Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21675 del 29/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21675 Anno 2016
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: ESPOSITO ALDO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

TUDISCO DOMENICO, n. il 05/09/1951;

avverso l’ordinanza n. 2727/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE del 05/06/2014

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Aldo Esposito;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Roberto Aniello, che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Firenze.

Data Udienza: 29/01/2016

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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 05/06/2014 il Tribunale di sorveglianza di Firenze rigettava il reclamo
proposto da Tudisco Domenico avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Pisa del
29/04/2014, nella parte in cui dichiarava l’inammissibilità dell’istanza volta al riconoscimento
del beneficio della liberazione anticipata speciale per i semestri compresi tra il 2010 ed il 2013.
2. In motivazione, l’organo giudicante evidenziava che il Tudisco era detenuto in espiazione

precluso per effetto della modifica dell’art. 4 D.L. n. 146 del 2013 operata dalla legge di conversione n. 10 del 2014.
Il Tribunale di sorveglianza rappresentava che, contrariamente a quanto asserito dal reclamante, risultava del tutto irrilevante la presentazione dell’istanza nel gennaio 2014, cioè in epoca anteriore alle modificazioni di cui alla legge di conversione sopra citata.
3. Segnalava poi il divieto di concessione del beneficio riguardava tutte le ipotesi di cui
all’art. 4 D.L. n. 146 del 2013 e non solo l’ipotesi disciplinata dalla novella.
4. Evidenziava, infine, che la sanzione atteneva per la quasi totalità a reati ostativi ex artt.
75 L. n. 685 del 1975 e 628, comma terzo, cod. pen., allo stato non ancora espiati nella loro
integralità.
5. La difesa di Tudisco Domenico proponeva ricorso per Cassazione avverso tale provvedimento, chiedendone l’annullamento, il riconoscimento dell’avvenuta espiazione di pena in relazione ai reati ostativi e il computo dei semestri, per i quali concedere la liberazione anticipata
speciale.
Il ricorrente deduceva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen.,
in relazione all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen..
5.1. Nell’atto di impugnazione evidenziava che le modifiche apportate al D.L. n. 146 del 2013
in sede di conversione costituivano un’innovazione dal punto di vista sanzionatorio, per quanto
attiene all’art. 4, comma 4, contenente un emendamento soppressivo, e al comma 1, riguardante l’esclusione di una determinata categoria di condannati dal beneficio, determinandosi così l’inefficacia ex tunc delle disposizioni dell’originario D.L.; al contrario, il comma 2 non subiva
modifiche per effetto della conversione e, in applicazione del principio ubi lex voluit ubi noluit

tacuit, non poteva estendersi il rapporto limitativo anche a tale ipotesi.
5.2. La difesa del Tudisco evidenziava la disparità di trattamento determinatasi per le domande presentate durante la vigenza dell’originario D.L. anteriormente all’entrata in vigore
della legge di conversione, che aboliva il beneficio per i condannati per reati di cui all’art. 4 bis
ord. pen.: nel caso di tempestiva definizione da parte del Magistrato di sorveglianza essi potevano accedere al beneficio, mentre, come nella fattispecie in esame, se il sovraccarico
dell’ufficio giudiziario consentiva la definizione del procedimento solo in epoca successiva
all’entrata in vigore della legge di conversione, l’istanza era dichiarata inammissibile. Ciò comportava altresì una violazione dell’art. 3 Cost., trattandosi di condannato che aveva già nnatu-

di pena irrogata per reati contemplati dall’art. 4 bis ord. pen., in ordine ai quali il beneficio era

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rato i requisiti per l’accesso al beneficio all’epoca di presentazione dell’istanza. Tale disparità
determinava anche una violazione della finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 Cost..
5.3. Inoltre, la difesa del ricorrente contestava l’illogica motivazione in ordine alla richiesta di
scissione del provvedimento di cumulo ai fini dell’ammissibilità al beneficio della liberazione anticipata speciale.
Segnalava, infatti, che in premessa era stato erroneamente incluso tra i reati in espiazione
una condanna per il reato di cui all’art. 75 L. n. 685 del 1975, in realtà inesistente.

