Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21667 del 18/01/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 21667 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SHUSHAN ABDERRAZAG N. IL 15/07/1966
avverso l’ordinanza n. 259/2014 TRIBUNALE di RAVENNA, del
19/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/site-le conclusioni del PG Dott.
Rotc~0 2

Z,

e

JAZ zii-ed-0)o

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 18/01/2016

RILEVATO IN FATTO
Il ricorrente Shushan Abderrazag, detenuto in espiazione della pena di cui al
provvedimento di cumulo emesso in data 14.10.2014 dalla Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Ravenna, ha avanzato istanza di declaratoria di invalidità del citato
provvedimento di cumulo, con subordinata istanza di rideterminazione delle pene inflitte
con le sentenze del GUP del Tribunale di Ravenna del 14.03.2011 e del Tribunale di
Ravenna del dì 08.10.2013 nonché con ulteriore istanza di riconoscimento del vincolo della

La richiesta principale evidenziava che il citato provvedimento di cumulo comprendeva
anche la pena di cui ad un precedente provvedimento di cumulo del 14.11.2012, il cui
ordine di esecuzione era sospeso ed in relazione al quale era stata avanzata istanza di
affidamento in prova al servizio sociale: il nuovo titolo era derivato dalla sentenza del
Tribunale di Ravenna del dì 08.10.2013, in relazione alla quale egli era stato arrestato il
30.09.2013 ed era rimasto sempre in carcere, dapprima in stato cautelare e poi in
espiazione della pena: divenuta definitiva l’ultima sentenza, il P.M. aveva emesso il nuovo
cumulo, disponendo la carcerazione anche per le precedenti condanne. Ma il condannato
sosteneva che la pena residua non era stata correttamente computata, per cui la pena
dell’ultima condanna era già stata espiata ed il condannato avrebbe dovuto essere
scarcerato in pendenza della sua istanza di misura alternativa.
Con ordinanza in data 19.11.2014 il Tribunale di Ravenna rideterminava la pena inflitta a
Shushan Abderrazag con sentenza in data 14.03.2011 del GUP del Tribunale di Ravenna
nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione ed C 1.800,00 di multa: rigettava tutte le
altre richieste.
Rilevava il Giudice che, con riferimento alla questione della validità del provvedimento di
cumulo, la sospensione dell’ordine di carcerazione ex art. 656, comma 5, cod.proc.pen. è
applicabile soltanto al condannato che si trovi in stato di libertà poichè si tratta di un
istituto che evita l’ingresso in carcere di chi può ottenere una misura alternativa: se invece
il condannato è già in carcere (sia in espiazione del titolo medesimo sia per titolo diverso)
quella esigenza non può essere soddisfatta; rilevato che il P.M. aveva emesso il
provvedimento di cumulo quando il condannato era in carcere in espiazione della pena
dell’ultima sentenza, concludeva che l’ordine di esecuzione era legittimo e doveroso. Ed
ancora il Giudice evidenziava che il computo della pena era stato corretto, poiché essa
doveva decorrere dal giorno 30.09.2013, data del suo arresto per il reato dell’ultima
sentenza.
Si negava poi la rideterminazione della pena inflitta con sentenza del Tribunale di Ravenna
del dì 08.10.2013, poiché la stessa riguardava la detenzione di cocaina, hashish e
marijuana, per cui, sulla base della precedente normativa risorta dopo la dichiarazione di
incostituzionalità di cui alla sentenza n° 32/2014 della Corte Costituzionale, l’effetto

1

continuazione tra i reati di cui alle condanne.

,

concreto sarebbe stato peggiorativo per il condannato poiché si sarebbe dovuto applicare
una pena maggiore per il concorso di distinte fattispecie criminose. Si negava anche il
riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati con le sentenze del GUP del
Tribunale di Ravenna del 14.03.2011 e del Tribunale di Ravenna del dì 08.10.2013 poiché
si trattava di fatti analoghi, ma commessi in tempi molto distanti (anni 2010 e 2013)
senza alcun elemento che indicasse la medesimezza di un disegno criminoso (nemmeno
supportato da una qualsiasi allegazione documentale da parte del condannato), per cui

