Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21665 del 16/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21665 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Patti
nel procedimento nei confronti di
CONSENTINO Filippo Mario, nato il 20/09/1965 a Mistretta

avverso la sentenza del 29/09/2016 del Giudice di Pace di Mistretta

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, Avv. Antonio Di Francesco, che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Patti ricorre per
cassazione avverso la sentenza emessa il 29/09/2016 con la quale il Giudice
di Pace di Mistretta ha assolto Consentino Filippo Mario dal reato di cui all’art.
594 c.p. per l’intervenuta depenalizzazione, e dal reato di cui all’art. 582 c.p.,
contestato per aver cagionato lesioni personali, giudicate guaribili in 8 giorni,

Data Udienza: 16/02/2018

a Monachino Teresa, colpendola con uno schiaffo al viso e causandone la
caduta a terra, perché il fatto non sussiste.
Con un primo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt.
431 e 511 c.p.p., lamentando che la sentenza impugnata abbia espresso una
valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa,
ritenendole difformi rispetto alle dichiarazioni rese in sede di querela;
sostiene, al riguardo, che la querela (seppur intestata come verbale di s.i.15
era stata acquisita soltanto ai fini della procedibilità, e non potesse essere

difformità rilevate dal Giudice riguardavano il momento successivo
all’aggressione, la fase dei soccorsi, e la valutazione non avrebbe considerato
la perfetta sovrapponibilità con le dichiarazioni rese dai testimoni Giordano e
Cicero.
Con un secondo motivo deduce il vizio di motivazione, lamentando che la
valutazione di insufficiente credibilità della parte civile sia stata fondata sui
diverbi, anche pregressi, con l’imputato, e sulle già richiamate discrasie
narrative; tuttavia, la motivazione sarebbe illogica nella parte in cui fa errata
applicazione dei principi della sufficienza probatoria delle dichiarazioni della
persona offesa, pretendendo la necessità di riscontri esterni, e senza
esplicitare il giudizio di insufficiente credibilità soggettiva e oggettiva della
persona offesa; le difformità rilevate non inficiano il nucleo essenziale della
dichiarazione della persona offesa, concernendo la modalità esecutiva dei
soccorsi, successivi all’aggressione, e, unitamente ai diverbi di origine
sindacale, non sono idonei ad obliterare la valenza dei riscontri esterni
rappresentati dal certificato medico delle lesioni provocate dalla vittima, dalle
dichiarazioni dei testimoni, che hanno visto la Monachino sanguinante poco
dopo la discussione avuta con il Consentino, e dopo aver visto costui lasciare
la Casa circondariale, l’uscita del Consentino dal carcere pochi minuti dopo
l’aggressione, e l’immediata e costante rivelazione di essere stata vittima di
un’aggressione del Consentino.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata ha, infatti, assolto l’imputato dal residuo reato di
lesioni personali sul duplice rilievo della mancanza di credibilità soggettiva
della parte civile, per le difformità tra le dichiarazioni rese in udienza e quelle
contenute nella querela, e della mancanza di riscontri alle sue dichiarazioni in
merito alla riconducibilità delle lesioni alla condotta del Consentino.

2

utilizzata ai fini della valutazione della credibilità del teste; peraltro, le

Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dalla parte civile, la stessa, nella
qualità di Direttore della Casa Circondariale di Mistretta, nel corso di una
discussione per motivi sindacali con l’imputato, all’epoca Assistente capo della
Polizia Penitenziaria, veniva colpita con uno schiaffo al viso, che ne provocava
la caduta a terra, ed un trauma cranico con ferita lacero contusa.
La parte civile, tuttavia, non è stata ritenuta credibile, in quanto le
dichiarazioni rese in udienza erano in alcuni punti difformi rispetto alla
versione resa nella querela, allorquando aveva riferito di avere perso i sensi e

sede dibattimentale, invece, aveva riferito di avere chiamato aiuto e di essere
uscita nel corridoio, dove aveva incontrato l’Assistente Cicero, che la aveva
accompagnata in infermeria.
Sul punto, oltre al rilievo che le difformità evidenziate concernono
soltanto la fase successiva all’aggressione, senza incidere sulla descrizione del
nucleo essenziale del fatto, va sottolineato che la valutazione di credibilità
fondata dal Giudice di Pace sulla querela è erronea; al riguardo, infatti, è
pacifico il principio secondo cui, in tema di letture consentite, ex artt. 431 e
511 cod. proc. pen., la querela può essere inserita nel fascicolo per il
dibattimento ed è utilizzabile ai soli fini della procedibilità dell’azione penale,
con la conseguenza che da essa il giudice non può trarre elementi di
convincimento al fine della ricostruzione storica della vicenda, tranne che per
circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell’autore
della denuncia-querela; in tal caso, infatti, la lettura è consentita, ai sensi
dell’art. 512 cod. proc. pen., anche per utilizzarne il contenuto ai fini della
prova. Ne consegue che, in assenza dei presupposti di cui all’art. 512 cod.
proc. pen., la querela non può essere utilizzata per le contestazioni ex art.
500 cod. proc. pen., trattandosi di documento redatto dalla persona offesa e
non di un verbale contenente dichiarazioni precedentemente rese dal
testimone

(ex multis,

Sez. 5, n. 51711 del 06/10/2014, Lamelza, Rv.

261735).
Va, inoltre, evidenziato un ulteriore profilo di erroneità della motivazione,
nella parte in cui ha ritenuto non credibile il racconto della parte civile, in
quanto privo di riscontri: a prescindere dal rilievo che i testimoni Cicero e
Giordano hanno riferito, secondo la stessa sentenza impugnata, di avere
prestato soccorso alla Monachino, che si teneva la nuca con le mani sporche
di sangue e riferiva di essere stata aggredita dal Consentino, e che le lesioni
sono state oggetto di un referto mediN, la motivazione prescinde del tutto dal
principio, pacificamente affermato ntlla giurisprudenza di questa Corte,

(t3

di essere stata soccorsa nella sua stanza dall’Assistente Cicero Giuseppe; in

secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si
applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere
legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso
rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone
(Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214, che ha altresì

può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri
elementi).
La sentenza appare dunque viziata, in quanto, da un lato, omette di
motivare sul contenuto delle dichiarazioni della persona offesa che ne
minerebbero la credibilità, e, dall’altro, è avulsa dal restante tessuto
probatorio che, stando al ricorso ed alla sentenza impugnata (unici atti nella
disponibilità cognitiva di questa Corte), era integrato altresì dalle dichiarazioni
di due testimoni, che riferivano, a riscontro del narrato della persona offesa,
delle lesioni lamentate, e dal referto medico.
La motivazione, dunque, è apparente, in quanto svaluta in maniera
assertiva le fonti dichiarative, non indicando neppure il contenuto narrativo
idoneo ad ingenerare il dubbio valutativo, ed è illogica, in quanto la necessità
di una valutazione rigorosa dell’attendibilità della parte civile non implica,
come nella specie, una inattendibilità

in re ipsa

derivante dalla qualità

processuale, bensì la formulazione di un giudizio concreto sui requisiti del
narrato e sulla credibilità soggettiva.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al
Giudice di Pace di Mistretta per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di Pace di Mistretta
per nuovo esame.

Così deciso in Roma il 16/02/2018

precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile,

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