Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21657 del 16/02/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 21657 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
C.F.
M.G.
P.P.
D.V.
L.B.
E.V.
C.C.
M.F.
avverso la sentenza del 21/09/2015 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO
Uditi: il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte dott.ssa M. G.
Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio nei confronti di
Ermocida, nonché per l’inammissibilità degli altri ricorsi e, in via subordinata,
l’annullamento senza rinvio per prescrizione nei confronti di Mondini,
l’annullamento senza rinvio agli effetti penali per prescrizione nei confronti di Del
Vecchio e Chiarion Casoni e il rigetto nel resto, l’annullamento senza rinvio agli
effetti penali per prescrizione limitatamente al capo G) (con eliminazione della
relativa pena) e il rigetto nel resto degli altri ricorsi; l’avv. S. Scuto, per la parte
civile, che ha depositato conclusioni e nota spese; l’avv. Cerichelli (per
Ermocida), che si è riportato ai motivi, concludendo per l’annullamento senza
rinvio per morte dell’imputato; gli avv.ti U. Chialastri (per Massa), G. Colombo
(per Mondini), S. Rubeo (per Del Vecchio), G. Ranieri (per La Rocca), V. Vianello
Accorretti (per P.P.), S. Perugini (per Chiarion Casoni), G. Di Santo (per
Capalbo), che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 16/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 16/03/2010, il Tribunale di Milano, per quanto
è qui di interesse, ha dichiarato Giampaolo Mondini, P.P., Fausto
Capalbo, Valter Del Vecchio, Barbara La Rocca, Vincenzo Ermocida, Giorgio
Gustavo Chiarion Casoni e Francesco Massa responsabili dei reati di seguito
indicati:
A) Mondini, quale membro del c.d.a. dal 30/06/2000 al 06/09/2002, in

relazione a Logika Comp. s.p.a., dichiarata fallita in data 11/03/2004, bancarotta
fraudolenta per dissipazione, avendo effettuato numerosi finanziamenti a due
società riconducibili ad Arduino;
B) Mondini, nella qualità indicata

sub A), in concorso con Arduino: in

relazione a Logika Comp. s.p.a., ricorso abusivo al credito, così riqualificata
l’imputazione di causazione del fallimento con operazioni dolose ricorrendo
abusivamente al credito scontando più volte le stesse fatture e gli stessi crediti
presso diversi istituti di credito;
C)

P.P (quale amministratore di fatto dal settembre 2002 al

fallimento), Capalbo (dal settembre 2002 quale componente e successivamente
presidente del c.d.a. e quindi liquidatore della società fino al fallimento), Del
Vecchio (quale amministratore di fatto dal luglio al novembre 2002 e
limitatamente ai fatti del 06/09/2002), Ermocida (quale membro del collegio
sindacale dal settembre 2002 al gennaio 2003), in concorso con Arduino Enrico e
Zandano Gianni, nei cui confronti si è proceduto separatamente: in relazione a
Logika Comp. s.p.a., concorso nella causazione del fallimento attraverso
operazioni dolose consistite nella presentazione, nel corso di un’assemblea
straordinaria, di due assegni (dell’importo di euro 717.250 e di euro 4.263.245) poi non incassati per mancanza di fondi – da utilizzare per la copertura delle
perdite e per l’aumento di capitale e in operazioni triangolari di accredito e
addebito sui conti correnti della fallita e di società riconducibili a Capalbo o a
P.P., utilizzando le somme transitate per l’acquisto di una società priva di
alcun valore, ma iscritta tra le immobilizzazioni per 5 milioni di euro;
D) P.P., Capalbo, Del Vecchio, nelle qualità sopra indicate, Barbara La
Rocca, quale amministratore di fatto dal luglio al novembre del 2002, Ermocida e
Chiarion Casoni, quali componente e presidente del collegio sindacale dal
14/01/2003 al fallimento, e Massa, quale membro del collegio sindacale dal
06/02/2002 al fallimento: in relazione a Logika Comp. s.p.a., bancarotta
fraudolenta per distrazione di somme di denaro per un ammontare complessivo
superiore a un milione di euro e di tre autovetture, nonché bancarotta
fraudolenta per dissipazione, avendo concesso in comodato gratuito a una

concorso con Arduino Enrico, nei cui confronti si è proceduto separatamente: in

società amministrata da Francesco Capalbo (fratello di Fausto Capalbo)
macchinari per un valore di circa 204 mila euro;
E) Capalbo, P.P.e Del Vecchio: in relazione a Logika Comp. s.p.a.,
bancarotta preferenziale in favore di alcuni fornitori della fallita;
F) Capalbo e P.P. : in relazione a Logika Comp. s.p.a., bancarotta
preferenziale in favore di Tipografica CS s.r.1, facendo figurare che i pagamenti
fossero stati effettuati in favore di terzi (tra i quali Salf s.r.I.);
G) Capalbo, P.P., Del Vecchio, quali amministratori di fatto, e La
Rocca, quale amministratore unico: in relazione a Salf s.r.I., dichiarata fallita il

30/10/2003, bancarotta fraudolenta documentale, avendo occultato o distrutto i
libri e le scritture contabili per nascondere i pagamenti preferenziali effettuati
attraverso la stessa Salf s.r.l. e non consentire la ricostruzione del patrimonio e
del movimento degli affari;
H) P.P. (in concorso con altri): formazione di tre false fideiussioni con
falsa attestazione di autentica di firma.
Gli imputati venivano condannati alle pene di giustizia, nonché: Capalbo,
P.P., Del Vecchio, Ermocida, La Rocca, Chiarion Casoni e Massa al
risarcimento dei danni in favore del Fallimento Logika Comp. s.p.a. in riferimento
ai capi C), D), E), F), G) e H); P.P. , Del Vecchio, La Rocca al
risarcimento dei danni in favore del Fallimento Salf s.r.I.; P.P. al
risarcimento dei danni in favore di Lloyd Adriatico s.p.a.

2. Investita delle impugnazioni degli imputati, la Corte di appello di Milano,
con sentenza deliberata il 21/09/2015, ha dichiarato non doversi procedere per
essere i reati estinti per prescrizione nei confronti di: Mondini per il reato sub B);
Del Vecchio, P.P. e Capalbo per il reato sub E); P.P. e Capalbo per
il reato sub F); P.P.per il reato sub H); ha limitato l’affermazione di
responsabilità penale di Mondini in ordine al capo A) alla somma di circa 105
mila euro; ha escluso la circostanza aggravante del danno di rilevante gravità nei
confronti di Del Vecchio e di Mondini; ha rideterminato in melius la pena nei
confronti degli imputati, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

3. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto
ricorso per cassazione Giampaolo Mondini, attraverso il difensore avv. G.
Colombo, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione. Pur avendo circoscritto
l’affermazione di responsabilità dell’imputato alla dissipazione di somme pari a
105 mila euro, la sentenza impugnata non ha affrontato il tema della genesi dei
finanziamenti contestati come fatti dissipativi, mai deliberati o ratificati dal

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e

consiglio d’amministrazione durante la permanenza in carica dell’imputato, né ha
esaminato la questione della consapevolezza in capo a Mondini dello stato di
decozione della società, travisando le testimonianze di Del Miglio e di
Riccomagno e affermando apoditticamente che il ricorrente non si sarebbe
opposto a detti finanziamenti.
3.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla conferma
del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

P.P. , attraverso il difensore avv. V. Vianello Accorretti, articolando sette
motivi e, con atto depositato il 19/04/2017, articolando sette motivi nuovi, gli
uni e gli altri di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att.
cod. proc. pen.
4.1. Il primo motivo e il primo motivo nuovo denunciano, in relazione
all’imputazione sub C), inosservanza degli artt. 190, 495 e 603, cod. proc. pen.,
omessa assunzione di prove decisive e vizi motivazionali. A fronte del rigetto da
parte del giudice delegato delle istanze del ricorrente di accedere al fascicolo
fallimentare e ottenerne copia, la difesa aveva rivolto la medesima richiesta alla
Corte di appello, che, pur essendosi riservata la decisione, non si è pronunciata
sul punto, così come non si è pronunciata sulla richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale al fine di disporre una perizia sul materiale
contabile (già avanzata in primo grado).
4.2. Il secondo motivo e il secondo motivo nuovo denunciano, in relazione
all’imputazione sub C), inosservanza degli artt. 216 e 223 I. fall., nonché dell’art.
42 cod. pen. e vizi di motivazione. La motivazione della sentenza impugnata è
carente in ordine all’effettiva causazione da parte di P.P. di un aggravio
del dissesto di Logika Comp. (risalente al 31/12/2001, laddove il ruolo di
amministratore di fatto della fallita è attribuito al ricorrente dal luglio del 2002):
la sentenza impugnata si è sottratta all’esatta individuazione contabile di un
aggravio del dissesto come conseguenza delle condotte attribuite a P.P.
(l’operazione di aumento di capitale con due assegni il cui incasso non andò a
buon fine e il transito di 5 milioni di euro su un conto corrente della fallita subito
usciti per l’acquisto di Silwood), mentre le operazioni contestate sono state di
fatto “a costo zero” per la fallita, posto che la loro finalità era coprire
temporaneamente il fallito aumento di capitale a seguito del mancato incasso
degli assegni esteri. Quanto all’assegno scoperto pervenuto da Salf, la sentenza
ha escluso che il ricorrente fosse amministratore di fatto di detta società, sicché
è contraddittorio affermare, da una parte, che P.P.è responsabile del
versamento da Salf a Logika Comp. e, dall’altra, che non ha mai effettivamente
gestito e amministrato la prima. La stessa consulente del PM ha riferito di non

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4. Avverso la medesima sentenza ha proposto ricorso per cassazione Mario

aver potuto esaminare la documentazione anteriore al 2002. Erroneamente la
Corte di appello non ha considerato che la pregressa situazione della società non
era definibile come semplice dissesto, versando in una situazione debitoria
irrecuperabile già nel 2001: le condotte contestate a P.P non hanno
aumentato in alcun modo l’aggravio debitorio, essendo in realtà rivolte
all’accesso al concordato preventivo. Ulteriore carenza motivazionale riguarda
l’individuazione del dolo, in quanto il collegamento tra l’operazione dei due
assegni e P.P è smentito dal fatto che la stessa sentenza impugnata ha

emesso uno dei due assegni, laddove, con riguardo alla seconda operazione,
l’uscita dei 5 milioni di euro era funzionale alla restituzione di un prestito
effettuato a titolo usurario in danno del ricorrente ad opera di Giacomo Torrente
(condannato per tale reato); non vi è stata alcuna distrazione di 5 milioni di
euro, ma la mera restituzione di un prestito di natura usuraria. In ogni caso, la
Corte di appello avrebbe dovuto considerare che l’obiettivo dell’operazione era il
concordato preventivo, ossia il salvataggio della società. La mancata annotazione
nei libri contabili della circostanza che gli assegni esteri erano privi di provvista
costituirebbe semmai un’ipotesi di falsa comunicazione sociale. La sentenza
impugnata è inoltre carente nell’individuazione della natura delle condotte di
bancarotta, essendosi limitata ad un cenno all’ipotesi di cui all’art. 223, secondo
comma, n. 2) I. fall. a fronte di un’imputazione indeterminata in fatto e in diritto,
dovendosi ritenere illegittima la contestazione alternativa.
4.3. Il terzo motivo e il terzo motivo nuovo denunciano, in relazione
all’imputazione sub C), inosservanza degli artt. 217 e 224 I. fall. e vizi di
motivazione, avuto riguardo all’omessa pronuncia sulla richiesta di
riqualificazione del fatto in termini di bancarotta semplice, tanto più che la
motivazione a sostegno dell’elemento psicologico in capo al ricorrente è del tutto
generica, limitandosi all’asserzione circa la consapevolezza dello stato di
decozione della società al momento del suo intervento nel 2002.
4.4. Il quarto motivo e il quarto motivo nuovo denunciano, in relazione
all’imputazione sub D), inosservanza degli artt. 216 e 223 I. fall. e vizi di
motivazione, avuto riguardo all’omesso esame delle deduzioni contenute nell’atto
di appello in ordine al capo D) (assorbito in applicazione della disciplina di cui
all’art. 219, secondo comma, I. fall. ma non escluso), con riferimento alla
ricostruzione del consulente del P.M., incompleta e non effettiva quanto alle
somme realmente uscite dal patrimonio, e alla volontà del ricorrente di ottenere
il concordato preventivo, che è in contraddizione con l’attribuzione di condotte
distrattive.
4.5. Il quinto motivo e il quinto motivo nuovo denunciano, in relazione
all’imputazione sub G), inosservanza degli artt. 216 e 223 I. fall., nonché degli

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escluso il ruolo del ricorrente quale amministratore di fatto di Salf, che aveva

artt. 42 cod. pen. e 521 cod. proc. pen., e vizi di motivazione. La sentenza
impugnata non ha fornito risposta alle questioni poste dall’atto di appello in
ordine alla natura — pre- o postfallimentare – della bancarotta contestata e alle
modalità del concorso ascritto a P.P. La Corte di appello ha escluso il
ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, attribuendogli quello di extraneus,
in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e sulla base del
generico interesse ricavato dai fatti di cui al capo C), tanto più che occultare la
documentazione di Salf non aveva alcun senso nell’ottica dei soggetti coinvolti in

consulente del P.M. e che, nella qualità di extraneus, P.P.  non avrebbe
avuto la disponibilità della documentazione contabile di Salf s.r.l.
4.6. Il sesto motivo e il sesto motivo nuovo denunciano erronea applicazione
dell’art. 219, primo comma, I. fati. e vizi motivazione: erroneamente la sentenza
impugnata ha ritenuto applicabile la norma indicata anche nelle ipotesi di cui
all’art. 223 I. fall. Gli elementi acquisiti attraverso il consulente del P.M. e il
curatore non consentono di indicare la parte di dissesto effettivamente
riconducibile al ricorrente, tanto più che il dissesto risaliva ad epoca anteriore.
Sia per il capo C), che per il capo G) è mancata la certa indicazione dell’effettivo
ammontare del danno. Dall’operazione di cui al capo C) non sono conseguiti
debiti o distrazioni del patrimonio sociale e le distrazioni di cui al capo D) non
appaiono tali da integrare la circostanza aggravante.
4.7. Il settimo motivo e il settimo motivo nuovo denunciano erronea
applicazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e vizi di motivazione in ordine alla
conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
4.8. Osserva conclusivamente l’atto depositato il 19/04/2017, che, qualora
trovasse accoglimento il motivo relativo all’insussistenza della circostanza
aggravante di cui all’art. 223 I. fall, il reato di cui al capo C) sarebbe estinto per
prescrizione.

5. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Milano ha
proposto ricorso per cassazione Fausto Capalbo, attraverso il difensore avv. G. Di
Santo, articolando otto motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
5.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 179, 161 e 162 cod.
proc. pen. e vizi di motivazione, in relazione all’omessa citazione dell’imputato
per il giudizio di appello. Sia con i motivi aggiunti, sia con la memoria depositata
il 13/02/2015, la difesa rappresentava l’omessa citazione di Capaldo per il
giudizio di appello, in quanto la notificazione era stata effettuata presso lo studio
dell’avv. Sara Memola anziché nel domicilio eletto ai sensi dell’art. 161 cod. proc.
pen. in data 20/03/2006.

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Logika Comp., le cui dazioni di denaro erano conosciute dal curatore e dal

5.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza del principio di correlazione
tra accusa e sentenza e violazione degli artt. 597, 603 cod. proc. pen., degli artt.
24 e 111 Cost. e dell’art. 6 Cedu. Il fatto sub G) è stato attribuito a Capalbo dalla
Corte di appello a titolo di semplice extraneus e non quale amministratore di
fatto di Salf.
5.3. Il terzo motivo denuncia mancata assunzione di una prova decisiva,
inosservanza della legge penale e delle norme processuali, nonché vizi di
motivazione. Il teste Gallo – presidente del c.d.a. della fallita nel periodo in cui

l’ammissione era stata poi revocata – in difetto di contraddittorio – perché la
testimonianza era stata considerata sovrabbondante: Gallo avrebbe potuto
confermare circostanze relative all’apertura del conto corrente presso l’IMI San
Paolo di Roma e ai soggetti presenti in banca al momento del versamento
dell’assegno, chiarendone i ruoli. In modo contraddittorio e apparente, la Corte di
appello ha ritenuto non necessaria la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
5.4. Il quarto motivo denuncia, in relazione all’imputazione sub C), vizi di
motivazione e inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40, 41 e 42 cod.
pen., 223, 216, 217 e 224 I. fall. Oltre ad escludere la testimonianza di Gallo, la
Corte di appello ha posto a base della pronuncia le contraddittorie e superficiali
dichiarazioni di Riccomagno, attribuendo erroneamente a Capalbo un
comportamento mai tenuto per la materiale assenza al tempo nelle vicende di
Logika, il cui dissesto si era già ineludibilmente realizzato nel corso della
gestione Arduino: la Corte di appello ha omesso di indicare le condotte che sono
state da sole idonee a determinare la dichiarazione di fallimento e di valutare la
sopravvivenza della società escludendo le operazioni sub C). Gli atti ascritti al
ricorrente sono una mera falsa comunicazione sociale, dovendosi verificare il
superamento delle soglie di punibilità e la sussistenza del nesso di causalità. Alla
data di versamento dei due assegni, il 06/09/2002, Capalbo non rivestiva alcuna
qualifica formale in Logika Comp, né in Dering e Salf, posto che solo un
successivo punto all’ordine del giorno dell’assemblea straordinaria riguardava la
sua nomina come componente del c.d.a., nomina accettata solo nell’ottobre del
2002, sicché l’omissione dei provvedimenti ex art. 2446 cod. civ. non può essere
ascritta al ricorrente. Quanto all’operazione del 04/12/2002, all’epoca Capalbo
era solo membro del c.d.a. di Logika, i cui soci erano due società facenti capo ad
Arduino: l’operazione serviva a contabilizzare la relativa entrata nel bilancio
2002, ma nessun danno poteva portare ai soci di Logika e nessuna distrazione fu
realizzata in relazione ad essa. La Corte di appello non ha motivato in ordine alla
richiesta difensiva di riqualificazione del fatto in termini di bancarotta semplice.
5.5. Il quinto motivo denuncia, in relazione all’imputazione sub D), vizi di
motivazione e inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40, 42, 51 cod.

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erano stati commessi i fatti sub C) – era stato ritualmente ammesso, ma

pen. e 216, 223 I. fall. Quanto alle distrazioni delle somme indicate
nell’imputazione, i giudici di merito erroneamente non hanno tenuto conto dei
pagamenti effettuati a fornitori e dipendenti in contanti, essendo stata interdetta
alla società la possibilità di emettere assegni. Quanto alle autovetture, il
ricorrente le ha poste immediatamente a disposizione della curatela, non
essendo stato in precedenza nelle condizioni di farlo per le ordinanze cautelari
disposte nei suoi confronti. Quanto ai macchinari concessi in comodato, il
contratto era oneroso e vantaggioso per Logika Comp.

motivazione e inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40, 41, 42 cod.
pen., 216, 223, 217, 224 I. fall. La sentenza impugnata non espone il percorso
logico-motivazionale con il quale ha confermato l’affermazione di responsabilità
del ricorrente, pur escludendo che fosse amministratore di fatto di Salf s.r.I.,
omettendo l’esame delle sommarie informazioni di Riccomagno e Del Miglio,
senza dar conto delle modalità del concorso di Capalbo – non essendo sufficiente
un suo generico interesse meramente ricavato dai fatti di cui all’imputazione sub
C) – e del ruolo ricoperto nella vicenda da Arduino.
5.7. Il settimo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 219, primo
comma, I. fall. e vizi motivazione: erroneamente la sentenza impugnata ha
ritenuto applicabile la norma indicata anche nelle ipotesi di cui all’art. 223 I. fall.
Gli elementi acquisiti attraverso il consulente del P.M. e il curatore non
consentono di indicare la parte di dissesto effettivamente riconducibile al
ricorrente. Sia per il capo C), che per il capo G) è mancata la certa indicazione
dell’effettivo ammontare del danno.
5.8. L’ottavo motivo denuncia erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133
cod. pen. e vizi di motivazione in ordine alla conferma del diniego
dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

6. Avverso la medesima sentenza ha proposto ricorso per cassazione Valter
Del Vecchio, attraverso il difensore avv. S. Rubeo, articolando cinque motivi di
seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
6.1. Il primo motivo denuncia mancata assunzione di prove decisive e vizi di
motivazione, anche in riferimento alle impugnate ordinanze in data 11, 16 e
17/02/2010 con le quali è stata revocata l’ammissione dei testi Manlio Gallo,
Giovanni Lombardi Stronati, Maurizio Muratore, Maurizio Celona, Pasquale
Liguori e Giuliana Fulli. Le prove escluse dal Tribunale di Milano con le ordinanze
del febbraio 2010 non erano manifestamente superflue, né irrilevanti, in quanto
la vera ragione della revoca è stato il pericolo dell’imminente trasferimento di
uno dei giudici a latere e i testi a difesa avrebbero potuto chiarire quale fosse
l’effettiva consapevolezza del ricorrente circa le intenzioni di Capalbo e di

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5.6. Il sesto motivo denuncia, in relazione all’imputazione sub G), vizi di

P.P all’epoca dei fatti; i giudici di merito non hanno considerato che Del
Vecchio, in quel momento, non aveva alcun motivo per ritenere che i capitali
promessi dai due coimputati potessero non arrivare. La Corte di appello ha
disatteso la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con una
motivazione erronea e apparente.
6.2. Il secondo motivo denuncia omessa valutazione di prove decisive e vizi
di motivazione, nonché la sussistenza dell’errore di fatto ex art. 47 cod. pen.
ovvero dell’esimente di cui all’art. 48 cod. pen. L’analisi fattuale sulla base degli

Comp, ha sempre operato, come confermato anche dai testi Riccomagno e Del
Miglio, solo su specifiche direttive di Capalbo e di P.P, che soli
conoscevano premesse e conseguenze delle azioni intraprese, di cui era invece
all’oscuro il ricorrente. Manca, dunque, la prova del dolo, ossia che Del Vecchio
fosse a conoscenza della volontà dei due coimputati di non “coprire” gli assegni
esibiti all’assemblea del 06/09/2002, nonché qualsiasi coordinamento temporale
tra la data delle asserite operazioni distrattive e la data di compimento delle
singole condotte contestate e sul fatto che i pagamenti ordinati da Capalbo e da
P.P ed effettuati da Del Vecchio siano stati in favore di soggetti non
abilitati a riceverli. Il fatto che Del Vecchio possa aver accettato il rischio della
mancata copertura dei due assegni non comporta automaticamente che, in quel
momento, avesse la consapevolezza del fatto che i due coimputati non avessero i
fondi promessi, laddove la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla
prova documentale offerta dalla difesa circa il fatto che il ricorrente si sia
immediatamente opposto alla condotta dei coimputati. Ben potrebbe configurarsi
l’errore sul fatto, essendo evidente che Capalbo e P.P abbiano tenuto nei
confronti di Del Vecchio una condotta tesa a celare le loro operazioni, profilo,
questo, non esaminato dalla sentenza impugnata. Può inoltre configurarsi
l’esimente di cui all’art. 48 cod. pen., in quanto probabilmente Del Vecchio è
stato “poco accorto” nel fidarsi dei due coimputati, laddove le dichiarazioni rese
dal teste Casini e la documentazione prodotta dalla difesa dimostrato che il
ricorrente abbia svolto in buona fede il proprio all’interno della fallita.
6.3. Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione alle diverse
imputazioni ascritte al ricorrente.
6.3.1. Con riguardo all’imputazione sub C), Del Vecchio, come conferma la
genesi dei rapporti con i coimputati, svolse per Logika Comp. un ruolo di mero
consulente di Capalbo e di P.P, ai quali espresse una valutazione molto
negativa sulla situazione debitoria della società, rimanendo estraneo a qualsiasi
attività negoziale e al gruppo dei nuovi proprietari e non partecipando
all’assemblea in cui furono esibiti i due assegni. Fino a settembre 2002 Del
Vecchio non aveva avuto alcun inquadramento nella società, né percepito alcun

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atti processuali evidenzia che Del Vecchio, mai amministratore formale di Logika

compenso, ma solo rimborsi spese e fu quindi tranquillizzato da Capalbo nel
senso che, dopo la ricapitalizzazione, sarebbe diventato direttore generale. Solo
a fine ottobre 2002, Del Vecchio casualmente scoprì che gli assegni della
ricapitalizzazione non erano andati a buon fine e allora, con una lettera del
23/10/2002, formalizzò le proprie contestazioni, documento, questo, che
dimostra l’inconsapevolezza del ricorrente sull’operazione finanziaria di Capalbo e
di P.P. Nel breve periodo al quale si riferisce la contestazione – luglio /
novembre 2002 – ha svolto un’attività limitatissima esclusivamente in

considerato rappresentante di Muratori fino a quando – il 06/09/2002 – si ritirò
dall’affare, come lo stesso Muratori avrebbe potuto confermare se l’ammissione
della sua testimonianza non fosse stata revocata. Le sentenze di merito
sostengono che nel luglio del 2002 Dering Sa So Far Fi (una delle società
controllanti di Logika) sarebbe passata sotto il controllo di Del Vecchio,
circostanza, invece, smentita

per tabulas

non avendo mai il ricorrente

partecipato in alcun modo alla gestione o alla proprietà della società, sicché
l’affermazione è frutto di una erronea interpretazione da parte della Corte di
appello della relazione di Puglia Muller: l’operazione riguardante l’intestazione
delle quote di Dering si svolse tra C.P. e Vanna Lazzarini, ma ad
essa fu del tutto estraneo il ricorrente.
6.3.2. Con riguardo all’imputazione sub D) (distrazione della somma di circa
201 mila euro), Del Vecchio non ha percepito neppure i compensi pattuiti per
l’attività svolta, per i quali ha promosso una causa per insinuarsi al passivo. Nella
somma è ricompreso l’assegno di 150 mila euro in favore di New Comp. s.p.a.,
che Del Vecchio si è limitato a consegnare, “vistando” la matrice sul libretto,
laddove l’esame del teste Celona di New Com, la cui ammissione è stata
revocata, avrebbe potuto chiarire la natura di debito societario della rimessa.
Quanto all’autovettura Golf di cui viene contestata all’imputato la distrazione,
essa fu messa dall’imputato a disposizione prima della dirigenza di Logika, poi
della curatela, anche attraverso la specifica indicazione del luogo in cui si
trovava, il che esclude una volontà appropriativa.
6.3.3. Con riguardo all’imputazione

sub

G), Salf s.r.l. era gestita

direttamente da Capalbo mentre La Rocca ne era amministratrice solo formale,
trattandosi di una vera e propria “testa di legno”. Incongruamente vengono
attribuiti a Del Vecchio fatti successivi al periodo in cui è indicato quale
amministratore di fatto di Logika, tanto più che il teste Casini ha confermato
quanto riferito dall’imputato circa la mancata sottoscrizione di un contratto
attributivo della qualifica di direttore generale.
6.3.4. Con riguardo alla qualifica di amministratore di fatto e all’elemento
soggettivo, deve essere valutato quale fu effettivamente l’apporto, nei reati in

lo

esecuzione delle direttive impartitegli dai due coimputati e, inizialmente, fu

questione, del ricorrente nei soli 10 mesi (luglio 2002 – aprile 2003) nei quali
ebbe rapporti con la società, tanto più che la contestazione riguarda solo tre mesi
(luglio — novembre 2002) e, segnatamente, se prima dell’assunzione, nel
gennaio del 2003, della carica di componente del c.d.a., abbia esercitato poteri
tipici dell’amministratore di fatto. Essendo stato provato che solo Capalbo e
P.P conoscevano premesse e conseguenze delle varie condotte, non si
comprende come Del Vecchio abbia potuto concorrere all’occultamento e alla
distruzione dei libri sociali di Salf.

riqualificazione del fatto in termini di bancarotta semplice.
6.5. Il quinto motivo denuncia violazione di legge e omessa valutazione in
ordine alle richieste relative all’applicazione delle circostanze attenuanti
generiche e alla dosimetria della pena.

7. Avverso la medesima sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Barbara La Rocca, attraverso il difensore avv. G. Ranieri, denunciando — nei
termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod.
proc. pen. — inosservanza o erronea applicazione della legge penale sostanziale e
vizi di motivazione.
La sentenza impugnata è priva della compiuta descrizione delle censure
proposte dall’atto di appello e non ha valutato l’ampia documentazione
dimostrativa dell’estraneità della ricorrente a qualsiasi attività decisionale,
omettendo di rispondere ai rilievi difensivi.
Le dichiarazioni dei testi Riccomagno e Del Miglio sono state stravolte e
l’unico dato oggettivo è quello della carica di amministratore unico di Salf s.r.l.
rivestita da La Rocca, che tuttavia si è concretizzato in quello di “testa di legno”
priva del tutto di competenza decisionale e operativa. Mentre Riccomagno e Del
Miglio hanno descritto la ricorrente come assistente di Del Vecchio, che, di fatto,
non mai gestito nulla, i testi Galli e Mariani hanno affermato che ella faceva da
tramite per il nuovo gruppo, considerandola una segretaria, laddove il teste Zago
ha confermato di non conoscerla. Le indicazioni di cui alle testimonianze indicate
e la mancanza di atti riconducibili a un residuale potere operativo impongono di
propendere verso la tesi dell’assoluta inconsapevolezza della ricorrente in ordine
alla gestione delle aziende.
Quanto all’imputazione sub G), le sentenze di merito non hanno rilevato che
la consegna delle scritture contabili è intervenuta, come attestato dal verbale di
ritiro dei documenti del 24/02/2004, laddove le ragioni del ritardo non possono
ascriversi a responsabilità dell’imputata.

11

6.4. Il quarto motivo denuncia omessa motivazione in ordine all’invocata

8. Avverso la medesima sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Vincenzo Ermocida, con due distinti atti a firma dei difensori avv. F. Campagna e
avv. M. Cerichelli, che articolano le censure di seguito enunciate nei limiti di cui
all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
8.1. L’atto di impugnazione a firma dell’avv. F. Compagna articola le
seguenti doglianze. In relazione all’imputazione

sub C), il ricorso denuncia

inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2407 cod. civ., 40 cod. pen., 223
e 216 I. fall., nonché vizi di motivazione. In relazione all’imputazione sub D), il

cod. pen., 223 e 216 I. fall., nonché vizi di motivazione, irrilevanza del
comportamento dell’imputato successivamente alle due operazioni di cui al capo
C), ossia dal 14/01/2003 al fallimento. Denuncia il ricorrente come dalla
ricostruzione delle sentenze di merito risulti che il dissesto della società era già
in atto quando Ermocida accettò la carica di sindaco e che i sindaci non avevano
avuto modo di sospettare nulla di quanto posto in essere dal management,
laddove la Corte di appello ha operato, con riguardo al dolo, un ragionamento
presuntivo, imputando a titolo di dolo eventuale un addebito in realtà colposo,
sicché risulterebbe eventualmente configurabile la fattispecie di cui all’art. 224,
n. 2), I. fall. Denuncia infine il ricorrente violazione dell’art. 62 bis cod. pen. e
difetto di motivazione in ordine alla conferma del diniego dell’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche.
8.2. L’atto di impugnazione a firma dell’avv. M. Cerichelli articola otto
motivi. Il primo motivo denuncia, in relazione all’imputazione

sub

C),

inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2407 cod. civ., 40 cod. pen., 223
e 216 I. fall, nonché vizi di motivazione. Il secondo motivo denuncia
inosservanza o erronea applicazione degli artt. 223 e 216 I. fall., nonché vizi di
motivazione, avendo la Corte di appello ritenuto di poter addebitare al ricorrente
la responsabilità del reati di bancarotta fraudolenta per omesso controllo sulla
regolarità formale e sostanziale dell’operazione di finanziamento comunicata
all’assemblea dei soci il 06/09/2002. Il terzo motivo denuncia inosservanza o
erronea applicazione degli artt. 40, 42, 43 cod. pen., 223, 216 I. fall., nonché vizi
di motivazione, avendo la Corte di appello confermato la responsabilità del
ricorrente per omesso controllo sull’operazione di acquisto delle azioni di Silwood
sulla base del mero accertamento della colpevole inerzia dell’imputato e, quindi,
senza la necessaria prova del dolo, fatto derivare automaticamente
dall’accertamento della colpa. Il quarto, il quinto e il sesto motivo denunciano, in
relazione ai fatti contestati sub D), inosservanza degli artt. 2407 cod. civ., 40
cod. pen., 223 e 216 I. fall., nonché vizi di motivazione. Il settimo motivo
denuncia violazione degli artt. 2407 cod. civ., 223 e 216 I. fall., nonché vizi di
motivazione per avere la Corte di appello sostanzialmente fatto discendere dalla

12

ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2407 cod. civ., 40

sua negligente condotta la responsabilità dell’imputato. L’ottavo motivo denuncia
erronea quantificazione del danno eventualmente causato dalla condotta del
ricorrente e della provvisionale, inosservanza degli artt. 2407 cod. civ., 40 cod.
pen., 223 e 216 I. fall., nonché vizi di motivazione.

9. Avverso la medesima sentenza ha proposto ricorso per cassazione Giorgio
Gustavo Chiarion Casoni, attraverso il difensore avv. S. Perugini, articolando tre
motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod.

9.1. Il primo motivo denuncia violazione delle norme processuali: in
violazione dell’art. 420 ter cod. proc. pen., in sede di prima udienza preliminare
del 12/10/2006 il G.U.P., a fronte dell’assenza del difensore di fiducia aderente
all’astensione dalle udienze, ha omesso di dichiarare la contumacia dell’imputato,
con conseguente omessa citazione dello stesso per la successiva udienza in data
08/11/2006, nella quale veniva dichiarata la contumacia.
9.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla
sussistenza del dolo: la Corte di appello ha omesso di motivare in ordine
all’esistenza di un rapporto tra il ricorrente e gli amministratori della fallita,
elemento essenziale per desumere la sussistenza del dolo, posto che, in assenza
di intento fraudolento, potrebbe ravvisarsi una responsabilità colposa, con
conseguente riqualificazione del fatto in termini di bancarotta semplice.
9.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza dell’art. 62 bis cod. pen. e vizi di
motivazione in ordine alla conferma del diniego dell’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche.
9.4. Con memoria depositata il 31/01/2018, il difensore del ricorrente avv.
S. Perugini segnala che allo stesso non è stata contestata la circostanza
aggravante del danno di rilevante gravità, sicché è maturato il termine di
prescrizione del reato.

10. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Milano ha
proposto ricorso per cassazione Francesco Massa, attraverso i difensori avv. A.
Cassandro e avv. L. Patano, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei
limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
10.1. Il primo motivo denuncia mancanza di motivazione circa la
responsabilità del ricorrente nel periodo 06/12/2002 – 13/01/2003. L’imputato è
stato nominato sindaco supplente dal 06/09/2002 al 13/01/2003 e, dopo la
rinuncia del sindaco Garavaglia del 06/12/2002, nessuna comunicazione formale
fu fatta all’imputato fino al 14/01/2003, sicché solo da quest’ultima data ha
ricoperto la carica di sindaco effettivo. La Corte di appello non ha dato congrua

13

proc. pen.

risposta al motivo di gravame, limitandosi ad affermare la non credibilità della
tesi difensiva.
10.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’art. 40 cod. pen. con
riferimento al rapporto di causalità nel periodo 14/01/2003 – 11/03/2004. Non è
stato effettuato alcun concreto accertamento sulla sussistenza del nesso di
causalità, non essendo sufficiente il riferimento alla posizione ricoperta in seno
alla società. Massa è subentrato nella carica di sindaco effettivo solo dal
14/01/2003 e per il successivo mese di maggio veniva programmata una

poteva effettuarsi alcun controllo contabile e sullo stato economico, in quanto la
documentazione era stata trasferita da Milano alla nuova sede di Roma e, pochi
mesi dopo, Logika Comp., fu dichiarata fallita. Non è stata dimostrata alcuna
relazione causale tra la condotta omissiva e il delitto consumato, tanto è vero
che entrambe le sentenze di merito hanno omesso qualsiasi motivazione sul
punto, laddove fin dal 2001 il dissesto della società era irrecuperabile.
10.3. Il terzo motivo denuncia mancanza di motivazione in relazione al
periodo 14/01/2003 – 11/03/2004. La Corte di appello non spiega quali condotte
abbiano concretamente avuto un apporto causale sulle conseguenze dannose per
la società e quale comportamento diligente avrebbe potuto impedire l’evento,
non potendosi ritenere esaustiva la mera elencazione di un omesso controllo
bancario e sui macchinari della società. Non può essere contestata al ricorrente
una responsabilità penale in ragione della mera posizione di controllo rivestita
nella società, poiché in tal modo verrebbe riconosciuta una responsabilità di
natura oggettiva, laddove la figura di reato in esame è punita esclusivamente a
titolo di dolo.
10.4. Il quarto motivo denuncia inosservanza dell’art. 62 bis cod. pen. e vizi
di motivazione, in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
10.5. Con atto depositato in data 01/02/2018, il difensore del ricorrente avv.
U. Chialastri ha depositato atto con il quale articola due motivi aggiunti.
Il primo motivo aggiunto deduce violazione dell’art. 223 I. fall. e dell’art. 40,
secondo comma, cod. pen.: Massa è diventato amministratore effettivo il
14/01/2003, laddove le sentenze di condanna, quando descrivono i fatti che
hanno condotto al fallimento, fanno riferimento a fatti avvenuti in precedenza o
per i quali avrebbe dovuto essere indicata specificamente la data; l’imputato, che
non poteva visionare i documenti contabili perché non disponibili, non poteva
impedire eventi accaduti prima della sua concreta assunzione della carica,
essendo necessario che il sindaco abbia la concreta possibilità di conoscere gli
atti illeciti ed influire su di essi.
Il secondo motivo denuncia la mancata applicazione dell’indulto di cui alla
legge n. 241 2006.

14

verifica, dopo circa due anni dall’ultima effettuata, ma in tale occasione non

11. In data 19/04/2017, il difensore della parte civile Fallimento Logika
Comp. s.p.a., avv. S. Scuto, ha depositato una memoria con la quale chiede che i
ricorsi siano dichiarati inammissibili o, comunque, rigettati. Con riguardo alle
doglianze relative all’imputazione sub C) dei ricorsi di Capalbo e di P.P,
osserva, tra l’altro, la memoria che le sentenze di merito hanno dato conto del
concreto e globale aggravio del dissesto conseguente alle operazioni di simulata
ricapitalizzazione ascritte agli imputati, a causa delle quali non potevano essere

fallita nei confronti del fisco, dell’INPS e dei dipendenti, e aumentavano le
perdite dell’attività proseguita sull’inveritiero presupposto dell’intervenuta
sanatoria del disavanzo. In ordine all’imputazione sub D), le doglianze articolano
censure in fatto rispetto a quanto riferito dal curatore e dalla consulente, laddove
il riferimento al “beneficio compensativo” previsto da una clausola del contratto
di comodato rappresentava un espediente retorico a fronte del dato economico
reale costituito dalla mancata percezione di qualsiasi corrispettivo da parte della
società per la cessione delle proprie apparecchiature a NET Italia s.r.l. Con
riguardo alle doglianze relative all’imputazione sub C) articolate dal ricorso di Del
Vecchio, osserva la memoria che il ruolo di amministratore di fatto dello stesso è
basato sulle dichiarazioni dei testi Riccompagno e Del Miglio, mentre, in ordine
alla sussistenza dell’elemento soggettivo, Del Vecchio era ben a conoscenza della
gravità difficoltà finanziarie della società; la società Deringa SA, che insieme con
Salf s.r.1., riferibile a P.P, ha partecipato all’operazione di simulata
ricapitalizzazione del 06/09/2002, era passata nel luglio del 2002 sotto il
controllo di Del Vecchio e, a sua volta, controllava 1’85% di Logika Comp.; Del
Vecchio, pur non prendendovi parte, ha accompagnato Capalbo, P.P e gli
altri soci all’assemblea straordinaria del 06/09/2002 nella quale vennero
presentate le distinte di versamento degli assegni risultati poi “scoperti”. Con
riguardo alle doglianze relative all’imputazione sub C) articolate dal ricorso di
Ermocida, i giudici di merito hanno ampiamente indicato gli elementi a sostegno
dell’affermazione di responsabilità, ossia la mancata effettuazione durante
l’intero 2002 di alcuna verifica trimestrale, malgrado le previsioni di legge e la
presenza di tutti i campanelli di allarme, non potendosi sostenere che
l’operazione concretizzatasi nel mero transito di 5 milioni di euro nelle casse di
Logika Comp. e nel correlato acquisto della decotta Silwood Immobiliare
potessero passare inosservati. Con riguardo alle doglianze relative
all’imputazione sub D) articolate dal ricorso di La Rocca, si tratta di censure di
merito a fronte della motivazione dei giudici di merito incentrata sulle
dichiarazioni dei testi Riccomagno e Del Miglio e sulla consulenza tecnica.

15

onorati i debiti erariali, con notevole incremento dell’esposizione debitoria della

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Come da certificazione acquisita dalla Corte, Vincenzo Ermocida risulta
deceduto in data 11/12/2017, sicché, nei suoi confronti, la sentenza impugnata
deve essere annullata senza rinvio in quanto i reati ascrittigli sono estinti per
morte dell’imputato.
Le impugnazioni degli altri ricorrenti sono, nei limiti e nei termini di seguito

2. In premessa, mette conto rilevare che le sentenze di merito hanno
espressamente escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo
comma, I. fall. nei confronti di Giampaolo Mondini e nei confronti di Valter Del
Vecchio; detta circostanza non è stata invece neppure contestata a Giorgio
Gustavo Chiaron Casoni.
Rileva poi la Corte che dal complessivo esame delle sentenze di merito (e, in
particolare, dalla motivazione della sentenza di appello relativa alla posizione
P.P, che, a pag. 57, fa espresso riferimento all’«elevato ammontare del
danno derivato al fallimento dalle condotte di cui ai capi C) e D)»; identico è il
riferimento a pag. 58) risulta che la circostanza aggravante del danno
patrimoniale di rilevante gravità (art. 219, primo comma, I. fall.), pur contestata
nei capi di imputazione con generico riferimento a tutte le imputazioni (compresa
quella sub H) relativa ai reati di cui agli artt. 468, 476 e 482 cod. pen., rispetto
alle quali all’evidenza la circostanza non è configurabile) è stata ritenuta (ovvero,
come si è visto, per taluni imputati esclusa) con esclusivo riguardo ai fatti di
bancarotta fraudolenta patrimoniale relativi a Logika Comp. s.r.I.: pertanto, la
circostanza in esame non risulta applicata con riferimento al reato sub G) relativo
a Sarf s.r.l.
Sempre in limine, rileva la Corte che nei confronti di Barbara La Rocca, la
sentenza di primo grado ha applicato le circostanze attenuanti generiche
«prevalenti sulla aggravante contestata»: il riferimento ad un’unica circostanza
aggravante ritenuta dal Tribunale di Milano, sia pure soccombente nel giudizio di
comparazione con le circostanze attenuanti generiche, non può che riguardare la
circostanza aggravante, pure contestata all’imputata, della pluralità dei fatti di
bancarotta, sicché deve rilevarsi che nei confronti della La Rocca la circostanza
aggravante di cui all’art. 219, primo comma,

I. fall. non risulta applicata.

Conclusione, questa, in linea con le indicazioni dei giudici di merito, nonché con
le valutazioni che hanno condotto ad escludere la circostanza aggravante del
danno di rilevante gravità nei confronti di Del Vecchio, imputato del reato sub D)
per un somma (circa 200 mila euro) di gran lunga maggiore della somma

16

indicati, meritevoli di accoglimento.

contestata alla La Rocca (circa 40 mila euro) e riconosciuto colpevole per una
parte dei fatti sub C), neppure contestati alla La Rocca.
Ciò premesso, in via generale (e salvo riprendere la questione con
riferimento specifico alle singole posizioni), deve rilevarsi che, essendo
intervenuta la sentenza di primo grado il 16/03/2010, applicando, in quanto più
favorevole, la disciplina della prescrizione introdotta dalla legge n. 251 del 2005,
il termine di prescrizione, aumentato per le interruzioni, è pari ad anni 12 e mesi
6 e va individuato per il reato di bancarotta sub A) C) e D), relativo a Logika

relativo a Sarf s.r.l. (dichiarata fallita il 30/10/2003) nel 30/04/2016. A tali date
devono essere aggiunti 439 giorni di sospensione (27 per il rinvio dell’udienza
preliminare per astensione dell’avvocatura dal 12/10/2006 al 08/11/2006; 63 in
primo grado, corrispondenti ai rinvii per astensione dell’avvocatura dall’udienza
del 31/03/2009 all’udienza del 19/05/2009 e all’udienza del 28/01/2010
all’udienza dell’11/02/2011; 61 giorni in appello, per il rinvio per impedimento di
un difensore disposto all’udienza del 13/02/2015; 288 davanti a questa Corte per
il rinvio per astensione dell’avvocatura dall’udienza del 04/05/2017 all’odierna
udienza del 16/02/2018), sicché la fattispecie estintiva risulta perfezionata il
24/11/2017, per i fatti di bancarotta relativi a Logika Com., e il 13/07/2017, per
il fatto di bancarotta relativo a Sarf s.r.l.
Come si vedrà, per alcuni capi all’annullamento senza rinvio agli effetti
penali per l’intervenuta prescrizione del reato deve accompagnarsi il rinvio agli
effetti civili: rinvio, quest’ultimo, che il Collegio ritiene debba essere disposto
unitariamente davanti al giudice penale (e, dunque, ad altra Sezione della Corte
di appello di Milano) in quanto il rinvio al giudice civile, di cui alla seconda parte
dell’art. 622 cod. proc. pen., è limitato alla sola ipotesi di accoglimento del
ricorso della parte civile proposto ai soli effetti civili e di contestuale mancata
presentazione o rigetto di ricorsi rilevanti agli effetti penali (Sez. 5, n. 10097 del
15/01/2015, Cassaniti, Rv. 262633).

3. In ordine alla posizione di Giampaolo Mondini, nei cui confronti è stata
esclusa la circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, non essendo
inammissibile il ricorso, la sentenza impugnata, per le ragioni sopra indicate,
deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
Non emergono, alla luce della sentenza impugnata (e della sentenza di primo
grado), elementi che debbano comportare, ex art. 129, comma 2, cod. proc.
pen., il proscioglimento nel merito degli imputati: al riguardo, occorre osservare
che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una
causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di
assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in

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Com (dichiarata fallita in data 11/03/2004) nel 11/09/2016 e per il reato sub G)

cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del
medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in
modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di
percezione ictu °cui’, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile
con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U., n. 35490
del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Poiché, come segnala la sentenza
impugnata, prima dell’udienza preliminare, l’imputato ha concluso una

la costituzione di parte civile, non vi sono statuizioni civili da esaminare a norma
dell’art. 578 cod. proc. pen. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio nei confronti del ricorrente, perché il reato è estinto per
prescrizione.

4. Per linearità di esposizione, conviene prendere in esame le censure
proposte dai ricorrenti P.P, Capalbo, Del Vecchio e La Rocca in ordine
all’imputazione sub G), ossia alla bancarotta fraudolenta documentale relativa a
Salf s.r.l.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha rilevato – in ciò discostandosi dalle
valutazioni del giudice di primo grado – che a P.P- così come a Capalbo
e al Del Vecchio – non può essere attribuito il ruolo di amministratore di fatto di
tale società, ritenendo, comunque, di confermare il giudizio di responsabilità a
titolo di concorso quale extraneus nei fatti di bancarotta documentale. In tal
senso, la Corte distrettuale ha valorizzato la connessione prospettata tra i fatti di
bancarotta preferenziale posti in essere rispetto ad alcuni creditori di Logika
Comp. e la sottrazione delle scritture contabili di Salf s.r.I.: secondo la sentenza
impugnata, i pagamenti preferenziali ad alcuni dei creditori di Logika Comp.,
infatti, furono, almeno in parte, effettuati non direttamente ad essi, ma a Salf,
che, a sua volta, provvedeva a saldare i creditori; di qui, nel percorso
argomentativo della Corte distrettuale, l’interesse alla sparizione dei documenti
contabili di quest’ultima società, sparizione necessaria ad occultare
efficacemente i pagamenti preferenziali.
Ciò premesso, le doglianze di vari ricorrenti che investono la qualificazione
giuridica del fatto e la violazione del principio di correlazione sono infondate,
posto che, per un verso, il capo G) fa espresso riferimento all’art. 216, primo
comma, n. 2), I. fall. e, per altro verso, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza di questa Corte, non integra la violazione del principio di
correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza la decisione con la
quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di
bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga

18

transazione con il fallimento Logika Comp, a seguito della quale veniva revocata

immutata l’azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014 – dep.
2015, Runca, Rv. 264073; conf. Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003, Leoni, Rv.
224842; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009 – dep. 2010, Prosperi, Rv. 246100):
principio di diritto, questo, senz’altro riferibile anche alla bancarotta fraudolenta
documentale.
Gli ulteriori rilievi articolati dai ricorrenti e, segnatamente, quelli proposti dal
ricorso nell’interesse di Capalbo in ordine alle carenze della motivazione circa gli
elementi di prova a sostegno dell’affermazione di responsabilità (sesto motivo)

tra i fatti di bancarotta preferenziale in favore di alcuni creditori di Logika Comp.
e l’occultamento delle scritture di Salf non rende ragione, in termini di effettività,
degli elementi idonei a dar conto della sussistenza della fattispecie concorsuale:
con riferimento al fatto di bancarotta documentale in esame, la stessa sentenza
impugnata, invero, afferma che «presumibilmente» Capalbo e P.P davano
istruzioni a La Rocca in ordine a quanto doveva fare quale amministratore di Salf
(pag. 73), sicché il carattere solo ipotetico delle direttive impartite dai primi alla
seconda inficia, sul piano logico-argomentativo, la ritenuta connessione tra i fatti
di bancarotta preferenziale di Logika Comp. e quelli di bancarotta documentale
per occultamento di Salf, attribuendo alla motivazione sul punto della sentenza
impugnata carattere sostanzialmente congetturale. L’accoglimento del motivo
giova anche, oltre che a P.P, al coimputato Del Vecchio (la cui posizione,
rispetto all’imputazione in esame, è del tutto analoga a quella di P.P.  e di
Capalbo), nonché a La Rocca: pur rivestendo quest’ultima il ruolo di
amministratore di diritto, la rilevata caduta di conseguenzialità logicoargomentativa nella motivazione della sentenza impugnata circa l’indicata
connessione impinge sull’accertamento, quanto meno, del dolo specifico
necessario per le fattispecie di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e
scritture contabili previste dall’art. 216, primo comma, n. 2, prima parte, I. fall.
(ex plurimis, Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 – dep. 2015, Caprara, Rv.
263242). Pertanto, assorbite le ulteriori censure, la sentenza deve essere
annullata senza rinvio agli effetti penali, per essere il reato estinto per
prescrizione (con conseguente eliminazione della pena irrogata a P.P e a
Capalbo nella misura di mesi 4 di reclusione), e con rinvio agli effetti civili.

5. Il ricorso proposto nell’interesse di P.P, come si è visto,
deve essere accolto limitatamente al capo G) (quinto motivo), con le conseguenti
statuizioni già indicate, mentre deve essere rigettato nel resto.
5.1. Il primo motivo non merita accoglimento. Le censure relative al diniego
che, secondo le deduzioni del ricorrente, sarebbe stato opposto in sede
fallimentare al rilascio di copia dell’intera procedura sono inammissibili in quanto

19

colgono, invece, nel segno. La tesi della Corte distrettuale circa la connessione

non dedotte con l’atto di appello e, comunque, articolate con il ricorso in termini
sostanzialmente esplorativi. Quanto alla rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale al fine di acquisire detta documentazione e di disporre una perizia
contabile, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa
Corte, il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta
di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove
ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto,
evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la

Rv. 259893; conf.: Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 257741):
sussistenza, questa, di cui la Corte distrettuale ha dato conto rimarcando, tra
l’altro, l’analiticità e l’accuratezza degli accertamenti svolti dal consulente del
pubblico ministero.
5.2. Anche il secondo e terzo motivo non meritano accoglimento.
5.2.1. La sentenza di appello e, più diffusamente, quella di primo grado, che
si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del
13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145), hanno compiutamente ricostruito le due
vicende di cui all’imputazione sub C). Tali vicende sono state collocate dai giudici
di merito nel contesto in cui si trovava Logika Comp. s.p.a., un contesto segnato
dalla «tormentata» (così si esprime il Tribunale di Milano) ricerca di fondi per il
necessario aumento di capitale della società, già in stato di dissesto tra il 2000 e
il 2001, e dall’approvazione, nel luglio del 2002, di un progetto di bilancio al
31/12/2001 che riportava una perdita di esercizio di circa 9,5 miliardi di lire.
La prima vicenda riguarda la presentazione all’assemblea del 06/09/2002 di
una distinta di versamento sul conto corrente della società acceso presso la
banca San Paolo di Roma di due assegni dell’importo complessivo pari a circa 5
milioni di euro, assegni tratti da un conto corrente acceso su una banca di Nizza
ed emessi dai soci Derin SA So. Par. FI, società sotto il controllo di Walter Del
Vecchio, e da Salf s.r.I., società acquisita da P.P (che ne deteneva
il 90% del capitale) e di cui era amministratore Barbara La Rocca: vani si
rivelarono i moniti di Giovanna Riccomagno (consulente della società nel periodo
in cui essa faceva capo ad Arduino e nel periodo di “passaggio” tra la precedente
e la nuova gestione) circa l’insufficienza di una distinta di versamento, essendo
necessaria, per avere certezza del buon esito dell’operazione, la contabile
bancaria del versamento. Gli assegni, infatti, non furono mai incassati perché
privi di copertura e ciò spiega i motivi alla base della seconda operazione, tesa,
per riprendere le parole della teste Riccomagno richiamate dalla sentenza di
primo grado, ad “aggiustare” il “buco patrimoniale” derivato dal mancato
incasso.

20

responsabilità del reo (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 – dep. 2014, Coppola,

Queste, in estrema sintesi, le scansioni della seconda vicenda: Capalbo
presenta a 158 s.p.a. di Giacomo Torrente una richiesta di finanziamento per 5
milioni di euro; il finanziamento viene concesso per un periodo massimo di due
giorni, previa prestazione da parte di Finlogika Ltd. di una garanzia della società
MEP per un importo di 5.350.000 di euro: la prestazione della garanzia era stata
sottoscritta da Mario P.P; Capalbo aveva acceso presso la filiale di Roma
del San Paolo due conti correnti, il n. 9297919, intestato a Finlogika Ltd., e il n.
1000/4099 intestato a Logika Com.; quindi, 158 s.p.a. versa la somma di 5

Logika Com. sul conto n. 1000/4099, accredito, quest’ultimo, disposto per conto
di Salf e di Dering SA (che avevano versato i due assegni rimasti insoluti);
Logika Comp. versa poi immediatamente i 5 milioni di euro per l’acquisto di
Silwood Inc. a MEP International Plc, di cui direttore generale era Capalbo e
amministratore P.P.; MEP, infine, trasferisce 5 milioni di euro a 158 s.p.a.
con la causale “pagamento: escussione fideiussione”. Osserva al riguardo la
Corte distrettuale che, con l’eccezione di 158 s.p.a., tutte le società interessate
all’operazione sono riconducibili a Capalbo e a P.P.e che «in sostanza il
buco patrimoniale cagionato dal mancato incasso degli assegni veniva coperto
con una somma derivante da finanziamento che subito usciva da Logika Comp.
infruttuosamente», essendo «Silwood Immobiliare priva di valore», avendo un
patrimonio che, come chiarito dalla sentenza di primo grado, è stato realizzato
per l’importo di 740 mila euro, ma era gravata da debiti societari per 910 mila
euro; inoltre, come chiarito dal consulente del pubblico ministero Puglia Muller,
la seconda operazione non trova alcun riscontro nella contabilità della fallita,
sicché, in pratica, venne mantenuta la scrittura relativa all’accredito bancario dei
due assegni nonostante gli stessi, come si è visto, non fossero stati mai
incassati.
Valutate complessivamente nel loro evidente intreccio, le due vicende
assumono un ruolo che la sentenza impugnata definisce in termini di «operazioni
apparentemente dirette a ricapitalizzare la società ma in realtà finalizzate a
mantenere artificiosamente in vita una società già in dissesto con conseguente
aggravamento della posizione debitoria della società ad esempio nei confronti del
fisco, dell’INPS e del dipendenti».
5.2.2. La motivazione della sentenza impugnata è esente dai vizi denunciati.
Infondate sono le doglianze relative all’individuazione del fatto-reato e alla
determinatezza dell’imputazione, posto che le conformi sentenze di merito hanno
fatto riferimento alla fattispecie di operazione dolose

ex art. 223, secondo

comma, n. 2), I. fall., sicché il richiamo, contenuto nel capo di imputazione con
riguardo alla seconda operazione, alla “distrazione” della somma di 5 milioni di
euro (richiamo che la stessa imputazione colloca nel quadro delle «operazioni

21

milioni sul conto indicato di Finlogika Ltd., che, a sua volta, accredita la somma a

triangolari di accredito e addebito» avvenute sui conti correnti della fallita e della
altre società indicate) indica l’«uscita», per riprendere l’espressione della Corte
distrettuale, della somma dal conto della fallita nel quadro della complessiva
operazione dolosa volta all’apparente ricapitalizzazione (essendo irrilevante la
natura dell’operazione di finanziamento grazie alla quale fu – provvisoriamente reperita la provvista): a questo proposito, invero, giova ricordare che la
fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle
ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato

quanto la nozione di “operazione” postula una modalità di pregiudizio
patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto
attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di
maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria
implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito
divisato (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a.,
Rv. 247314), pluralità di atti di cui le sentenza di merito hanno dato atto
attraverso la ricostruzione della vicenda nei termini sopra indicati. Del resto,
pronunciandosi sul ricorso di un coimputato giudicato separatamente, questa
Corte ha espressamente qualificato i fatti facendo riferimento alle due operazioni
dolose in questione (Sez. 5, n. 26399 del 05/03/2014, Zandano, Rv. 260215).
Non è fondata la doglianza circa il pregresso stato di dissesto di Logika
Comp. e l’idoneità dei fatti ascritti ad integrare la fattispecie incriminatrice: le
concordi sentenze di merito hanno motivato, in termini immuni da vizi logici, in
ordine alla sussistenza del fatto contestato, che ha determinato – non già
l’insorgenza, risalente alla gestione precedente, ma – l’aggravamento dello stato
di dissesto della società, aggravamento individuato, come si è visto,
nell’artificioso” mantenimento in vita della società e nell’appesantimento della
sua posizione debitoria, ad esempio, nei confronti del fisco, dell’INPS e dei
dipendenti. Né ha pregio il rilievo del ricorrente secondo cui le operazioni
sarebbero state “a costo zero” per la società: per un verso, infatti, dette
operazioni sono state la conditio sine qua non della prosecuzione dell’attività
imprenditoriale, cagionando l’aggravamento del dissesto delineato dai giudici di
merito; per altro verso, se, nel quadro dell’illecita operazione complessiva,
l’«uscita» dei 5 milioni di euro rappresentava la restituzione del credito prestato
da 158 s.p.a., ciò non esclude che la somma entrata nel patrimonio della fallita
per dare esecuzione alla ricapitalizzazione deliberata (e non attuata con i due
assegni insoluti), ne sia da esso fuoriuscita per l’acquisto di una società
(Silwood) posseduta da altra società (MEP International) amministrata dal
ricorrente e della quale era direttore generale il coimputato Capalbo. Prive di
consistenza sono poi le censure che fanno leva sul dedotto carattere di

22

disposto degli artt. 223, comma primo, e 216, comma primo, n. 1), I. fall., in

irreversibilità del dissesto prima dell’intervento di P.P. e degli altri
coimputati: proprio la gravità del dissesto in cui versava Logika Com. è alla base
dell’ingente (ma fittizia) ricapitalizzazione operata attraverso le operazioni di cui
al capo C).
Non meritano accoglimento neppure le censure, relative all’elemento
psicologico, incentrate sull’esclusione, ad opera del giudice di appello, del ruolo
di P.P. quale amministratore di fatto di Salf s.r.l. e sul collegamento tra le
due operazioni: esse trascurano di considerare, per un verso, il dato rimarcato

divenuto titolare del 90% del capitale, e, per altro verso, l’inscindibile legame tra
le due operazioni indicate nell’imputazione sub C) dimostrato dall’intreccio dei
vari protagonisti, che, come rilevato dalla Corte distrettuale, con l’eccezione di
158 s.p.a., sono tutte società riconducibili a Capalbo e a P.P. D’altra
parte, la Corte distrettuale ha evidenziato il dato che colloca l’intervento, quali
finanziatori, di Capalbo e di P.P nel giugno del 2002, dato, questo, che
rende ragione di una partecipazione alle vicende societarie dei due imputati (e
anche alla realizzazione della prima operazione) svincolata dall’assunzione delle
varie cariche.
Priva di consistenza è la doglianza concernente la dedotta finalizzazione
delle operazioni al concordato preventivo (che certo non esclude né l’illiceità dei
fatti, né il carattere doloso degli stessi), così come quella relativa alla
riconducibilità del fatto ad un’ipotesi di falsa comunicazione sociale: premesso
che tale deduzione non può che essere riferita alla prima delle due operazioni in
esame, detta operazione non si è tradotta in alcuna esposizione di fatti non
corrispondenti al vero, in quanto l’assemblea di Logika Comp. fu portata a
conoscenza dei due assegni e della relativa distinta di versamento; il fatto che
tali documenti, così come segnalato da Giovanna Riccomagno, non offrissero
sufficienti garanzie in ordine al buon esito dell’operazione e che gli stessi non
furono successivamente incassati non integra

un’immutatio veri,

ma

rappresentano, appunto, lo svolgimento della vicenda, non suscettibile di
rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 2621 cod. civ.
La conferma, da parte del giudice di appello, della decisione di primo grado
in ordine alla sussistenza del fatto e alla sua qualificazione rende ragione,
all’evidenza, del mancato accoglimento della deduzione difensiva tesa alla
riqualificazione del medesimo fatto in termini di bancarotta semplice.
5.3. Il quarto motivo non è fondato. Le concordi sentenze di merito hanno
ricostruito gli elementi dimostrativi della sussistenza dei fatti distrattivi e
dissipativi sub D), muovendo dalle contestate distrazioni di somme di denaro, in
ordine alle quali il compendio probatorio è incentrato sugli accertamenti svolti dal
consulente tecnico del pubblico ministero, accertamenti che hanno investito i

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dalla Corte distrettuale, ossia che Salf era stata acquisita da P.P,

prelievi effettuati per il tramite di assegni e in contanti: sono state oggetto di
verifica solo le uscite per cifre maggiori di 5 mila euro e, tra queste, solo quelle
prive di corretta contabilizzazione (in quanto riferibile a pagamenti di fornitori, a
riduzioni di debiti, etc.); per le voci così individuate, il consulente ha chiesto alla
banca il dettaglio dell’uscita e, alla luce di tali dati, sono state ulteriormente
distinte le uscite che avevano trovato una spiegazione da quelle prive di
giustificazione; sono stati inoltre analizzati gli assegni forniti in copia dalle
banche identificando i beneficiari degli stessi, anche come giratari.

successivi ai protesti, la Corte distrettuale ha rilevato che non vi è prova certa
dell’epoca dei protesti e – profilo decisivo nel percorso argomentativo della
sentenza in esame – ha rimarcato come dei prelievi in questione non fosse stata
data alcuna specifica giustificazione contabile, laddove, qualora i prelievi in
contanti fossero stati fatti per effettuare pagamenti, ad esempio, a dipendenti o
a fornitori, la contabilità ne avrebbe registrato la causale: argomento, questo,
non oggetto di specifica disamina critica da parte del ricorrente. Privo di
consistenza è il riferimento al dedotto intento di conseguire il concordato
preventivo, che all’evidenza – e al di là di qualsiasi considerazione sulla sua
pertinenza rispetto ai fatti distrattivi in esame – non esclude il dolo delle condotte
distrattive.
5.4. Il sesto motivo non merita accoglimento.
5.4.1 La censura che contesta l’applicabilità della circostanza aggravante di
cui all’art. 219, primo comma, I. fall. alla bancarotta impropria, è
manifestamente infondata. Del tutto consolidato è, nella giurisprudenza di
questa Corte il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati fallimentari,
la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui
all’art. 219, comma primo, I. fall., è applicabile all’ipotesi di bancarotta
impropria, considerato che l’art. 223, comma primo, I. fall., – prevedendo che
agli amministratori di società dichiarate fallite, i quali abbiano commesso alcuno
dei fatti previsti dall’art. 216 I. fall., si applicano le pene ivi stabilite – rinvia in
ordine alla determinazione della pena per i reati commessi ai sensi dell’art. 223,
comma primo, I. fall. alle pene previste dall’art. 216 I. fall. per la bancarotta
propria, pene che si determinano tenendo conto non solo dei minimi e dei
massimi edittali contemplati dall’art. 216 I. fall., ma anche delle attenuanti e
aggravanti speciali previste per tali reati, con la conseguenza che il rinvio in
ordine alla determinazione della pena deve ritenersi integrale e basato sul
presupposto della identità oggettiva delle condotte (Sez. 5, n. 127 del
08/11/2011 – dep. 2012, Pennino, Rv. 252664). L’indirizzo espresso da un’isolata
pronuncia di segno contrario (Sez. 5, n. 8829 del 18/12/2009 – dep. 2010,
Truzzi, Rv. 246154) è stato superato dalla successiva giurisprudenza, che ha

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La decisione impugnata è esente dai vizi denunciati. Quanto ai movimenti

ribadito come la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante
gravità di cui all’art. 219, comma primo, I. fall., sia applicabile alle ipotesi di
bancarotta impropria (Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012, Bononno, Rv. 252009;
conf. Sez. 5, n. 18695 del 21/01/2013, Liori, Rv. 255839; Sez. 5, n. 38978 del
16/07/2013, Fregnan, Rv. 257762; Sez. 5, n. 2903 del 22/03/2013 – dep. 2014,
Venturato, Rv. 258446; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di
Rieti, Rv. 247320).
5.4.2. Mentre con riferimento all’imputazione sub G), come si è visto, la

censure relative all’applicazione della circostanza aggravante ai fatti di
bancarotta patrimoniale relativi al fallimento Logika Comp. non meritano
accoglimento. Le doglianze non sono compiutamente correlate all’entità dei fatti
accertati: i fatti di bancarotta per distrazione sub D) sono ascritti al ricorrente
per un importo superiore ai 183 mila euro, e, comunque, le operazioni dolose
sub C) hanno comportato, nei termini sopra descritti, la fuoriuscita, dalla
disponibilità della fallita, della somma di 5 milioni di euro, corrispondente
all’accredito operato sul conto corrente della fallita da Finlogika Ltd., il che rende
ragione dell’entità del valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale e del
conseguente danno patrimoniale per i creditori (Sez. 5, n. 48203 del
10/07/2017, Meluzio, Rv. 271274).
5.5. Il settimo motivo non è fondato. La conferma del diniego
dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è stata congruamente
motivata – in termini rispetto ai quali priva di incidenza è la declaratoria di
estinzione del reato sub G) – dal giudice di appello richiamando plurimi elementi,
quali la gravità dei fatti e il comportamento successivo, caratterizzato dalla
mancanza di qualsiasi iniziativa anche parzialmente risarcitoria. Le censure del
ricorrente non inficiano le valutazioni del giudice di appello, tanto più che nel
motivare il diniego dell’applicazione delle attenuanti generiche non è necessario
che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri
disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule,
Rv. 259899).

6. Limitatamente al capo G) (oggetto del secondo e sesto motivo), il ricorso
proposto nell’interesse di Fausto Capalbo deve essere accolto nei termini sopra
indicati (e con le conseguenti statuizioni pure già indicate), mentre, nel resto,
deve essere rigettato.
6.1. Il primo motivo non merita accoglimento, per plurime, convergenti
ragioni.

25

circostanza aggravante in esame non è stata ritenuta dai giudici di merito, le

Sotto un primo profilo, rileva la Corte che le notifiche effettuate ad un
domicilio diverso da quello indicato nel verbale del 20/03/2006 non hanno
precluso all’imputato la partecipazione all’udienza preliminare del 21/02/2007, in
cui fu disposto il rinvio a giudizio, e al giudizio di primo grado, in cui risultava
presente (come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Milano, nonché dai
verbali del 23/05/2007 e del 16/03/2010). Deve escludersi, pertanto, che si versi
in ipotesi di nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen.,
che, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite Palumbo, ricorre soltanto nel

stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a
determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato (Sez. U, n.
119 del 27/10/2004 – dep. 2005, Palumbo, Rv. 229541): conoscenza, invece,
che risulta per tabulas dai dati richiamati. Pertanto, non venendo in rilievo
un’ipotesi di nullità assoluta e insanabile, deve rilevarsi che, con riferimento
all’udienza preliminare e al giudizio di primo grado, la dedotta nullità risulta
comunque sanata dalla partecipazione dell’imputato e, peraltro, eccepita
tardivamente con i motivi di appello aggiunti del 14/11/2014. Con riguardo al
giudizio di appello, inoltre, come osservato dal P.G. presso questa Corte nel corso
dell’odierna udienza e come risulta dall’esplicita indicazione contenuta nella
sentenza impugnata, l’eccezione per tale giudizio è stata tardivamente proposta
solo con la memoria per l’udienza del 13/02/2015.
D’altra parte, va rilevata, in radice, l’inidoneità dell’elezione di domicilio di
cui al verbale del 20/03/2006, nei termini in cui lo stesso è stato allegato dal
ricorrente. Da tale allegazione, risulta che l’atto veniva indicato dalla polizia
giudiziaria come «verbale di elezione di domicilio, ai sensi dell’art. 161 c.p.p.» e
che conteneva appunto l’invito, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. proc. pen., a
dichiarare uno dei luoghi indicati dall’art. 157, comma 1, cod. proc. proc. pen.
ovvero ad eleggere domicilio, invito al quale Capalbo rispondeva eleggendo
domicilio presso la propria dimora. Nessuna univoca indicazione, tuttavia, si
rinviene nel medesimo atto circa la riferibilità della dichiarazione di domicilio al
presente procedimento. Pertanto, poiché, come questa Corte ha già affermato,
l’atto di nomina del difensore e la eventuale elezione di domicilio devono riferirsi
ad un procedimento specifico ai fini degli artt. 96 e 161, risultando altrimenti
inefficaci in quanto prive di oggetto e di causa (Sez. 6, n. 34671 del 23/04/2007,
Padovani, Rv. 237426), la mancata certa riferibilità del verbale del 20/03/2006
al presente procedimento (tale non potendosi considerare il generico riferimento
al “procedimento pendente presso il Tribunale di Milano”) impone di ritenere lo
stesso inefficace.
6.2. Il terzo motivo è inammissibile. La Corte distrettuale ha dato conto della
legittimità della revoca dell’ammissione del teste Manlio Gallo da parte del

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caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo

giudice di primo grado, osservando che, alla luce del compendio probatorio già
acquisito, i fatti di cui all’imputazione sub C) risultavano già accertati: in tal
senso, la sentenza impugnata richiama le dichiarazioni della teste Riccomagno,
del curatore Franzi e della consulente del pubblico ministero Puglia Muller, dalle
quali emergeva la presentazione, in sede di assemblea straordinaria di Logika
Comp. del 06/09/2002, di una distinta di versamento sul conto corrente della
società acceso presso la banca San Paolo di Roma di due assegni (dell’importo di
euro 717.250 e 4.263.245) per la copertura delle perdite e la ricapitalizzazione,

richiamato, sulla scorta degli indicati dati probatori, il successivo episodio che
vide, in un primo momento, l’accredito, in data 04/12/2002 su un conto corrente
della fallita, dell’importo di 5 milioni di euro, importo poi subito dopo uscito per
l’acquisto di una società di diritto U.S.A., la Silwood. Nei termini indicati, i giudici
di merito hanno congruamente motivato il giudizio di superfluità della prova,
tanto più che il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già
ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio
del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le
prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti (Sez. 2,
n. 9056 del 21/01/2009, Zerabib, Rv. 243306), laddove i rilievi del ricorrente
circa la perdurante rilevanza della prova non risultano compiutamente correlati
alla disamina del compendio probatorio già acquisito, in base al quale è stato
formulato il giudizio di superfluità. Del tutto aspecifica è la censura relativa alla
mancanza di contraddittorio, posto che la revoca – come evidenziato dal motivo
di appello (che nessun rilievo articolava in ordine, appunto, al difetto di
contraddittorio) – fu disposta all’udienza del 11/02/2010, nel contraddittorio
delle parti.
6.3. Il quarto motivo non merita accoglimento.
6.3.1. E’ già stata richiamata la ricostruzione delle due vicende di cui
all’imputazione sub C) operata dalla sentenza di appello e, più diffusamente,
dalla sentenza di primo grado, che si integra con quella conforme di secondo
grado (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Sul punto,
può rinviarsi alla sintesi di tale ricostruzione svolta supra al par. 5.2.1. in sede di
esame del secondo motivo del ricorso P.P.
6.3.2. La motivazione della sentenza impugnata è esente dai vizi denunciati.
Le doglianze circa la contraddittorietà e la superficialità delle dichiarazioni della
teste Riccomagno sono del tutto generiche, tanto più alla luce del ruolo – messo
in luce dai giudici di merito – rivestito nella vicenda dalla stessa teste, che, prima
di allontanarsi dalla società, segnalò l’insufficienza della documentazione esibita
dal nuovo gruppo entrato nella gestione di Logika Comp. a dar conto
dell’effettivo versamento della somma di cui ai due assegni che dovevano

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assegni poi non incassati per mancanza di fondi; la sentenza impugnata ha poi

ricapitalizzare la società. Non merita accoglimento neppure la censura incentrata
sulla tempistica della partecipazione di Capalbo alle vicende societarie: come si è
già osservato a proposito dell’analoga censura proposto dal ricorso P.P,
essa trascura di considerare l’inscindibile legame tra le due operazioni indicate
nell’imputazione sub C) e la collocazione temporale, evidenziata dalla sentenza
impugnata, dell’intervento, quali finanziatori, di Capalbo e di P.P nel
giugno del 2002. Non è fondata neppure la doglianza circa il pregresso stato di
dissesto di Logika Comp. e l’idoneità dei fatti ascritti ad integrare la fattispecie

motivato, in termini immuni da cadute di conseguenzialità logico-argomentativa,
in ordine alla sussistenza del fatto contestato, che ha determinato – non già
l’insorgenza, risalente alla gestione precedente, ma – l’aggravamento dello stato
di dissesto della società, aggravamento individuato, come si è visto,
nell’artificioso” mantenimento in vita della società e nell’appesantimento della
sua posizione debitoria, ad esempio, nei confronti del fisco, dell’INPS e dei
dipendenti.
Quanto alla doglianza relativa alla riconducibilità del fatto ad un’ipotesi di
falsa comunicazione sociale può rinviarsi ai rilievi formulati a proposito
dell’analoga censura proposta dal ricorso nell’interesse di P.P.
Neppure può essere accolta la censura relativa alla seconda operazione:
quanto al ruolo svolto, in relazione ad essa, dal ricorrente, la doglianza è carente
della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione
impugnata – che, come si è visto, ha ricostruito puntualmente i vari, decisivi,
passaggi specificamente riconducibili a Capalbo – e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849),
mentre il contributo portato dalla stessa – in uno con la prima operazione all’aggravamento del dissesto è stato compiutamente delineato dalle conformi
sentenze di merito. La conferma, da parte del giudice di appello, della decisione
di primo grado in ordine alla sussistenza del fatto e alla sua qualificazione rende
ragione, all’evidenza, del mancato accoglimento della deduzione difensiva tesa
alla riqualificazione del medesimo fatto in termini di bancarotta semplice.
6.4. Anche il quinto motivo non merita accoglimento.
6.4.1. A fronte della diffusa e puntuale ricostruzione degli accertamenti e del
metodo che li ha ispirati operata dalle concordi sentenze di merito e in sintesi
richiamati supra a proposito del ricorso nell’interesse di P.P, le censure
del ricorrente si concentrano sui prelievi in contanti, che sarebbero dipesi
dall’inibizione ad emettere assegni rivolta alla società a causa del protesto di
assegni in precedenza emessi da Arduino. Al riguardo, la sentenza impugnata ha
argomentato sulla base di un duplice rilievo. In primo luogo, ha rilevato che non
vi è prova certa dell’epoca dei protesti, affermazione, questa, contestata dal

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incriminatrice: come pure si è già rilevato, le concordi sentenze di merito hanno

ricorso sulla base dell’esame dibattimentale di Arduino: dai brani del verbale
allegato dal ricorrente, tuttavia, emerge che Arduino ha fatto riferimento,
rispondendo ad una specifica domanda del difensore dell’imputato, ad assegni
protestati emessi nell’arco di tempo settembre/dicembre (del 2002, secondo
quanto è dato comprendere), ossia in un periodo in cui era di fatto già
subentrata la nuova gestione: il che non offre alcun riscontro alla tesi difensiva.
Decisivo, peraltro, è il secondo rilievo della Corte di appello, che ha rimarcato
come dei prelievi in questione non fosse stata data alcuna specifica

per effettuare pagamenti, ad esempio, a dipendenti o a fornitori, la contabilità ne
avrebbe registrato la causale: argomento, questo, non oggetto di specifica
disamina critica da parte del ricorrente, tale non potendosi considerare le
generiche attribuzioni di valenza congetturale indirizzate agli accertamenti del
consulente del pubblico ministero.
6.4.2. Quanto alla distrazione delle autovetture, il ricorrente reitera quanto
dedotto con il gravame in ordine ai vari ostacoli, di natura giudiziaria, che si
erano frapposti alla tempestiva consegna delle stesse alla curatela: sul punto,
tuttavia, la Corte di appello ha rilevato che Capalbo non ebbe mai ad indicare I
luogo esatto in cui si trovavano le autovetture, adottando una «tattica dilatoria»
che condusse alla consegna delle auto – in condizioni peraltro tali da dover
essere vendute come rottame – oltre due anni e mezzo dopo la sentenza
dichiarativa di fallimento.
6.4.3. Quanto alla distrazione dei macchinari, la Corte distrettuale ha
rimarcato, ai fini di confermare la qualificazione del fatto in termini di bancarotta
per dissipazione, la mancata percezione di un corrispettivo: rilievo, questo, non
inficiato dalla deduzione del ricorrente, che, attraverso la previsione contrattuale
di un “beneficio compensativo” commisurato al 12% del fatturato che sarebbe
stato realizzato utilizzando i macchinari, fa leva, sostanzialmente, su un’entrata
futura e incerta (nel

quantum

ed anche nell’an), che, all’evidenza, non

contraddice l’affermazione della Corte distrettuale fondata, come sottolinea nella
sua memoria la difesa della parte civile, sul «dato economico reale», ossia,
appunto, la mancata percezione di un corrispettivo.
6.5. Il settimo motivo non merita accoglimento.
6.5.1. La censura che contesta l’applicabilità della circostanza aggravante di
cui all’art. 219, primo comma, I. fall. alla bancarotta impropria, è
manifestamente infondata alla luce di quanto rilevato a proposito dell’analoga
doglianza proposta dal ricorso P.P.
6.5.2 Mentre con riferimento all’imputazione sub G), come si è visto, la
circostanza aggravante in esame non è stata ritenuta dai giudici di merito, le
ulteriori censure circa la configurabilità, nel caso di specie, dell’aggravante in

29

giustificazione contabile, laddove, qualora i prelievi in contanti fossero stati fatti

questione sono manifestamente infondate in relazione alle imputazioni relative al
fallimento Logika Comp., poiché il ricorrente articola la censura con riferimento
all’imputazione sub C), ma, oltre ad obliterare i fatti di bancarotta per distrazione
sub D), attribuitigli per un importo superiore ai 600 mila euro, trascura di
considerare che le operazioni dolose sub C) hanno comunque comportato, nei
termini sopra descritti, la fuoriuscita, dalla disponibilità della fallita, della somma
di 5 milioni di euro.
6.6. L’ottavo motivo è manifestamente infondato. La Corte distrettuale ha

incidenza è la declaratoria di estinzione del reato sub G) – con riferimento ai
precedenti penali, sia pure per fatti non gravi, dell’imputato e al comportamento
post factum caratterizzato dall’assenza di qualsiasi forma di – anche parziale risarcimento dei danni. Le censure del ricorrente non inficiano la sentenza
impugnata, tanto più che, come si è detto, nel motivare il diniego
dell’applicazione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice
prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati
da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

7. Il ricorso proposto nell’interesse di Valter Del Vecchio deve essere
esaminato solo agli effetti civili – essendosi perfezionata nei suoi confronti la
fattispecie estintiva del reato per prescrizione – e limitatamente alle imputazioni
diverse da quelle relative al capo G) (per il quale, come si è visto, il ricorso deve
essere accolto): imputazioni, quelle relative al fallimento Logika Comp., in
relazione alle quali il ricorso non è fondato.
7.1. Il primo motivo è infondato. La Corte distrettuale ha congruamente
motivato la legittimità della revoca dell’ammissione di alcuni testi statuita dal
giudice di primo grado, rimarcando il carattere esaustivo del compendio
probatorio in ordine ai fatti oggetto di imputazione e al ruolo di amministratore
di fatto riconosciuto al ricorrente. Le ulteriori deduzioni del ricorrente attengono
alla motivazione e alle valutazioni concernenti le singole imputazioni.
7.2. Anche le censure relative al ruolo di amministratore di fatto (parte del
secondo motivo) non meritano accoglimento. La Corte di appello ha motivato sul
punto in termini esenti da vizi logici, richiamando le convergenti dichiarazioni dei
testi Riccomagno e Del Miglio, che, in estrema sintesi, hanno evidenziato come,
nel periodo in questione, Del Vecchio svolgesse di fatto un ruolo corrispondente a
quello di direttore generale, descrivendo, specificamente, le concrete attività cui
era preposto, attività che spaziavano dai rapporti con i fornitori, alle istruzioni ai
dipendenti e ai contatti con le banche. A fronte della motivazione in sintesi

30

congruamente motivato la statuizione – in termini rispetto ai quali priva di

richiamata, che rende ragione – non già di un ruolo di mero esecutore, bensì dell’esercizio in modo continuativo e significativo di un’apprezzabile attività
gestoria svolta in modo non episodico o occasionale (ex plurimis, Sez. 5, n.
35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534), il ricorrente propone censure di
merito, volte a sollecitare una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di
legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha
operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati
ed immune da vizi logici.

terzo motivo in relazione al capo C). La Corte distrettuale ha confermato il
giudizio di colpevolezza del ricorrente in ordine al primo dei due episodi sub C)
(essendo risultato coinvolto nella gestione della società fino al novembre del
2002), argomentando il concorso con gli altri coimputati sulla base, in primo
luogo, del ruolo di amministratore di fatto rivestito in seno a Logika Comp; ha
osservato ancora la Corte distrettuale, che Dering s.p.a. (detentrice del
pacchetto di maggioranza di Logika Comp), che aveva emesso uno dei due
assegni rivelatisi poi scoperti, era passata sotto il controllo di Del Vecchio, come
dimostrato dalla relazione del consulente del P.M. (pag. 16 e allegato 3). Rilievo,
quest’ultimo, rimarcato anche dalla sentenza di primo grado, che, inoltre, ha
sottolineato come Riccomagno avesse espresso proprio a Del Vecchio (oltre che
alla La Rocca) le proprie riserve sulla inadeguatezza della documentazione esibita
al notaio.
Le doglianze del ricorrente incentrate, in sintesi, sulla mancata prova del
dolo (secondo motivo) omettono il confronto critico con i puntuali dati richiamati
dalle concordi pronunce di merito, che rendono ragione del concorso
dell’imputato (sorretto dal relativo elemento psicologico) sulla base non solo del
ruolo in generale svolto in seno alla fallita, ma anche, per un verso, della,
specifica riconduzione di una delle società che emisero gli assegni non coperti al
controllo dello stesso Del Vecchio e, per altro verso, della sicura conoscenza
dell’inadeguatezza della documentazione esibita all’assemblea a dar conto
dell’effettivo versamento dei 5 milioni di euro. Sotto questo profilo, la lettera del
23/10/2002 con la quale Del Vecchio avrebbe contestato la condotta di Capalbo e
P.P – oltre che dedotta in termini aspecifici – rappresenta comunque un

post factum, inidoneo a compromettere, sul piano logico-argomentativo, la
tenuta sul punto della sentenza impugnata. Inammissibile è poi la censura tesa
ad affermare l’estraneità del ricorrente al controllo di Dering s.p.a.: a fronte della
puntuale indicazione delle relative fonti di prova ad opera della sentenza
impugnata, il ricorso si limita, per un verso, ad ipotizzare un’erronea valutazione
da parte della Corte di appello della relazione del consulente del P.M. e, per altro
verso, a richiamare, in termini ancora una volta del tutto aspecifici,

31

7.3. Non sono fondate le censure articolate con il secondo motivo e con il

documentazione relativa ad un’intestazione di quote della Dering in modo del
tutto inidoneo a dar conto che detta documentazione denoterebbe un
travisamento della prova da parte della sentenza impugnata.
7.4. Il terzo motivo in relazione al capo D) non merita accoglimento. La
Corte di merito ha rilevato, in primo luogo, che la somma di euro 201.400
contestata all’imputato a titolo di distrazione, è costituita, in larga misura, dalla
somma – pari a 150.000 euro – versata a favore di New Com: pur essendo stato
firmato da Arduino, la scrittura apposta sulla matrice era di Del Vecchio, che lo

ristorazione che non aveva mai avuto alcun rapporto commerciale con la fallita;
rileva ancora al riguardo la sentenza impugnata che il teste Del Miglio ha riferito
di essere stato chiamato dal funzionario bancario in ordine all’incasso
dell’assegno: rivoltosi allora a Del Vecchio, questi lo aveva tranquillizzato in
ordine al fatto che l’assegno doveva essere pagato. Per la parte restante della
somma oggetto di distrazione, osserva ancora il giudice di appello, si tratta di
importi incassati da Del Vecchio attraverso assegni, importi non qualificabili
come compensi poiché la nomina dello stesso Del Vecchio quale componente del
c.d.a. della fallita era successiva ai prelievi. Infine, quanto all’autovettura pure
oggetto di imputazione, rileva la Corte di merito che Del Vecchio, pur avendo
consegnato al curatore libretto di circolazione e chiavi, non aveva consegnato
l’auto.
A fronte della motivazione della sentenza impugnata sinteticamente
richiamata, le doglianze del ricorrente in ordine al versamento in favore di New
Com omettono di prendere in considerazione il complesso dei dati valorizzati dal
giudice di appello e, segnatamente, quelli dimostrativi non solo dell’annotazione
di Del Vecchio sul titolo, ma anche della consegna da parte sua dell’assegno e
delle indicazioni fornite al riguardo a Del Miglio. Né merita accoglimento la
censura relativa alla mancata testimonianza di Celona: al riguardo, il relativo
motivo di appello non faceva alcun riferimento al fatto che lo stesso Celona
avrebbe potuto riferire in ordine alla natura del debito della fallita verso New
Com, ma si limitava ad indicarlo come la persona che sarebbe stata incaricata di
ritirare l’assegno.
Le doglianze relative alle ulteriori somme incassate sono inidonee a
contrastare il rilievo della Corte distrettuale circa l’epoca di ingresso nel consiglio
di amministrazione della fallita, risultando, per di più, del tutto generiche.
Inammissibile è la censura relativa alla distrazione dell’autovettura, posto
che lo stesso atto di appello riferiva genericamente che l’indicazione circa il luogo
in cui si trovava l’auto era stata data successivamente alla raccomandata del
06/09/2005, che si limitava alla consegna del libretto di circolazione.

32

aveva materialmente consegnato a New Com, società operante nel settore della

7.5. Il quarto motivo è manifestamente infondato, in quanto — con riguardo
ai capi in esame – la mancata riqualificazione sub specie di bancarotta semplice è
implicita nella conferma della qualificazione operata dalla sentenza di primo
grado. Le censure relative al trattamento sanzionatorio, invece, restano assorbite
dalla declaratoria di estinzione del reato.

8. Il ricorso proposto nell’interesse di Barbara La Rocca deve essere
esaminato solo agli effetti civili — essendosi perfezionata nei suoi confronti la

diverse da quelle relative al capo G) (per il quale, come si è visto, il ricorso deve
essere accolto): imputazioni, quelle relative al capo D), in relazione alle quali il
ricorso non è fondato.
Manifestamente infondata è la censura relativa alla omessa descrizione delle
censure proposte con l’atto di appello, ipotesi in relazione alla quale non è
comminata alcuna nullità
Le censure relative al capo D), invece, sono infondate. La sentenza
impugnata ha ricostruito il ruolo della La Rocca all’interno della fallita attraverso
le dichiarazioni dei testi Riccomagno e Del Miglio e la partecipazione ai fatti
distrattivi rimarcando la mancanza di alcuna giustificazione contabile idonea a
dar conto di quelli che la ricorrente prospetta come rimborsi di spese sostenute
per conto della società e la concreta attività dispiegata nella distrazione dei
macchinari. Con particolare riferimento alla distrazione della somma di euro 41
mila specificamente ascritta all’imputata, la sentenza impugnata ha rilevato che,
alla luce della consulenza tecnica, si desume che, a fronte degli assegni a lei
intestati per l’ammontare indicato, nessun documento giustificativo della spesa
era emerso. Le doglianze della ricorrente che fanno leva sulla contestazione
dell’effettività del ruolo gestorio attribuitole sono infondate, non inficiando la
tenuta logico-argomentativa della sentenza impugnata, che ha valorizzato
specifici dati probatori relativi agli assegni e al contributo materiale recato alla
distrazione dei macchinari.
Le ulteriori censure risultano generiche, posto che, lungi dall’offrire un
quadro esaustivo delle testimonianze prese in considerazione dai giudici di
merito e svolgere, in riferimento a tale analitico e completo quadro di
riferimento, le critiche alla decisione impugnata, si limitano a segnalare, in modo
del tutto frammentario, alcuni profili di tali testimonianze, così rimettendo, in
buona sostanza, al giudice di legittimità una inammissibile rivalutazione generale
e complessiva del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito: il ricorso
si è quindi sottratto all’onere di completa e specifica individuazione degli atti
processuali che intende far valere, non essendo sufficiente, per l’apprezzamento
del vizio dedotto, «la citazione di alcuni brani» dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923

33

fattispecie estintiva del reato per prescrizione — e limitatamente alle imputazioni

del 05/12/2011 – dep. 2012, S., Rv. 252349). Nel caso di specie, dunque, deve
ribadirsi che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di
legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una
rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo
sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica
della interpretazione che ne è stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012,
Aprovitola, Rv. 253774).

deve essere preceduto dalla ricognizione della giurisprudenza di questa Corte in
tema di responsabilità concorsuale del sindaco nei fatti di bancarotta. Secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, nei reati di
bancarotta, è ammissibile il concorso di un componente del collegio sindacale
con l’amministratore della società, che può realizzarsi anche attraverso un
comportamento omissivo del controllo sindacale, il quale non si esaurisce in una
mera verifica formale, quasi a ridursi ad un riscontro contabile nell’ambito della
documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il
riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione (Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998,
Bagnasco, Rv. 211368; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 10186 del 04/11/2009 dep. 2010, La Rosa, Rv. 246911). Sul terreno, all’evidenza cruciale,
dell’accertamento dell’elemento psicologico (e dei relativi oneri motivazionali del
giudice di merito), la giurisprudenza di legittimità ritiene che, in tema di reati
fallimentari e societari, ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dei
sindaci (e degli amministratori senza delega) sia necessaria la prova che gli
stessi siano stati debitamente informati oppure che vi sia stata la presenza di
segnali peculiari in relazione all’evento illecito, nonché l’accertamento del grado
di anormalità di questi sintomi, giacché solo la prova della conoscenza del fatto
illecito o della concreta conoscibilità dello stesso mediante l’attivazione del
potere informativo in presenza di segnali inequivocabili comporta l’obbligo
giuridico di intervenire (Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio, Rv. 245138),
obbligo che non è limitato al mero controllo contabile, ma deve anche estendersi
al contenuto della gestione (Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006 – dep. 2007,
Martone, Rv. 236630). La responsabilità per fatti di bancarotta del sindaco in
concorso con l’amministratore presuppone, dunque, la sussistenza di puntuali
elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali
l’omissione del potere di controllo – e, pertanto l’inadempimento dei poteri doveri
di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte distrattive degli
amministratori – esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al
rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del
dolo eventuale (Sez. 5, n. 26399 del 05/03/2014, Zandano, Rv. 260215),

34

9. L’esame dei ricorsi proposti nell’interesse di Chiarion Casoni e di Massa

laddove risulta configurabile la sola fattispecie di bancarotta semplice ex art.
224, primo comma, n. 2, I. fall. qualora sia stato accertato solo «un
atteggiamento di negligente adesione ad una conduzione dell’amministrazione
della quale i sindaci si limitavano ad esaminare solo aspetti formali» (Sez. 5, n.
18985 del 14/01/2016, Rv. 267009). In questa prospettiva, con riguardo alla
affine tematica della responsabilità dell’amministratore privo di delega, questa
Corte ha chiarito come non sia sufficiente la presenza di dati (c.d. segnali
d’allarme) da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il

concretamente venuto a conoscenza ed abbia volontariamente omesso di
attivarsi per scongiurarlo (Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012 – dep. 2013,
Berlucchi, Rv. 256939; conf. (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv.
261938; Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646, che
sottolinea come occorra «la effettiva conoscenza del “segnale di allarme”, non
già la mera conoscibilità»).

10. Il ricorso proposto nell’interesse di Giorgio Gustavo Chiarion Casoni, che
deve essere esaminato agli effetti civili essendo il reato ascrittogli estinto per
prescrizione (con conseguente assorbimento del terzo motivo), deve essere
accolto, nei termini di seguito indicati.
10.1. Il primo motivo non è fondato. Rileva il Collegio che, come questa
Corte ha avuto modo di affermare, l’omesso avviso del rinvio dell’udienza
all’imputato non comparso, che non abbia allegato alcun legittimo impedimento
e che non sia stato dichiarato contumace, comporta una nullità di ordine
generale a regime intermedio, che deve essere eccepita dal difensore nella prima
occasione utile, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. e non, invece,
una nullità assoluta, non essendo configurabile, in tale ipotesi, un’omessa
citazione dell’imputato (Sez. 5, n. 26585 del 19/04/2017, Giordano, Rv. 270873;
conf. Sez. 1, n. 18147 del 02/04/2014, Messina, Rv. 261995). Escluso che venga
in rilievo la fattispecie processuale in relazione alla quale si sono di recente
nuovamente pronunciate le Sezioni unite (Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016 – dep.
2017, Amato, Rv. 269027), si versa, dunque, in ipotesi di nullità di ordine
generale e a regime intermedio, che deve essere eccepita nella prima occasione
processuale utile dal difensore (Sez. 4, n. 24955 del 26/04/2017, Cervellati, Rv.
269948), sicché la censura non merita accoglimento, non avendo il ricorrente
neppure dedotto la tempestiva eccezione della dedotta nullità.
10.2. Il secondo motivo, inerente al dolo, deve, invece, essere accolto. Con
riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, infatti, la
sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati al
par. 9. La motivazione resa dalla Corte di appello non ha puntualmente

35

rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che egli ne sia

individuato i “segnali di allarme” relativi ai fatti di bancarotta in questione e
l’effettiva conoscenza degli stessi in capo al ricorrente: i plurimi riferimenti alla
grave situazione patrimoniale in cui versava la società e alle iniziative adottate
dal precedente collegio sindacale rendono ragione del contesto in cui l’imputato
era chiamato ad operare e, in questa prospettiva, possono contribuire a
giustificare la gravità di “segnali d’allarme” che, tuttavia, devono risultare
sintomatici, nel senso prima indicato, di fatti pregiudizievoli o almeno pericolosi
per la società. La sentenza impugnata richiama, in buona sostanza i rilievi svolti

aggiungendo che i sindaci avrebbero dovuto controllare il conto cassa gestione
corrente (a nulla rilevando che non gli fosse stato spontaneamente consegnato),
l’uso delle autovetture e dei macchinari della società: nei termini indicati, però,
la motivazione dà conto di una condotta negligente, ma non è idonea a sostenere
un giudizio di sussistenza del dolo eventuale della fattispecie omissiva. Sussiste,
dunque, il denunciato vizio motivazionale, che impone l’annullamento della
sentenza impugnata.

11. Anche il ricorso proposto nell’interesse di Francesco Massa deve essere
accolto, nei termini di seguito indicati.
Quanto all’elemento oggettivo del reato, mentre la Corte distrettuale ha
chiarito che, con riferimento al primo motivo, i fatti ascritti al ricorrente sono
stati commessi dopo il 14/01/2003 e ha richiamato il nesso di causalità tra
l’omesso controllo ascrivibile ai componenti del collegio sindacale e

i fatti

distrattivi e dissipativi di cui al capo D), evidenziando la specifica attività di
controllo omessa e la sua idoneità ad impedire il fatto, sussiste il vizio
denunciato con riguardo alle censure proposte con l’atto di appello in ordine alla
delimitazione temporale dei fatti ascritti al ricorrente, avuto riguardo ai tempi
della sua nomina nel collegio sindacale. A proposito di tali censure la sentenza
impugnata ha osservato che anche qualora dovesse ritenersi che Massa non
abbia ricevuto comunicazione delle dimissioni di Garavaglia (circostanza del tutto
inverosimile) e che sia entrato a far parte del collegio sindacale solo il
14/01/2003, la circostanza non avrebbe notevole rilievo nella valutazione della
sua responsabilità penale per i fatti di cui al capo D), consistenti in prelievi
distrattivi di importi, dissipazione di mezzi e distrazioni di autovetture che
«risultano essersi verificati anche successivamente alla data del 14/01/2003»;
peraltro, ha osservato ancora la Corte distrettuale, va ritenuto che Massa sia
subentrato quale sindaco il 06/12/2002, poiché, in caso di dimissioni del sindaco
titolare, il supplente subentra immediatamente al suo posto. Nei termini
sinteticamente indicati, la sentenza impugnata non è immune, sul punto, dai vizi
motivazionali denunciati. L'”automatismo” nel subentro del sindaco supplente a

36

con riguardo all’imputazione sub C) nei confronti del coimputato Ermocida,

quello titolare dimessosi presuppone pur sempre la comunicazione al primo delle
dimissioni del secondo: comunicazione che la Corte distrettuale non ha accertato,
limitandosi ad affermare l’inverosimiglianza della sua mancanza. Quanto
all’ipotesi che l’ufficio sindacale sia stato assunto dall’imputato solo a far tempo
dal 14/01/2003, la sentenza impugnata si è sottratta alla specifica individuazione
dei fatti di bancarotta realizzati dopo tale data, limitandosi ad un generico
riferimento del tutto inidoneo a dar conto dei fatti ascritti al ricorrente (alla cui
compiuta individuazione non può sottrarsi il giudice di merito, tanto più che essa

all’art. 219, primo comma, I. fall). In parte qua, sono dunque fondate le censure
proposte con il ricorso.
Anche le censure relative alla sussistenza dell’elemento psicologico (terzo
motivo) sono fondate, per le ragioni già esposte a proposito del ricorso
nell’interesse di Chiarion Casoni.
Assorbite le ulteriori censure, pertanto, la sentenza impugnata deve essere
annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

12. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei
confronti di P.P e di Capalbo Fausto limitatamente al reato di cui al
capo G) senza rinvio agli effetti penali, per essere lo stesso estinto per
prescrizione, e con rinvio, agli effetti civili ad altra Sezione della Corte di appello
di Milano, con eliminazione della relativa pena nella misura di mesi 4 di
reclusione; nel resto, i ricorsi dei predetti ricorrenti vanno rigettati. Nei confronti
di Del Vecchio Valter e di La Rocca Barbara, la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio agli effetti penali per essere tutti i reati a ciascuno
rispettivamente ascritti estinti per prescrizione, mentre, agli effetti civili deve
essere annullata limitatamente al capo G) con rinvio ad altra Sezione della Corte
di appello di Milano; nel resto, i ricorsi dei predetti ricorrenti devono essere
rigettati agli effetti civili. I ricorrenti P.P, Capalbo, Del Vecchio e La Rocca
devono essere condannati, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel
grado dalla parte civile Fallimento Logika Comp. S.p.a., liquidate, alla luce della
nota depositata, come da dispositivo.
La sentenza impugnata deve poi essere annullata nei confronti di Chiarion
Casoni Giorgio Gustavo senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto
per prescrizione e con rinvio, agli effetti civili, ad altra Sezione della Corte di
appello di Milano, nonché nei confronti di Massa Francesco con rinvio per nuovo
esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Infine, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei
confronti di Ermocida Vincenzo, per essere i reati ascrittigli estinti per morte

37

può venire in rilievo ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui

dell’imputato, e nei confronti di Mondini Giampaolo, perché il reato a lui imputato
è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di Ermocida
Vincenzo per essere i reati ascrittigli estinti per morte dell’imputato.
Annulla senza rinvio la stessa sentenza nei confronti di Mondini Giampaolo,

Annulla la stessa sentenza nei confronti di P.P e di Capalbo
Fausto limitatamente al reato di cui al capo G) senza rinvio agli effetti penali, per
essere lo stesso estinto per prescrizione, e con rinvio, agli effetti civili ad altra
Sezione della Corte di appello di Milano; elimina la relativa pena nella misura di
mesi 4 di reclusione. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti ricorrenti.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Del Vecchio Valter e di La
Rocca Barbara senza rinvio agli effetti penali per essere i reati a ciascuno
rispettivamente ascritti estinti per prescrizione e agli effetti civili rinvia,
limitatamente al capo G), ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti ricorrenti agli effetti civili.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Chiarion Casoni Giorgio
Gustavo senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione
e con rinvio, agli effetti civili, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Massa Francesco con rinvio
per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Condanna P.P, Capalbo, Del Vecchio e La Rocca, in solido, alla
rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Fallimento Logika
Comp. S.p.a., che liquida in complessivi euro 5.000, oltre accessori di legge.
Così deciso il 16/02/2018.

perché il reato è estinto per prescrizione.

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