e, cioè, di anni 16 e mesi 6 di reclusione per reati ostativi di cui all’art. 628, comma terzo, cod.
pen. nonché di anni 3 e mesi 8 di reclusione per reati di cui agli artt. 648 cod. pen. ed anni 1 e
mesi 6 di reclusione per reati di cui agli artt. 23, comma terzo, L. n. 110 del 1975 e 697 cod.
pen., tutti reati non ostativi, e i giorni di 218 di libertà controllata convertiti in reclusione e gli
anni 3 di indulto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto nei termini sotto specificati.
2. La vicenda processuale concerne l’esame della concedibilità della liberazione anticipata
speciale a favore di Tudisco Domenico, e, cioè, l’applicazione della disciplina speciale di particolare favore recata dal D.L. 23/12/2013, che all’art. 4, estende a settantacinque giorni per
ogni singolo semestre di pena scontata la liberazione anticipata prevista dalla L. 26/07/1975 n.
354, art. 54.
La vicenda procedimentale si colloca “a cavallo” della conversione in legge di detto decreto,
che al comma 4, eliminato dalla legge di conversione, prevedeva che “Ai condannati per taluno
dei delitti previsti dalla L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 4 bis, la liberazione anticipata può essere
concessa nella misura di settantacinque giorni, a norma dei commi precedenti, soltanto nel caso in cui abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità”, mentre ora, per effetto delle modifiche al comma 1, apportate dalla medesima legge, consente il riconoscimento
della maggiore detrazione di pena “Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti
dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis”.
2.1. In base al testo convertito in legge ed ora in vigore, dunque, il ricorrente non può in alcun modo beneficiare della disciplina di favore, essendo in espiazione pena per associazione
per delinquere di stampo mafioso, ovverosia per un delitto previsto dalla L. n. 354/1975, art. 4
bis ord. pen..
Secondo il ricorrente, la disciplina di cui alla legge di conversione non potrebbe applicarsi al
caso in esame per il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole di cui all’art. 25
Cost. e per la disparità di trattamento, che si realizzerebbe rispetto alla posizione del condan-

5.4. Indicava, infine, in dettaglio, le pene in esecuzione in virtù del provvedimento di cumulo

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nato, che aveva già richiesto ed ottenuto il beneficio in epoca pregressa, nella vigenza del decreto legge nel testo originario.
2.2. Ora, però, la tesi della natura sostanziale della disciplina evocata e dell’applicabilità della
normativa in vigore al momento della domanda è anzitutto, come sembra evidente, intimamente contraddittoria: se effettivamente la disciplina della liberazione anticipata soggiacesse
alle regole degli artt. 2 cod. pen. e 25 Cost., dovrebbe essere applicata la legge più favorevole
vigente al momento del fatto, e occorrerebbe solo valutare se per momento del “fatto” possa

dosi di fattispecie non riguardante la fattispecie sostanziale e non incidente sulla sanzione da
infliggere e in concreto inflitta, ma attinente alla meritevolezza di sconti della pena collegati alla condotta serbata durante la espiazione – il tempo in cui si è tenuto il comportamento, di cui
si chiede la valutazione al fine del beneficio. Mentre l’applicazione della regola, che fa riferimento alla disciplina vigente al momento della domanda (in base al principio generale di cui
costituisce espressione l’art. 5 cod. proc. civ.), postulerebbe che si verta al contrario in materia
attinente alla giurisdizione o alla competenza, ovverosia in materia squisitamente processuale.
2.3. Per sola completezza, comunque, va sottolineato che sia la giurisprudenza costituzionale
(v. C. cost. ord. n. 10 del 1981; sent. n. 376 del 1997 e la giurisprudenza della Corte EDU costantemente escludono l’applicabilità del principio dell’irretroattività della legge più sfavorevole
in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare.
Espressamente anche nella sentenza della Corte EDU – Grande Camera del 21/10/2013, Del
Rio Prada contro Spagna, ric. n. 42750 del 2009 – era evidenziato che “Sia la Commissione sia
la Corte hanno delineato nella loro giurisprudenza una distinzione tra una misura che costituisce in sostanza una pena e una misura che riguarda l’esecuzione o l’applicazione della pena”.
Conseguentemente, se la natura e il fine della misura riguarda la detrazione di pena o una modifica del regime di liberazione anticipata, essa non fa parte della pena ai sensi dell’art. 7 (v.,
tra altri precedenti, Hogben…; Hosein…; L. G. R. c. Svezia, n. 27032/95, decisione della
Commissione del 15/01/1997; Grava…, 51; Uttley…; Kafkaris…; 142; Monne c. Francia, (dee), n. 39420 del 2006, 01/04/2008; NI. c. Germania…, 121; e Giza c. Polonia, (dee), n.
1997/11, 31, 23/10/2012). Nella causa Uttley, per esempio, la Corte riteneva che le modifiche
apportate alle norme sulla liberazione anticipata successivamente alla condanna del ricorrente
non gli fossero state inflitte, ma che appartenessero al regime generale applicabile ai detenuti,
e lungi dall’essere punitivi, la natura e il fine della misura erano di consentire la liberazione anticipata, pertanto non potevano essere considerati intrinsecamente severe. La Corte, conseguentemente, riteneva che l’applicazione al ricorrente del nuovo regime di liberazione anticipata non facesse parte della pena che gli era stata inflitta”.
Se la Corte Edu in detta sentenza riconosceva che “in pratica la distinzione tra una misura
che costituisce una pena e una misura che riguarda l’esecuzione e l’applicazione della pena può
non essere sempre chiara (si vedano Kafkaris,(…) p.142; Gurguchiani, (…) p.31; e M. c. Ger-

