza.

(Sez. 5, n. 16285 del 16/03/2010,

Rv. 247266).
In ogni caso, alcuna ipotesi di inutilizzabilità è ravvisabile nella motivazione
“per relationem” dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, quando in essi il
giudice faccia richiamo alle richieste del P.M. ed alle relazioni di servizio della
polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto d’averle prese in esame
e fatte proprie, l'”iter” cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione
del particolare mezzo di ricerca della prova (Sez. 5, n. 24661 del 11/12/2013,
Rv. 259867; Sez. 6, n. 46056 del 14/11/2008, Rv. 242233).
3.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, svolgendo
l’imputato doglianze del tutto generiche in merito all’insussistenza
dell’associazione di cui al capo 1 e, quindi, della sua partecipazione al sodalizio in
questione, senza, tuttavia, minimamente confrontarsi con le ampie
argomentazioni sul punto sviluppate dalla Corte territoriale. Ed invero, la
sentenza impugnata ha in sostanza correttamente evidenziato che per la
configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza
di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità
economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, anche
semplici ed elementari, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il
perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto
stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli
associati

(Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013), insomma di una struttura che

fornisca un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose, per la necessità
che il sodalizio si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, idoneo a
15

impugnata), che ha adeguatamente dato conto della necessarietà

consentire ad esso di operare validamente con l’apporto di un contributo
apprezzabile di ciascuno degli associati, cosicché ove tale contributo risulti
soltanto episodico, dovrà escludersi l’appartenenza al sodalizio. Del resto ai fini
della configurabilità del delitto associativo ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, l’elemento organizzativo assume un rilievo secondario essendo sufficiente
anche un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni (Sez. 2, Sentenza n.
16540 del 27/03/2013).

caratteristiche sono pienamente ravvisabili, né i rapporti tra i sodali possono
inquadrarsi nell’ambito di sporadiche condotte di acquisto e cessione di sostanze
stupefacenti. L’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 DP.R.
n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato
continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti va individuato, infatti, nel
carattere dell’accordo criminoso, contemplante la commissione di una serie non
preventivamente determinata di delitti, con permanenza del vincolo associativo
tra i partecipanti, i quali, anche al di fuori dei singoli reati programmati,
assicurino la propria disponibilità duratura ed indefinita nel tempo al
perseguimento del programma criminoso del sodalizio (Sez. 4, n. 51716 del
16/10/2013); inoltre, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo
associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di “facta
concludentia”, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i beni necessari per le
operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che
mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti
nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive

(Sez. 5,

n.

8033 del 15/11/2012).
3.2.2.Alla luce di tali principi, va rilevato che, nel caso di specie, le risultanze
probatorie, ed in particolare, tutte le intercettazioni telefoniche effettuate
nell’arco di tempo che va dal gennaio 2002 al gennaio 2003, confermano
l’assunto dell’esistenza di una stabile associazione, composta da un gruppo di
soggetti, ognuno con un ruolo ben determinato che, attraverso canali di
rifornimento stabili era in grado, con condotte sistematiche e ripetute
(viaggi, approvvigionamenti, suddivisione della sostanza e conseguente
smercio della stessa) di soddisfare un notevole numero di assuntori.
L’esistenza, poi, di un luogo di ritrovo comune (la

casa vecchia) offre un

ulteriore dato di conferma dell’esistenza di un gruppo organizzato (sia pure a
livello rudimentale) con un continuo interscambio e comunione di interessi di
natura economica.
Peraltro, la Corte territoriale non ha mancato di rilevare che nel caso in esame
l’esistenza dell’associazione sia stata già accertata con sentenza della Corte di
16

3.2.1. Nel caso di specie, è stato evidenziato dalla Corte territoriale, tali

Appello di Catanzaro del 6.12.2006, emessa nei confronti di Lanzo Pietro,
divenuta definitiva il 4.10.2007.
Quanto agli elementi denotanti la partecipazione del Morello al sodalizio, i giudici
d’appello hanno indicato senza incorrere in vizi gli elementi indicativi di tale
partecipazione e segnatamente il numero dei reati fine dei quali si è reso autore,
la stabilità dei contatti con gli altri associati ed il fatto che fosse
sistematicamente chiamato dal Muraca e dagli altri quando si trattava di

che egli fosse anche assuntore della medesima sostanza non esclude, la sua
qualità di partecipe con funzione di spacciatore al minuto sulla base delle
richieste che gli pervenivano di volta in volta. In ogni caso, come già rilevato, il
mutamento del rapporto tra fornitore ed acquirente, da relazione di mero
reciproco affidamento a vincolo stabile, riconducibile all'”affectio societatis”, deve
ritenersi avvenuto, come nella fattispecie, quando l’esame delle circostanze di
fatto, e, in particolare, della durata dell’accordo criminoso tra i soggetti, indichi
che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagnnatico
contrattuale e sia stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del
singolo al progetto associativo (Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014).
4. Infondato si presenta il ricorso di Muraca Roberto, il quale si duole del
difetto di motivazione della sentenza impugnata, che ha confermato la sua
qualità di promotore/organizzatore dell’associazione, senza minimamente
indicare quale attività sarebbe stata concretamente posta in essere dal
ricorrente.
In proposito, la Corte territoriale, contrariamente a quanto evidenziato
dall’imputato, ha individuato senza illogicità gli elementi denotanti il suo ruolo
apicale, evincibili oltre che dalla commissione dei molteplici reati fine, dai plurimi
riferimenti nelle conversazioni intercettate, dai quali è possibile desumere
appunto il suo ruolo gestorio all’interno del sodalizio, consistente nel dirigere le
acquisizioni e le distribuzioni della droga, nonché le attività dei singoli
spacciatori. Al Muraca, infatti, venivano eseguiti continui rifornimenti di
sostanza, distribuita, poi, ai vari sodali per l’attività di spaccio.
Peraltro tale ruolo apicale è stato confermato dai collaboratori di giustizia Bua
Rosario e Macrina Gioacchino, che hanno indicato il ricorrente come il principale
esponente del gruppo.
da parte della Corte territoriale

