Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21676 del 29/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21676 Anno 2016
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: SARACENO ROSA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUONERBA EDUARDO N. IL 22/01/1977
avverso l’ordinanza n. 447/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
CAMPOBASSO, del 14/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA
SARACENO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
J2P9 DAtui2e0

Uditi difensor Avv.;

eAk

ek.PA h9

Data Udienza: 29/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Campobasso, con ordinanza del 14 ottobre
2014, ha rigettato il reclamo proposto da Eduardo Buonerba avverso il
provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza aveva dichiarato
l’inammissibilità dell’istanza presentata ai sensi del D.L. n. 146/2013, diretta ad
ottenere il riconoscimento della maggiore detrazione di trenta giorni di
liberazione anticipata in relazione ai semestri di detenzione già oggetto di

reati la cui condanna era in corso di espiazione e della caducazione, in sede di
conversione operata dalla legge n. 10 del 2014, della norma originariamente
contenuta nell’art. 4 del D.L. citato che consentiva (alle condizioni ivi previste)
l’ammissione al beneficio anche dei soggetti condannati per reati ostativi.
1.1 II Tribunale riteneva corretta la decisione reclamata, negando la
possibilità di riconoscere effetti ultrattivi alla norma di un decreto legge caducata
ex tunc dalla sua mancata conversione. Osservava, inoltre, che la prospettata
questione di legittimità costituzionale della legge n. 10 del 2014, art. 4, con
riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., appariva manifestamente infondata.
2.

Ricorre per cassazione personalmente il condannato, chiedendo

l’annullamento dell’ordinanza per vizio di motivazione.
Deduce che la sua istanza era precedente alla legge di conversione, per cui,
doveva farsi applicazione della legge vigente al momento della domanda; che la
modifica intervenuta in sede di conversione, peggiorativa della condizione
giuridica dell’istante, non era applicabile retroattivamente; espone le ragioni di
potenziale contrasto della normativa introdotta dalla legge di conversione con
principi e norme costituzionali ( art. 3 e 27 co. 3 Cost.)., chiedendo, in
subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale.
3. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo il
rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso appare inammissibile.
1. La legge n. 10 del 2014, in sede di conversione del D.L. n. 146 del 2013,
ha soppresso la norma originariamente contenuta nel comma 4 dell’art. 4 del
decreto d’urgenza -che riconosceva anche ai condannati per taluno dei reati
ostativi previsti dall’art. 4-bis ord. pen. la possibilità di fruire dell’ampliamento a
75 giorni, per ciascun semestre di pena scontata, della detrazione di pena
conseguente al riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata, alla
1

valutazione, in considerazione della natura ostativa ex art. 4-bis ord. pen. dei

condizione che essi avessero dato prova, nel periodo di detenzione, « di un
concreto recupero sociale desumibile da comportamenti rivelatori del positivo
evolversi della personalità»- e così ha escluso in via assoluta tale categoria di
condannati dal novero dei beneficiari dell’ampliamento della misura premiale.
1.1 L’assunto secondo cui le modifiche apportate in sede di conversione non
potrebbero applicarsi ai condannati che hanno formulato istanza nella vigenza
del decreto legge, prima della sua conversione, è stato esaminato con ampie
motivazioni con le sentenze sez. 1, n. 34073 del 27/06/2014, Panno e Sez. 1, n.

riafferma.
Invero, il richiamo ai principi che regolano il fenomeno della successione
delle leggi penali o sostanziali nel tempo non è afferente al caso in esame che,
invece, concernendo la sorte delle disposizioni di un decreto legge non recepite
dalla legge di conversione, trae regola dall’art. 77 co. 3 Cost. che dispone

«I

decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro
sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare
con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti».
In nessun caso, dunque, la norma dettata con decreto legge non convertito
è considerata come norma dotata di attitudine ad inserirsi in un fenomeno
successorio quale quello regolato dai commi secondo e quarto dell’art. 2 cod.
pen., per il quale vale il principio, evocato dal ricorrente, di irretroattività della
disposizione di sfavore e di operatività della norma più favorevole per i fatti
preg ressi .
1.2 Di conseguenza, la disposizione contenuta nel D.L. n. 146 del 2013, art.
4, comma 4 non recepita dalla L. n. 10 del 2014, non è suscettibile di avere
vigore ultrattivo né può fondare il riconoscimento di un diritto o di un’aspettativa
solo perché la relativa domanda era ancora

sub iudice al momento della

conversione del decreto.
2. Manifestamente infondata è anche la dedotta questione di legittimità
costituzionale.
La disciplina normativa di cui si verte rappresenta, per espressa previsione
del legislatore, una disciplina “speciale” che estende, salvo alcune eccezioni, i
vantaggi conseguenti ad un beneficio penitenziario già previsto e applicabile
indistintamente a tutti i condannati. Non si è, quindi, in presenza di una
disposizione che vieta l’accesso al beneficio alla persona condannata per taluno
dei delitti elencati dall’art. art. 4- bis, ma piuttosto di una norma che amplia, in
presenza di certe condizioni, gli effetti di favore, per una platea più ristretta di
detenuti.

2

3130 del 2015, Moretti che il Collegio pienamente condivide e i cui principi qui

Rispetto ad una disposizione speciale di favore, può porsi un problema di
irragionevole diversità di trattamento solo qualora sia riservato un trattamento
diverso e deteriore rispetto a situazioni del tutto omologhe. Il che non può dirsi
avvenuto nel caso in esame: la natura e connotazione di maggiore pericolosità
dei suddetti reati, già rientranti in una disciplina di specialità nel settore indicato,
giustifica e rende non discriminatoria, né irragionevole, né contraria al principio
rieducativo della pena, una scelta di politica criminale rimessa alla discrezionalità
del legislatore e, peraltro, temporalmente limitata e correlata a necessità

Non sono, dunque, prospettabili, dubbi di legittimità costituzionale,
dappoiché l’obiettiva situazione di diversa e maggiore pericolosità che
caratterizza la posizione del soggetto condannato per un reato ostativo legittima
ed esclude l’irragionevolezza di una diversa disciplina, funzionale a tutelare le
esigenze di prevenzione che il legislatore ha ritenuto preminenti, nell’ambito di
un ragionevole bilanciamento di valori, su quelle della riduzione del tempo di
permanenza in carceri sovraffollati dei soggetti che abbiano dato prova di
partecipazione al processo rieducativo.
3. Dei superiori principi il provvedimento impugnato ha fatto corretta
applicazione ed è pertanto immune da censure.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, ma non anche la condanna alla sanzione
pecuniaria in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, stante l’epoca del ricorso,
anteriore al consolidamento degli orientamenti di legittimità sulle questioni con
esso agitate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Cosi deciso in Roma, il 29 gennaio 2016

Il

sigliere e

ensore

Il Presidente

contingenti.

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