ciru mania, (…) p.121)”, e che è possibile perciò “che le misure adottate dal legislatore, dalle auto-

intendersi quello in cui è stato commesso il reato, ovvero – come sembra più corretto trattan-

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rità amministrative o dai tribunali successivamente all’inflizione della pena definitiva, o nel corso dell’espiazione della pena, possano comportare la ridefinizione o la modifica della portata
della pena inflitta dal tribunale del merito”, chiaramente rimarca, tuttavia, che “per determinare se una misura adottata nel corso dell’esecuzione di una pena riguarda solo la modalità di
esecuzione della pena o, al contrario, incide sulla sua portata”, occorre “esaminare in ciascun
caso che cosa comportava effettivamente la pena inflitta in base al diritto interno in vigore al
momento pertinente, o in altre parole, quale era la sua natura intrinseca”, considerando “il di-

te”. Sicché nel caso al suo esame giungeva alla conclusione che la disciplina della redencion de
penas, prima prevista dall’ordinamento spagnolo e abrogata nel 1995, poteva essere considerata parte integrante del droit penai materie, vuoi per gli importanti riflessi ad essa accordati
dalla giurisprudenza con riguardo al problema del cumulo materiale delle pene, vuoi, soprattutto, per il fatto che, in occasione della riforma del 1995, il legislatore si curava di formulare disposizioni transitorie volte a garantire l’applicazione del beneficio ai soggetti giudicati sulla base del codice penale del 1973, e che violava dunque l’art. 7 della Convenzione il revirement
giurisprudenziale adottato in proposito dalla Corte Suprema.
In riferimento alla liberazione anticipata speciale ora in esame, nessuno degli aspetti (incidenza sul limite delle pene cumulate da eseguire e revirement della giurisprudenza al proposito) evidenziati dalla Corte Edu per giungere alla sostanziale assimilazione del mutamento giurisprudenziale ad un mutamento del (o incidente sul) diritto penale sostanziale può invece, all’evidenza, ravvisarsi, e dunque il riferimento fatto in ricorso a detta sentenza della Corte Edu risulta – in disparte quanto si dirà appresso – in radice impertinente.
3. Soprattutto, però, va osservato che le deduzioni del ricorrente, evocanti principi regolatori
del fenomeno della successione di leggi nel tempo, non si attagliano al differente fenomeno in
esame, che concerne la sorte delle disposizioni di decreti-legge non recepite nella legge di conversione e che trae regola direttamente dall’art. 77, comma terzo, Cost., in base al quale “I
decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni
dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti
sulla base dei decreti non convertiti”.
3.1. Non deroga, né potrebbe, a tale norma di rango superiore la L. n. 400 del 1988, art. 15,
comma 5, laddove dispone che “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge
di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente….”, giacché la disposizione
sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore il giorno successivo a quello
della pubblicazione della relativa legge, e non più dopo il decorso dell’ordinaria vacatio legis se
nulla espressamente era disposto al riguardo (cfr. Cass. Civ., Sez. 3, 07/06/1995 n. 6368, Rv.

ck

492709; Sez. 1, sent. 02/05/1991 n. 4781, Rv. 471926).

