Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21674 del 29/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21674 Anno 2016
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: ESPOSITO ALDO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

DI LUCIANO VINCENZO, n. il 24/04/1959;

avverso l’ordinanza n. 2505/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE del 27/05/2014

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Aldo Esposito;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Roberto Aniello, che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Firenze.

Data Udienza: 29/01/2016

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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27/05/2014 il Tribunale di sorveglianza di Firenze rigettava il reclamo
proposto da Di Luciano Vincenzo avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Siena di
inammissibilità dell’istanza volta al riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata
speciale per il periodo già positivamente valutato, dal 02/07/2009 al 02/07/2013.
2. In motivazione, l’organo giudicante evidenziava che il Di Luciano era detenuto in espiazione di pena irrogata per i reati di cui agli artt. 416 bis e 575 cod. pen. aggravato ex art. 7 L. n.

per effetto della modifica dell’art. 4 D.L. n. 146 del 2013 operata dalla legge di conversione n.
10 del 2014.
3. Il Tribunale di sorveglianza rappresentava che, contrariamente a quanto asserito dal reclamante, risultava del tutto irrilevante l’epoca della presentazione dell’istanza (gennaio 2014),
anteriore alle modificazioni di cui alla legge di conversione sopra citata.
4. Di Luciano Vincenzo proponeva personalmente ricorso per Cassazione avverso tale provvedimento, chiedendone l’annullamento con rinvio al Tribunale di sorveglianza per nuovo esame.
Il ricorso era presentato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., per violazione di legge, mancanza e/o illogicità
della motivazione.
5. Nell’atto di impugnazione il Di Luciano osservava di aver formulato l’istanza di concessione
della liberazione anticipata speciale in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione; a suo avviso, per tale ragione la richiesta non poteva essere respinta

de plano, bensì

doveva essere esaminata alla stregua dell’art. 4, comma 4, D.L. 146 del 2013, applicabile ai
fatti commessi durante la sua vigenza, nonostante la successiva mancata conversione.
6. Rilevava poi che il giudice de quo aveva omesso ogni motivazione in ordine alle ragioni,
per le quali disattendeva le specifiche censure formulate.
7. Contrariamente a quanto esposto nel provvedimento impugnato, sosteneva di aver già
espiato i reati – di cui agli artt. 416 bis e 575 cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 7 L. n. 203
del 1991 – ostativi alla concessione del beneficio. Tale situazione favorevole emergeva sia dal
provvedimento di cumulo relativo alle condanne in corso di espiazione sia dall’espresso riconoscimento del Magistrato di sorveglianza di Pisa, che lo aveva ammesso ai benefici penitenziari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto nei termini sotto meglio precisati.
2. In relazione al primo motivo di ricorso, va premesso che la vicenda processuale concerne
l’esame della concedibilità della liberazione anticipata speciale nei confronti di Di Luciano Vincenzo, e, cioè, l’applicazione della disciplina speciale di particolare favore recata dal D.L.

203 del 1991, contemplati dall’art. 4 bis ord. pen., in ordine ai quali il beneficio era precluso

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23/12/2013, che all’art. 4, estende a settantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena
scontata la liberazione anticipata prevista dalla L. 26/07/1975 n. 354, art. 54, in relazione al
periodo già positivamente valutato ai fini della liberazione anticipata ordinaria, dal 02/07/2009
al 02/07/2013. Tale istanza era rigettata sul presupposto della circostanza che il Di Luciano
stava espiando pena per reati ostativi alla concessione di tale beneficio.
La vicenda procedimentale si colloca “a cavallo” della conversione in legge di detto decreto,
che al comma 4, eliminato dalla legge di conversione, prevedeva che “Ai condannati per taluno
dei delitti previsti dalla L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 4 bis, la liberazione anticipata può essere

so in cui abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità”, mentre ora, per effetto delle modifiche al comma 1, apportate dalla medesima legge, consente il riconoscimento
della maggiore detrazione di pena “Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti
dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis”.
2.1. In base al testo convertito in legge ed ora in vigore, dunque, il ricorrente non può in alcun modo beneficiare della disciplina di favore, essendo in espiazione pena per associazione
per delinquere di stampo mafioso, ovverosia per un delitto previsto dalla L. n. 354/1975, art. 4
bis ord. pen..
Secondo il ricorrente, la disciplina di cui alla legge di conversione non potrebbe applicarsi al
caso in esame per il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole di cui all’art. 25
Cost. e per la disparità di trattamento, che si realizzerebbe rispetto alla posizione del condannato, che aveva già richiesto ed ottenuto il beneficio in epoca pregressa, nella vigenza del decreto legge nel testo originario.
2.2. Ora, però, la tesi della natura sostanziale della disciplina evocata e dell’applicabilità della
normativa in vigore al momento della domanda è anzitutto, come sembra evidente, intimamente contraddittoria: se effettivamente la disciplina della liberazione anticipata soggiacesse
alle regole degli artt. 2 cod. pen. e 25 Cost., dovrebbe essere applicata la legge più favorevole
vigente al momento del fatto, e occorrerebbe solo valutare se per momento del “fatto” possa
intendersi quello in cui è stato commesso il reato, ovvero – come sembra più corretto trattandosi di fattispecie non riguardante la fattispecie sostanziale e non incidente sulla sanzione da
infliggere e in concreto inflitta, ma attinente alla meritevolezza di sconti della pena collegati alla condotta serbata durante la espiazione – il tempo in cui si è tenuto il comportamento, di cui
si chiede la valutazione al fine del beneficio. Mentre l’applicazione della regola, che fa riferimento alla disciplina vigente al momento della domanda (in base al principio generale di cui
costituisce espressione l’art. 5 cod. proc. civ.), postulerebbe che si verta al contrario in materia
attinente alla giurisdizione o alla competenza, ovverosia in materia squisitamente processuale.
2.3. Per sola completezza, comunque, va sottolineato che sia la giurisprudenza costituzionale
(v. C. cost. ord. n. 10 del 1981; sent. n. 376 del 1997) e la giurisprudenza della Corte EDU co-

concessa nella misura di settantacinque giorni, a norma dei commi precedenti, soltanto nel ca-

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stantemente escludono l’applicabilità del principio dell’irretroattività della legge più sfavorevole
in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare).
Espressamente anche nella sentenza della Corte EDU – Grande Camera del 21/10/2013, Del
Rio Prada contro Spagna, ric. n. 42750/09 – era evidenziato che “Sia la Commissione sia la
Corte delineavano nella loro giurisprudenza una distinzione tra una misura che costituisce in
sostanza una pena e una misura che riguarda l’esecuzione o l’applicazione della pena”. Conseguentemente, se la natura e il fine della misura riguarda la detrazione di pena o una modifica
del regime di liberazione anticipata, essa non fa parte della pena ai sensi dell’art. 7 (v., tra altri

del 15 gennaio 1997; Grava…, 51; Uttley…; Kafkaris…; 142; Monne c. Francia, (dee), n.
39420/06, 1 aprile 2008; NI. c. Germania…, 121; e Giza c. Polonia, (dee), n. 1997/11, 31, 23
ottobre 2012). Nella causa Uttley, per esempio, la Corte riteneva che le modifiche apportate
alle norme sulla liberazione anticipata successivamente alla condanna del ricorrente non gli
fossero state inflitte, ma che appartenessero al regime generale applicabile ai detenuti, e lungi
dall’essere punitivi, la natura e il fine della misura erano di consentire la liberazione anticipata,
pertanto non potevano essere considerati intrinsecamente severe. La Corte, conseguentemente, riteneva che l’applicazione al ricorrente del nuovo regime di liberazione anticipata non facesse parte della pena che gli era stata inflitta”.
Se la Corte Edu in detta sentenza riconosceva che “in pratica la distinzione tra una misura
che costituisce una pena e una misura che riguarda l’esecuzione e l’applicazione della pena può
non essere sempre chiara (si vedano Kafkaris,(…) p.142; Gurguchiani, (…) p.31; e M. c. Germania, (…) p.121)”, e che è possibile perciò “che le misure adottate dal legislatore, dalle autorità amministrative o dai tribunali successivamente all’inflizione della pena definitiva, o nel corso dell’espiazione della pena, possano comportare la ridefinizione o la modifica della portata
della pena inflitta dal tribunale del merito”, chiaramente rimarca, tuttavia, che “per determinare se una misura adottata nel corso dell’esecuzione di una pena riguarda solo la modalità di
esecuzione della pena o, al contrario, incide sulla sua portata”, occorre “esaminare in ciascun
caso che cosa comportava effettivamente la pena inflitta in base al diritto interno in vigore al
momento pertinente, o in altre parole, quale era la sua natura intrinseca”, considerando “il diritto interno nel suo complesso e la modalità con cui esso era applicato al momento pertinente”. Sicché nel caso al suo esame giungeva alla conclusione che la disciplina della redencion de
penas, prima prevista dall’ordinamento spagnolo e abrogata nel 1995, poteva essere considerata parte integrante del droit penai materie, vuoi per gli importanti riflessi ad essa accordati
dalla giurisprudenza con riguardo al problema del cumulo materiale delle pene, vuoi, soprattutto, per il fatto che, in occasione della riforma del 1995, il legislatore si curava di formulare disposizioni transitorie volte a garantire l’applicazione del beneficio ai soggetti giudicati sulla base del codice penale del 1973, e che violava dunque l’art. 7 della Convenzione il revirement
giurisprudenziale adottato in proposito dalla Corte suprema.

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precedenti, Hogben…; Hosein…; L. G. R. c. Svezia, n. 27032/95, decisione della Commissione

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In riferimento alla liberazione anticipata speciale ora in esame, nessuno degli aspetti (incidenza sul limite delle pene cumulate da eseguire e revirement della giurisprudenza al proposito) evidenziati dalla Corte Edu per giungere alla sostanziale assimilazione del mutamento giurisprudenziale ad un mutamento del (o incidente sul) diritto penale sostanziale può invece, all’evidenza, ravvisarsi, e dunque il riferimento fatto in ricorso a detta sentenza della Corte Edu risulta – in disparte quanto si dirà appresso – in radice impertinente.
3. Soprattutto, però, va osservato che le deduzioni del ricorrente, evocanti principi regolatori
del fenomeno della successione di leggi nel tempo, non si attagliano al differente fenomeno in

versione e che trae regola direttamente dall’art. 77, comma terzo, Cost., in base al quale “I
decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni
dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti
sulla base dei decreti non convertiti”.
3.1. Non deroga, né potrebbe, a tale norma di rango superiore la I. n. 400 del 1988, art. 15,
comma 5, laddove dispone che “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge
di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente….”, giacché la disposizione
sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore il giorno successivo a quello
della pubblicazione della relativa legge, e non più dopo il decorso dell’ordinaria vacatio legis se
nulla espressamente era disposto al riguardo (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, sent. 02/05/1991 n.
4781, Rv. 471926; Sez. 3, 07/06/1995 n. 6368, Rv. 492709).
3.2. In altri termini, l'”efficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che può
farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o “rapporti giuridici sorti sulla base
dei decreti non convertiti” e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un
diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto. Infatti, anche la sent.
C. cost. n. 51/1985, mentre collega la mancata conversione del decreto legge di cui all’art. 77
Cost., comma 3, e u.c., a una vicenda di alternatività sincronica fra situazioni normative, in
nessun caso considera la norma dettata con decreto-legge non convertito come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto; anzi, se interpretato sia in riferimento al suo
specifico precetto (privazione, per il decreto – legge non convertito, di ogni effetto fin dall’inizio), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (inspirato – come appare anche dagli altri due commi dell’art. 77 Cost. – a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa) vieta di considerarla tale.
Dunque, “indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata
con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto-legge non convertito
non ha… attitudine, alla stregua dell’art. 77 Cost., comma 3, e u.c., ad inserirsi in un fenomeno “successorio”, quale quello descritto e regolato dall’art. 2, commi secondo e terzo, cod.

esame, che concerne la sorte delle disposizioni di decreti-legge non recepite nella legge di con-

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pen.„ ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali
vale il principio di irretroattività delle disposizioni di sfavore, “limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2 cod. pen., commi 2 e 3, al caso del decreto-legge non
convertito, e quindi alla sancita operatività della norma penale favorevole, se in esso contenuta, relativamente ai fatti pregressi”.
3.3. A maggior ragione, perciò, nella materia in esame (a cui come detto non s’applicano le
disposizioni degli artt. 2 cod. pen. e 25 Cost. e neppure quelle dell’art. 7 CEDU), la disposizione
del decreto-legge, non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi

comportamenti pregressi.
4. Va ritenuta infondata anche la censura attinente alla dedotta disparità di trattamento a
seconda che il ricorrente abbia presentato l’istanza prima o dopo la suddetta conversione.
4.1. La disciplina di cui si discute, infatti, per definizione espressa del legislatore, ha natura
“speciale”, che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati (cfr. Cass.,
Sez. 1, 27/06/2014 n. 34073, Panno, Rv. 260849).
Non si è in presenza perciò di una situazione di preclusione in radice dell’accesso al beneficio
per il condannato per il delitto di associazione di stampo mafioso o di altri delitti ostativi. Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che amplia a certe condizioni gli effetti di
favore, escludendo però i condannati per alcune categorie di reati di particolare allarme sociale.
Trattandosi, quindi, di disposizione speciale di favore, in tanto sarebbe possibile porre un
problema di irragionevole diversità di trattamento, in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe differentemente e meglio trattate, da porre quali

tertia comparationis

appropriati.
4.2. Ebbene, dal carattere non favorevole al ricorrente della disposizione di legge sopravvenuta in tema di misure alternative alla detenzione non consegue necessariamente la sua pretesa illegittimità costituzionale. Si verte in tema di un istituto speciale, che amplia gli effetti di
favore conseguibili da tutti i soggetti in espiazione pena e può essere legittimamente sottoposto dal legislatore a limiti determinati da situazioni cui si collega una connotazione di immanente e peculiare pericolosità; di per sè non costituisce causa generatrice di trattamenti inumani e
degradanti (v., per riferimenti, Cass., Sez. 1, 22/12/2014 n. 1657, Strangio, non nnassimata).
S. Risulta fondato l’ulteriore motivo di ricorso, riguardante la dedotta omessa motivazione
nel provvedimento impugnato in ordine alla presunta pregressa espiazione dei reati ostativi alla concessione della liberazione anticipata speciale.
5.1. Al riguardo, il Di Luciano evidenziava di aver già espiato le condanne ostative al riconoscimento della liberazione anticipata speciale, aspetto non compiutamente esaminato dal Tribunale di sorveglianza. In caso positivo, effettivamente l’istanza di concessione della liberazio-

collegava un effetto favorevole, non può ritenersi suscettibile di avere vigore ultrattivo, per i

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ne anticipata speciale doveva essere esaminata nel merito, potendosi procedere a tal fine alla
scissione del cumulo tra reati ostativi e non.
In proposito, peraltro, il Di Luciano allegava al ricorso in oggetto un provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Pisa del 29/10/2012 di diniego di permesso premio, nella cui premessa, però, era dato atto dell’avvenuta espiazione dei reati ostativi.
5.2. Ai fini della verifica della sussistenza della condizione ostativa alla liberazione anticipata
speciale costituita dall’essere il detenuto condannato per un reato indicato dall’art. 4 bis ord.
pen., infatti, deve procedersi all’individuazione del titolo di reato effettivamente in espiazione

5.3. Secondo quanto si sostiene nel ricorso personale, il condannato risulterebbe in espiazione di pene oggetto di un provvedimento di cumulo materiale.
Infatti, l’art. 663 cod. proc. pen., nell’attribuire al P.M. il potere (dovere) di determinare la
pena da eseguire in osservanza delle norme sul concorso di pene, allorché la stessa persona
sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi – dà attuazione all’art.
80 cod. pen., nella parte in cui dispone che l’applicazione delle norme sul concorso delle pene
(artt. 72 – 79 cod. pen.) avviene in fase esecutiva, se non si è provveduto con le sentenze di
merito.
I casi di pronunzie di condanna per reati diversi con una sola sentenza o con sentenze diverse, devono ricevere, dunque, ai fini penali ed esecutivi, identico trattamento, a prescindere dal
momento in cui emerge l’esistenza di condanne per fatti diversi da eseguire. È indubbio, quindi, che per le pene temporanee il codice penale vigente abbandonava sia il sistema dell’assorbimento sia quello del cumulo giuridico, adottando invece, secondo il principio tot crimine tot
poenae, il criterio del cumulo materiale: sia pure temperato attraverso la fissazione di limiti
massimi di pena (in assoluto o in rapporto alla pena più grave, ex art. 78 cod. pen.), ad evitare
le possibili esorbitanze derivanti dalla addizione aritmetica, ovvero la trasformazione in pena a
durata illimitata, e quindi di fatto perpetua, di pene che dovrebbero avere durata temporanea.
5.4. La ratio del sistema istituito dall’ultima proposizione dell’art. 80 cod. pen. (e dall’art.
663 cod. proc. pen.), perciò, all’evidenza, consiste nel garantire che non si producano disparità
dipendenti esclusivamente dalla casualità del momento dell’intervento del giudicato o dell’esecuzione (fermo il principio che la pena non può in nessun caso precedere il delitto e che perciò
il momento cui occorre riferirsi per la formazione del cumulo va fissato esclusivamente in riferimento alla data di consumazione dell’ultimo reato commesso prima dell’inizio dell’esecuzione
di una qualsiasi delle pene considerate ai fini dell’esecuzione concorrente).
5.5. Ne consegue che la regola secondo cui le pene della stessa specie, concorrenti a norma
dell’art. 73 cod. pen., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico (art. 76, comma 1, cod. pen.), non può in nessun caso condurre a ingiustificate diversità di trattamento a
seconda dell’eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla
k/formazione di un cumulo materiale ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., anziché di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.

nei periodi cui si riferisce la richiesta.

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Sarebbe davvero irragionevole, infatti, che chi è stato condannato per diversi reati, ostativi e
non ostativi ai benefici penitenziari, si trovasse a patire, in relazione alle condanne per i reati
non ostativi, di un trattamento equivalente a coloro i quali sono stati condannati solo per reati
ostativi; e di un trattamento deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia
per delitti ostativi che per reati non ostativi, ha tempestivamente e separatamente scontato
ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili e poste in esecuzione più
tempestivamente.
5.6. Il rischio di un’irragionevole disparità collegata a circostanze meramente casuali è stato,

in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis ord. pen., nella parte in
cui rendeva la condanna per alcuno dei delitti ivi enumerati ostativa alla concessione di misura
alternativa, la Corte poneva a base della propria decisione il rilievo che, diversamente da quanto affermato in talune sentenze della Cassazione, che individuano la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di “pericolosità soggettiva” del detenuto derivante dalla
condanna per un reato “ostativo”, “non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall’art. 4 bis cit. abbia creato una sorta di status di “detenuto pericoloso”,
che permei di sé l’intero rapporto esecutivo, a prescindere dal titolo specifico di condanna”; e
che, al contrario, proprio l’articolazione della disciplina sulle misure alternative “in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna la cui pena è
in esecuzione”, impone di valorizzare il tradizionale insegnamento giurisprudenziale “della necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità,
richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene” (conf. Cass.,
Sez. 1, 19/12/2014 – 22/01/2015 n. 3130, Moretti, Rv. 262062).
5.7. A non diverse conclusioni dovrebbe giungersi, per altro, anche nell’ipotesi di cumulo giuridico.
Non solo la citata sentenza della Corte costituzionale non fa distinzione tra le due ipotesi,
ma, come osservavano le Sezioni unite (Cass., Sez. Un., 30/06/1999 n. 14, Ronga, Rv.
214355) in caso di continuazione “l’unificazione delle pene, ancorché destinata a temperare
l’asprezza del cumulo materiale, produrrebbe il paradossale effetto negativo di assegnare alla
quantità di pena riferita al titolo di reato ostativo una sorta di efficacia impeditiva permanente
agli effetti dei benefici penitenziari, giacché, nell’ipotesi in cui il corrispondente periodo sia stato già espiato, la preclusione di che trattasi permarrebbe per l’intera durata delle pene cumulate, anche dopo il concreto “esaurimento” della condanna ostativa”.
Pertanto, nel corso dell’esecuzione della pena il vincolo della continuazione tra reati deve
sempre ritenersi scindibile al fine di consentire la valutazione della sussistenza, o meno, di ostacolo veniente dalla tipologia di un dato reato giudicato in continuazione, alla concessione dei
benefici penitenziari ex art. 4 bis ord. pen..

t

6. In definitiva, il provvedimento impugnato, che erroneamente ometteva di esaminare la
possibilità di provvedere alla scissione del cumulo, va annullato con rinvio al Tribunale di sor-

d’altronde, già segnalato da C. cost. n. 361 del 1994. Dichiarando non fondata, nei sensi di cui

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veglianza di Firenze, che provvederà a nuovo esame, verificando la ríferibilità dei semestri ai
quali si riferiva la richiesta di liberazione anticipata speciale all’espiazione di pena inflitta per
reati ostativi.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Firenze.

Così deciso in Roma il 29 gennaio 2016.

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