Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21684 del 28/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21684 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INFANTINO SANTINO nato il 12/01/1965 a MILANO

avverso la sentenza del 22/06/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIO MARIA
STEFANO PINELLI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
Udito il difensore c-4 . ,”

(°. A

Il difensore presente insiste nel ricorso che espone alla Corte.

Data Udienza: 28/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha integralmente confermato la
condanna già emessa dal Tribunale di Vigevano in data 29.9.2011 per il reato di bancarotta
patrimoniale e documentale a carico del ricorrente.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a quattro motivi di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo ed ai sensi dell’art. 606, comma, 1 lett. e, cod.

anche con riferimento a quanto disposto dagli artt. 234 e 238 cod. proc. pen..
1.1.2 Osserva che aveva richiesto al giudice di appello l’acquisizione dell’intero fascicolo
fallimentare onde accertare con maggiore cognizione dei fatti l’attribuibilità delle condotte
contestate al ricorrente giacché era emerso, anche dalla istruttoria fallimentare svolta dal
curatore fallimentare, che il ruolo assorbente ed esclusivo era stato svolto da Elio Scicchitano
nell’attività gestoria della società fallita.
1.1.3 Si evidenzia che anche dalla relazione ex art. 33 I. fall. il nominativo dell’imputato non
era stato mai invocato e che, peraltro, non era stato neanche coinvolto nella procedura di
estensione del fallimento intentata dalla curatela fallimentare.
1.2 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e, cod. proc.
pen., vizio di carenza di motivazione.
Si deduce la carenza argomentativa della motivazione impugnata giacché la stessa sarebbe
stata il frutto di un mero copia-incolla informatico e dunque l’esito sarebbe stato quello della
redazione di una motivazione meramente apparente e non rispondente alle doglianze sollevate
in appello.
1.3 Con il terzo motivo si deduce inosservanza e falsa applicazione della legge penale con
riferimento agli artt. 110 cod. pen., 216 I. fall. e, comunque, all’art. 2639 cod. civ. e vizio
argomentativo sul medesimo punto.
1.3.1 In punto di violazione di legge, osserva la difesa che dalle emergenze istruttorie non
sarebbe configurabile in capo all’odierno ricorrente la qualifica di amministratore di fatto della
Sereco s.a.s. di Casale Enrico.
Si evidenzia, sul punto, che l’imputato non aveva mai posto in essere attività di gestione e di
controllo, connotate dai requisiti di significatività e continuità. Si osserva, ancora, che gli indici
sintomatici rintracciati nelle sentenze di merito non erano invero significativi né probanti nel
senso sopra riferito, atteso che, per un verso, l’evidenziata sostituzione dello Spinelli, quale ex
amministratore della fallita, con l’odierno ricorrente nella gestione del cantiere riposerebbe sempre secondo le critiche della difesa – su un dichiarato testimoniale non attendibile e che,
per altro verso, anche la valorizzata circostanza della partecipazione alle trattative per la
stipula del contratto con Italcom s.p.a. non sarebbe probante ai fini che qui interessano, stante
la partecipazione del ricorrente a due sole riunioni, con la conseguenza, sul piano più
strettamente probatorio, che la mera partecipazione a riunioni non equivale a spendere poteri
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proc. pen, vizio argomentativo in ordine alla mancata assunzione di una prova decisiva, e ciò

gestori da parte del presunto amministratore di fatto. Ed infine, osserva la difesa – sempre in
chiave di critica diretta della ricostruzione fattuale operata dai giudici di merito – che anche la
esecuzione di atti dispositivi del patrimonio aziendale, e ciò con riferimento a due autovetture
di proprietà della fallenda, evidenziava che il ruolo svolto dal ricorrente era stato marginale e
non decisivo.
1.3.2 Sotto altro profilo e comunque sempre in riferimento al contestato ruolo di
amministratore di fatto, osserva la difesa che nella motivazione impugnata non sarebbe stato

svolgimento della condotta concorsuale addebitata al ricorrente, nella veste di amministratore
di fatto, atteso che — sempre secondo la critica difensiva — la mera ingerenza nella gestione
societaria non potrebbe supportare un giudizio di penale responsabilità dell’imputato nella
sopra indicata veste gestionale.
1.4 Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione
agli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e per vizio argomentativo sul medesimo punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 Già il primo motivo di doglianza risulta formulato in modo inammissibile.
2.1.1 Sul punto è utile ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – può essere censurata
la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza,
nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste
illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva
rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla
riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 – dep.
14/01/2015, PR, Rv. 261799). Dunque, per tornare al caso di specie, ciò che conta non è la
qualità della risposta che il giudice del merito ha inteso dare alle istanze di prova della difesa,
ma la desumibilità o non, dal tessuto argomentativo della sentenza posto in relazione alle
censure difensive, di una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua
rappresentazione a livello motivazionale.
Detto altrimenti, l'”error in procedendo” rilevante “ex” art. 606, comma primo, lett. d), cod.
proc. pen., è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con
le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se
esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla
decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella
relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del
convincimento del giudice di merito ( Cass., Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008 – dep.
11/06/2008, Di Dio, Rv. 240839).
2.1.2 Così impostata la questione, le censure difensive risultano appunto manifestamente
infondate e comunque formulate in modo inammissibile. Ed invero, la parte ricorrente non ha
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indicato il titolo della responsabilità concorsuale dell’imputato, e cioè le modalità concrete di

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né allegato né provato, come era suo precipuo onere, il profilo della decisività della prova della
quale chiedeva l’ammissione e della cui mancata valutazione ai fini della decisione si duole ora.
Né la parte ricorrente ha allegato l’ulteriore profilo della esistenza, nell’apparato motivazionale
posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità le quali sarebbero state
presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove
in appello.
Sul punto la parte ricorrente ha solo genericamente dedotto che l’acquisizione del fascicolo

Tale generica deduzione difensiva determina, pertanto, l’inammissibilità della censura così
avanzata.
2.2 II secondo motivo di doglianza è, del pari, inammissibile in ragione della sua genericità.
2.2.1 Orbene, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi : il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 591,
comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza
impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della
censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi
ed esercitare il proprio sindacato.
Sul punto il ricorrente si limita solo a dolersi della natura apparente della motivazione
impugnata, frutto di una mera trasposizione informatica della sentenza di primo grado, senza
indicare quale fossero, dal punto di vista argomentativo, le criticità della motivazione
impugnata.
2.3 Il terzo motivo di doglianza è inammissibile perché versato in fatto.
2.3.1 Non può essere dimenticato che, in relazione al contenuto della doglianza, la Corte di
legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della
decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via esclusiva al giudice di
merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione, da parte del
ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata. Ciò vale, in
particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione. Ed infatti,
nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabile se la
decisione del giudice di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile opinabilità di apprezzamento”.
Ciò in quanto l’art. 606 comma 1, lett. e, cod. proc. pen. non consente al giudice di legittimità
una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è
estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai

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fallimentare avrebbe determinato un esito diverso del giudizio.

dati processuali. Piuttosto è consentito solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione,
sulla base della lettura del testo del provvedimento impugnato.
2.3.1.1 Detto altrimenti, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della
decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione
limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato

processuali.
Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte ricorre il vizio della mancanza, della
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti
inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici
che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire,
per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio,
sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti
( Cass., Sez. 4, 14 gennaio 2010, n. 7651/2010 ).
2.3.1.2 Così delineato l’ambito di cognizione del giudizio di legittimità, occorre evidenziare
come la parte ricorrente voglia sollecitare questa Core ad una rivalutazione contenutistica del
compendio probatorio, già correttamente scrutinato dai giudici del merito con motivazione
scevra da aporie e criticità argomentative, con ciò proponendo, pertanto, censure che si
pongono ben al di là del perimetro delimitante la cognizione di questo giudice di legittimità.
Più in particolare le censure sollevate dal ricorrente si incentrano tutte in una critica diretta
delle prove, e ciò con peculiare riferimento alla prova dichiarativa ; censure che, pertanto, non
possono che essere dichiarate irricevibili in questa sede decisoria.
Né è possibile rintracciare, come già sopra accennato, nel tessuto argomentativo della
motivazione impugnata alcun profilo di illogicità manifesta ovvero di contraddittorietà. Ed
invero, la motivazione resa in punto di penale responsabilità dell’imputato riposa su un
ragionamento probatorio adeguato e del tutto condivisibile, avendo evidenziato che il ruolo di
gestione, esercitato dal ricorrente in modo continuativo e significativo, si sostanziava anche
nella stipulazione di atti negoziali rilevanti per la conduzione imprenditoriale dell’azienda, come
il contratto di appalto e quelli di vendita di beni della società.
Nessun dubbio può pertanto residuare sulla correttezza motivazionale in punto di riconduzione
dell’odierno ricorrente alla contestata figura di amministratore di fatto della società fallita.
3. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare
in euro 2000.

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argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28.2.2018

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