,

ritto interno nel suo complesso e la modalità con cui esso era applicato al momento pertinen-

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3.2. In altri termini, refficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che può
farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o “rapporti giuridici sorti sulla base
dei decreti non convertiti” e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un
diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto. Infatti, anche la sent.
C. cost. n. 51 del 1985, mentre collega la mancata conversione del decreto legge di cui all’art.
77 Cost., comma 3, e u.c., a una vicenda di alternatività sincronica fra situazioni normative, in

re in un tratto di tempo quale quello anzidetto; anzi, se interpretato sia in riferimento al suo
specifico precetto (privazione, per il decreto – legge non convertito, di ogni effetto fin dall’inizio), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (inspirato – come appare anche dagli altri due commi dell’art. 77 Cost. – a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa) vieta di considerarla tale.
Dunque, “indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata
con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto-legge non convertito
non ha… attitudine, alla stregua dell’art. 77 Cost., comma 3, e u.c., ad inserirsi in un fenomeno “successorio”, quale quello descritto e regolato dall’art. 2 c.p., commi 2 e 3″, ovverosia in
un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di
irretroattività delle disposizioni di sfavore, “limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2 cod. pen., commi 2 e 3, al caso del decreto-legge non convertito, e quindi alla sancita operatività della norma penale favorevole, se in esso contenuta, relativamente ai
fatti pregressi”.
3.3. A maggior ragione, perciò, nella materia in esame (a cui come detto non s’applicano le
disposizioni degli artt. 2 cod. pen. e 25 Cost. e neppure quelle dell’art. 7 CEDU), la disposizione
del decreto-legge, non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi
collegava un effetto favorevole, non può ritenersi suscettibile di avere vigore ultrattivo, per i
comportamenti preg ressi.
4. Inoltre, va respinta ogni questione di costituzionalità in riferimento all’esclusione dei condannati per i reati di cui all’art. 4 bis ord. pen. dalla disciplina di favore in tema di liberazione
anticipata.
Al proposito va chiarito innanzitutto, che, riferendosi il ricorso a un condannato per il reato di
associazione di stampo mafioso, la questione sarebbe rilevante nel caso in esame solo con riferimento ai condannati per i reati di cui all’art. 416 bis cod. pen.; inoltre, la disciplina di cui si
discute rappresenta, per definizione espressa del legislatore, una disciplina “speciale”, che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto e
applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati.
Non si è in presenza perciò di una situazione in cui l’accesso al beneficio è in radice precluso
per il condannato per il delitto di associazione di stampo mafioso. Si assiste invece al fenome-

nessun caso considera la norma dettata con decreto-legge non convertito come norma in vigo-

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no di una disposizione speciale, che amplia a certe condizioni gli effetti di favore, escludendo
però i condannati per detto reato.
4.1. Trattandosi di disposizione speciale di favore, sarebbe possibile porre un problema di irragionevole diversità di trattamento se fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe
differentemente e meglio trattate, da porre quali tertia comparationis appropriati. Ma, come è
da ritenere acquisito, il delitto di associazione di stampo mafioso ha natura e connotazioni di
immanente pericolosità di tale peculiarità, da non consentire nessun termine di paragone con i
delitti non compresi nella fascia di eccezione.
4.2. La particolare presunzione di pericolosità, che accede alla condanna per il delitto in esame, già reiteratamente ritenuta giustificata nella giurisprudenza costituzionale (ed Europea)
in considerazione delle affatto peculiari connotazioni del delitto, “di pericolo a carattere permanente, che implica un vincolo di appartenenza totalizzante ad un sodalizio caratterizzato da una
particolare forza intimidatrice e da un elevato grado di diffusività nel contesto ambientale, tali
da porre a rischio, per comune sentire, primari beni individuali e collettivi” (così tra molte C.
cost. n. 146/2011), consente d’altro canto di escludere che l’eccezione prevista dalla disposizione speciale di favore possa essere ritenuta intrinsecamente irragionevole e di per sè in contrasto con l’art. 27 Cost..
4.3. Va ritenuta infondata anche la censura attinente alla dedotta disparità di trattamento a
seconda che il ricorrente abbia presentato l’istanza prima o dopo la suddetta conversione.
La disciplina di cui si discute, infatti, per definizione espressa del legislatore, ha natura “speciale”, che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già
previsto e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati (cfr. Cass.,
Sez. 1, 27/06/2014 n. 34073, Panno, Rv. 260849).
Non si è in presenza perciò di una situazione di preclusione in radice dell’accesso al beneficio
per il condannato per il delitto di associazione di stampo mafioso o di altri delitti ostativi. Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che amplia a certe condizioni gli effetti di
favore, escludendo però i condannati per alcune categorie di reati di particolare allarme sociale.
Trattandosi, quindi, di disposizione speciale di favore, in tanto sarebbe possibile porre un
problema di irragionevole diversità di trattamento, in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe differentemente e meglio trattate, da porre quali

tertia comparationis

appropriati.
Ebbene, dal carattere non favorevole al ricorrente della disposizione di legge sopravvenuta in
tema di misure alternative alla detenzione non consegue necessariamente la sua pretesa illegittimità costituzionale. Nel caso in esame, si verte in tema di un istituto speciale, che amplia
gli effetti di favore conseguibili da tutti i soggetti in espiazione pena e può essere legittimamente sottoposto dal legislatore a limiti determinati da situazioni cui si collega una connotazione di immanente e peculiare pericolosità; di per sè non costituisce causa generatrice di tratta-

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menti inumani e degradanti (v., per riferimenti, Cass., Sez. 1, 22/12/2014 n. 1657, Strangio,
non nnassimata).
5. E’ fondato l’ulteriore motivo di ricorso, riguardante la dedotta omessa motivazione nel
provvedimento impugnato in ordine alla dedotta pregressa espiazione dei reati ostativi alla
concessione della liberazione anticipata speciale.
5.1. Tale aspetto non era compiutamente esaminato dal Tribunale di sorveglianza.
Le affermazioni formulate dal ricorrente in tema di reati inseriti nel cumulo non trovavano
smentite nel testo dell’ordinanza impugnata.
Inoltre, la motivazione del provvedimento de quo risulta apodittica ed errata; le enunciazioni
in diritto ivi contenute non potevano essere adeguatamente controllate, in quanto sarebbe stato necessario verificare singolarmente i reati ostativi alla concessione del beneficio e stabilire la
loro incidenza in ordine a ciascun semestre in valutazione.
Il provvedimento impugnato, peraltro, risulta viziato da contraddittorietà, perché in premessa era indicata quale condanna in corso ostativa all’applicazione del beneficio una violazione di
cui all’art. 685 del 1975, in realtà inesistente, secondo quanto asserito dalla difesa del ricorrente e non citata nel provvedimento del Magistrato di sorveglianza oggetto di reclamo.
Effettivamente, pertanto, l’istanza di concessione della liberazione anticipata speciale doveva
essere esaminata più dettagliatamente nel merito, potendosi procedere a tal fine alla scissione
del cumulo tra reati ostativi e non.
5.2. Ai fini della verifica della sussistenza della condizione ostativa alla liberazione anticipata
speciale costituita dall’essere il detenuto condannato per un reato indicato dall’art. 4 bis ord.
pen., infatti, deve procedersi all’individuazione del titolo di reato effettivamente in espiazione
nei periodi cui si riferisce la richiesta.
5.3. Secondo quanto si sostiene nel ricorso personale, il condannato risulterebbe in espiazione dì pene oggetto di un provvedimento di cumulo materiale.
Va rilevato in proposito, infatti, che l’art. 663 cod. proc. pen., nell’attribuire al P.M. il potere
(dovere) di determinare la pena da eseguire in osservanza delle norme sul concorso di pene,
allorché la stessa persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi – dà attuazione all’art. 80 cod. pen., nella parte in cui dispone che l’applicazione delle
norme sul concorso delle pene (artt. 72 – 79 cod. pen.) avviene in fase esecutiva, se non si è
provveduto con le sentenze di merito.
I casi di pronunzie di condanna per reati diversi con una sola sentenza o con sentenze diverse, devono ricevere, dunque, ai fini penali ed esecutivi, identico trattamento, a prescindere dal
momento in cui emerga l’esistenza di condanne per fatti diversi da eseguire (v., da ultimo,
Cass., Sez. 1, 07/10/2015 n. 48882, Crímaldi, non massimata).
È indubbio, quindi, che per le pene temporanee il codice penale vigente abbandonava sia il
sistema dell’assorbimento sia quello del cumulo giuridico, adottando invece, secondo il principio tot crimina tot poenae, il criterio del cumulo materiale: sia pure temperato attraverso la
fissazione di limiti massimi di pena (in assoluto o in rapporto alla pena più grave, ex art. 78

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cod. pen.), ad evitare le possibili esorbitanze derivanti dalla addizione aritmetica, ovvero la
trasformazione in pena a durata illimitata, e quindi di fatto perpetua, di pene che dovrebbero
avere durata temporanea.
5.4. La ratio del sistema istituito dall’ultima proposizione dell’art. 80 cod. pen. (e dall’art.
663 cod. proc. pen.), perciò, all’evidenza, consiste nel garantire che non si producano disparità
dipendenti esclusivamente dalla casualità del momento dell’intervento del giudicato o dell’esecuzione (fermo il principio che la pena non può in nessun caso precedere il delitto e che perciò
il momento cui occorre riferirsi per la formazione del cumulo va fissato esclusivamente in rife-

di una qualsiasi delle pene considerate ai fini dell’esecuzione concorrente).
5.5. Ne consegue che la regola secondo cui le pene della stessa specie, concorrenti a norma
dell’art. 73 cod. pen., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico (art. 76, comma 1, cod. pen.), non può in nessun caso condurre a ingiustificate diversità di trattamento a
seconda dell’eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla
formazione di un cumulo materiale ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., anziché di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.
Sarebbe davvero irragionevole, infatti, che chi è stato condannato per diversi reati, ostativi e
non ostativi ai benefici penitenziari, si trovasse a patire, in relazione alle condanne per i reati
non ostativi, di un trattamento equivalente a coloro i quali sono stati condannati solo per reati
ostativi; e di un trattamento deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia
per delitti ostativi che per reati non ostativi, ha tempestivamente e separatamente scontato
ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili e poste in esecuzione più
tempestivamente.
5.6. Il rischio di un’irragionevole disparità collegata a circostanze meramente casuali è stato,
d’altronde, già segnalato da C. cost. n. 361 del 1994 (correttamente evocata dal ricorrente).
Dichiarando non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis ord. pen., nella parte in cui rendeva la condanna per alcuno dei delitti ivi
enumerati ostativa alla concessione di misura alternativa, la Corte poneva a base della propria
decisione il rilievo che, diversamente da quanto affermato in talune sentenze della Cassazione
che individuano la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di “pericolosità
soggettiva” del detenuto derivante dalla condanna per un reato “ostativo”, “non si rinvengono
dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall’art. 4 bis abbia creato una sorta
di status di “detenuto pericoloso” che permei di sé l’intero rapporto esecutivo, a prescindere
dal titolo specifico di condanna”; e che, al contrario, proprio l’articolazione della disciplina sulle
misure alternative “in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna la cui pena è in esecuzione”, impone di valorizzare il tradizionale insegnamento giurisprudenziale “della necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti
che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e
delle relative pene” (conf. Cass., Sez. 1, 19/12/2014 dep. 2015 n. 3130, Moretti, Rv. 262062).

ck/

rimento alla data di consumazione dell’ultimo reato commesso prima dell’inizio dell’esecuzione

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5.7. A non diverse conclusioni dovrebbe giungersi, per altro, anche nell’ipotesi di cumulo giuridico.
Non solo la citata sentenza della Corte costituzionale non fa distinzione tra le due ipotesi,
ma, come osservavano le Sezioni unite (Cass., Sez. Un., 30/06/1999 n. 14, Ronga, Rv.
214355) in caso di continuazione “l’unificazione delle pene, ancorché destinata a temperare
l’asprezza del cumulo materiale, produrrebbe il paradossale effetto negativo di assegnare alla
quantità di pena riferita al titolo di reato ostativo una sorta di efficacia impeditiva permanente

to già espiato, la preclusione di che trattasi permarrebbe per l’intera durata delle pene cumulate, anche dopo il concreto “esaurimento” della condanna ostativa”.
Pertanto, nel corso dell’esecuzione della pena il vincolo della continuazione tra reati deve
sempre ritenersi scindibile al fine di consentire la valutazione della sussistenza, o meno, di ostacolo veniente dalla tipologia di un dato reato giudicato in continuazione, alla concessione dei
benefici penitenziari ex art. 4 bis ord. pen..
6. In definitiva, il provvedimento impugnato erroneamente ometteva di esaminare la possibilità di provvedere alla scissione del cumulo, senza specificare da quale data cessasse
l’esecuzione dei reati ostativi. Esso va annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Firenze, che provvederà a nuovo esame, verificando se i semestri ai quali si riferiva la richiesta di
liberazione anticipata speciale erano effettivamente riferibili alla espiazione di pena inflitta per
reati ostativi.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Firenze.
Così deciso in Roma il 29 gennaio 2016.

agli effetti dei benefici penitenziari, giacché, nell’ipotesi in cui il corrispondente periodo sia sta-

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