Avverso detto provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del suo difensore,
deducendo ex art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod.proc.pen. l’erronea applicazione della
legge e la manifesta illogicità della motivazione: dopo avere ripercorso le vicende del
condannato, si evidenziava che in data 14.10.2014 il P.M. aveva emesso un
provvedimento di cumulo ponendo in esso anche le pene già comprese in un precedente
analogo provvedimento che era stato però oggetto di sospensione; invece il nuovo cumulo
non era stato sospeso poiché il condannato si trovava in carcere in espiazione della pena di
cui all’ultima sentenza di condanna. Si sottolineava che in data 30.10.2014 era stata
avanzata una istanza al P.M. per la sospensione dell’ordine di esecuzione poiché il giorno
successivo sarebbe terminata la pena dell’ultima sentenza mentre il resto del cumulo era
stato in passato sommato in un solo provvedimento per il quale vi era stata sospensione in
precedenza: ma questa tesi non era stata accolta ed allora il ricorso si duole del fatto che,
se il P.M. avesse atteso 16 giorni ad emettere il provvedimento di cumulo, avrebbe preso
atto dell’avvenuta espiazione dell’ultima pena; si invoca una analogia con la fattispecie
disciplinata dall’art. 51 bis 0.P., atteso che comunque il nuovo cumulo restava sotto la
soglia triennale; si sostiene l’avvenuto errore di computo della pena che non avrebbe
considerato la liberazione anticipata; si richiama giurisprudenza relativa alla sospensione
degli ordini di esecuzione in cui confluiscono pene precedenti per le quali era stato
concesso il beneficio della sospensione dell’esecuzione e che il cumulo deve essere evitato
quando ne derivino conseguenze sfavorevoli per l’interessato.
Il P.G. chiede il rigetto del ricorso, evidenziando che il comma 9 dell’art. 656 cod.proc.pen.
impediva la sospensione dell’esecuzione del nuovo cumulo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va rigettato poiché infondato.
In estrema sintesi, il ricorrente era stato attinto da un provvedimento di cumulo in data
14.11.2012, la cui esecuzione era stata sospesa in attesa della definizione della richiesta
avanzata di concessione di una misura alternativa alla detenzione. Tuttavia in data
14.10.2014 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna aveva emesso un
nuovo provvedimento di cumulo, il quale comprendeva le condanne già rientranti nel
2

non si poteva che dedurre una mera scelta di vita votata all’illecito.

precedente cumulo oltre alla nuova condanna di cui alla sentenza del Tribunale di Ravenna
in data 08.10.2013: ma, poiché il ricorrente, in quel momento, si trovava detenuto proprio
per detto titolo, il P.M. non aveva sospeso l’ordine di esecuzione del nuovo provvedimento
di cumulo.
Il ricorso esprime diverse ragioni di doglianza, ma, considerata priva di pregio quella
relativa al tempo di emissione del nuovo cumulo (non rivestendo alcuna veste giuridica qui
valutabile la relativa decisione del P.M. di non attendere 16 giorni, non ravvisandosi alcun

mancata sospensione del nuovo ordine di esecuzione a causa della contestuale condizione
detentiva del condannato.
Trattasi, tuttavia, di una ragione di doglianza che non può trovare accoglimento, giacchè le
decisione del P.M. è stata corretta.
La Legge 27/5/1998 n. 165 (c.d. legge Simeone), recante “modifiche all’art. 656 C.P.P. e
alla legge 26/07/1975 n. 354 e successive modificazioni”, nel perseguire l’obiettivo di
ridurre il sovraffollamento carcerario, ha ampliato il meccanismo di accesso alle misure
alternative previste dall’ordinamento penitenziario per tutti i condannati che si trovino in
determinate situazioni, evitando a costoro il preventivo passaggio per il carcere.
Nella suddetta ottica, la citata Legge ha imposto l’obbligo al P.M. di sospendere d’ufficio, in
base ad un accertamento aritmetico- formale che non implica alcuna valutazione
discrezionale, l’esecuzione di tutte le condanne definitive a pene detentive non superiori a
determinate soglie, con contestuale avviso all’interessato della facoltà di presentare al
Tribunale di Sorveglianza l’istanza volta alla concessione di una delle misure alternative.
Il principio della sospensione “automatica”, però incontra limiti tassativi, individuabili in
situazioni particolari pertinenti al condannato che non consentono in nessun caso detta
sospensione.
Lo scopo della sospensione della esecuzione della pena detentiva di cui al comma 5 del
novellato art. 656 cod.proc.pen. è appunto quello di evitare l’ingresso in carcere a chi ha la
possibilità di ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione. Tant’è
che il comma 9 dello stesso articolo dispone che detta sospensione non può essere
disposta nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si
trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene
esecutiva; e il successivo comma 10 prevede la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di
carcerazione “se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della
condanna da eseguire”.
Quindi, per espressa previsione del comma 9 dell’art.656 cod.proc.pen., come sostituito
dall’arti della Legge n° 165/1998, il provvedimento di sospensione dell’ordine di
esecuzione, previsto per le condanne a pene detentive brevi, non può essere adottato
quando il condannato si trovi in stato di custodia cautelare in carcere all’atto del passaggio
in giudicato della sentenza. Tale deroga è del tutto razionale ed in linea con il principio