4.1.Quanto alla mancata qualificazione

dell’ipotesi in esame in quella contemplata dal comma 6° dell’art. 74 D.P.R.
309/90, previsto per i casi di associazione che commette fatti di lieve entità, le
valutazioni della Corte territoriale si presentano immuni da vizi, atteso che
l’ipotesi in questione – fattispecie autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata
17

distribuire tra i sodali la sostanza stupefacente di volta in volta reperita; il fatto

del reato di cui al suddetto D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1 (cfr. Sez.
Un., 23/06/2011, n. 34475)- come costantemente affermato dalla giurisprudenza
di legittimità, prevede un’associazione, non occasionalmente, ma
programmaticamente finalizzata alla commissione di fatti di lieve entità. In altri
termini, l’ipotesi associativa prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma
6, richiede, quale imprescindibile condizione, che tutte le singole condotte
commesse in attuazione del programma criminoso siano sussumibili nella

D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Pertanto, l’apprezzamento sulla
sussistenza o meno della suddetta ipotesi associativa va effettuato attraverso
una compiuta valutazione di tutti i parametri dettati dal D.P.R. n. 309 del 1990,
art. 73, comma 5, tra i quali non rientra il carattere non occasionale dell’attività
di spaccio (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 6, 19/11/2013, n. 1251), con l’ulteriore
conseguenza che anche la mancanza di uno solo degli elementi previsti dal
D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non consente di configurare l’ipotesi
meno grave di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6.
Nella indagine ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno dell’ipotesi
associativa prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, il giudice è
tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla norma, sia
quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli
che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo, conseguentemente
escludere la configurabilità del “fatto di lieve entità” quando anche uno solo di
questi elementi porti a escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia
tale, cioè, di lieve entità (cfr. Sez. 6, 19/09/2013, n. 39977, rv. 256610; Sez. 3,
02/10/2013, n. 45649;Sez. 3, 14/01/2014, n. 7249). Conclusioni queste sulle
quali la giurisprudenza di legittimità si è attestata anche dopo che l’ipotesi lieve
di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, deve essere configurata, a
seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2, conv. in L. n.
10 del 2014, quale ipotesi autonoma di reato e non più quale circostanza
attenuante (cfr. Sez. 3, 19.3.2014, n. 27064).
Si è così affermato che ai fini dell’applicabilità della fattispecie di cui al D.P.R. n.
309 del 1990, art. 74, comma 6, non è sufficiente considerare le quantità di
stupefacenti effettivamente scambiate, ma occorre valutare anche quelle trattate
e offerte in vendita dai partecipanti all’associazione (cfr. Cass., sez. 4, 2.7.2013,
n. 381339).
4.2. Tanto premesso, nel caso di specie, sebbene i reati di cui ai capi 25), 51),
75) e 77) per i quali il Muraca è stato condannato siano stati riqualificati ai
sensi dell’art. 73/5 comma, d.P.R. 309/90, non può comunque riqualificarsi il
18
—-C.

fattispecie dei fatti di lieve entità e di minima offensività previsti dal medesimo

reato associativo di cui al capo 1) nell’ipotesi associativa di cui all’art. 74/6,
atteso che ai fini del riconoscimento di tale fattispecie, vanno, altresì, considerati
anche ì capi di imputazione per i quali la condanna in primo grado è divenuta
definitiva. Ed invero, tali reati, non sono stati ritenuti ed accertati come
fattispecie di lieve entità, ai sensi del comma dell’art. 73/5, venendo a mancare,
per l’effetto, l’ imprescindibile condizione, che tutte le singole condotte
commesse in attuazione del programma criminoso siano sussumibili nella

D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Peraltro, come rilevato nella sentenza impugnata, con la pronuncia della Corte di
Appello di Catanzaro del 6.12.2006 emessa nei confronti di Lanzo Pietro divenuta
definitiva è stato smentito l’assunto difensivo, secondo cui sarebbe decisiva la
circostanza che gli acquisti di stupefacente avvenivano, da parte l’associazione in
quantità contenute e sulla base delle effettive richieste degli acquirenti.
5. I ricorsi di De Fazio Antonio, Morello Giuseppe e Muraca Roberto vanno
pertanto respinti e ciascuno dei predetti va condannato al pagamento delle
spese del procedimento; va dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore
Generale.
P.Q.M.

rigetta i ricorsi di De Fazio Antonio Morello Giuseppe e Muraca Roberto e
)
condanna ciascuno dei predetti al pagamento delle spese del procedimento;
dichiara inammissibile il ricorso del procuratore generale
Così deciso il 22.9.2015

fattispecie dei fatti di lieve entità e di minima offensività previsti dal medesimo

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