3

obbligo in tal senso per l’Ufficio Pubblico), la doglianza si restringe essenzialmente alla

sancito dall’art.27, terzo comma, Cost., in quanto, mentre può fondatamente presumersi
una ridotta pericolosità – con conseguente prognosi di applicabilità dei benefici penitenziari
– riguardo al condannato a pena breve che si trovi in stato di libertà al momento in cui la
sentenza diviene definitiva, vige la presunzione inversa nei confronti del sottoposto alla
custodia in carcere, poiché tale cautela può essere applicata solo quando ricorrono, nel
grado più elevato, rilevanti esigenze di tutela degli interessi della collettività o pericolo di
fuga (Sez. 1, n° 2430 del 23.03.1999, Rv 213876).

esecuzione, atteso che essa va disposta per il condannato non detenuto.
Alla stregua di detti principi, appare ininfluente ogni questione relativa al computo della
pena ed alla considerazione della liberazione anticipata (questione che eventualmente va
sollevata nella sede competente)
Infine, il ricorso sostiene che il cumulo debba essere sciolto quando il suo mantenimento
comporti pregiudizi per il condannato. È però agevole replicare che, una volta operato il
cumulo materiale, operazione resa obbligatoria dall’art. 663 cod.proc.pen. per il P.M., e da
compiersi nel rispetto delle norme sul concorso di pene contenute negli artt. 71 cod.pen. e
segg., per effetto del rinvio ad esse operato dal successivo art. 80, le pene detentive
temporanee, inflitte con le distinte sentenze, “si considerano come pena unica per ogni
effetto giuridico” (art. 76 cod.pen.). Pertanto, il condannato è soggetto ad esecuzione
contemporaneamente per tutte le condanne confluite nell’unico titolo esecutivo, costituito
dal provvedimento di unificazione di pene concorrenti e quindi non può ottenere la
scissione del rapporto esecutivo per le singole pronunce al fine di conseguire, previa loro
considerazione isolata, la sospensione dell’esecuzione ed il mantenimento in libertà per
una condanna, per la quale i limiti di pena consentano l’accesso ai benefici penitenziari, ed
essere al contempo detenuto per altre, comprese nello stesso cumulo.
Infatti, la sospensione dell’ordine di carcerazione ex art. 656 cod.proc.pen. è funzionale al
conseguimento di una misura alternativa alla detenzione e quindi ad impedire l’immediato
ingresso in carcere a quanti possano accedere a tale misura nelle more dell’assunzione
della relativa decisione, sicché tali benefici non possono operare soltanto in relazione ad
una delle pene concorrenti, ma sulla pena unica per tutti i titoli contemporaneamente
esecutivi nei confronti della stessa persona, secondo quanto deducibile a contrariis dall’art.
51 bis 0.P., che, in caso di avvenuta ammissione, prevede, se sopravvengano nuovi titoli
esecutivi, l’estensione o la cessazione del beneficio tenuto conto del cumulo delle pene,
allo scopo di imporre la verifica della persistenza dei requisiti di ammissibilità (Sez. 1, n°
1704 del 19.03.2015, Rv 263380).
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del
proponente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M
4

E, nella fattispecie, correttamente il P.M. non aveva disposto la sospensione della

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2016.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA