Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21656 del 09/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21656 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: PAZIENZA VITTORIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna
nel procedimento a carico di:
BRANDI Mario, nato a Napoli il 01/03/1944
avverso la sentenza emessa il 02/02/2017 dalla Corte d’Appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vittorio Pazienza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29/03/2011, il Tribunale di Reggio Emilia dichiarò BRANDI
Mario responsabile dei reati di truffa e falso a lui ascritti, condannandolo alla pena
di mesi sette di reclusione e C 700,00 di multa, oltre al risarcimento del danno in
favore della parte civile ASP REGGIO EMILIA TERZA ETA’.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame. La Corte d’appello di
Bologna, con sentenza del 02/02/2017, in riforma della sentenza impugnata
dichiarò non doversi procedere per i reati predetti perché estinti per prescrizione.
Revocò altresì le statuizioni Gvili di primo grado poiché “alla luce della mancata

Data Udienza: 09/02/2018

comparizione della Parte Civile, e delle esplicite avvertenze contenute nel decreto
di citazione, si desume che la sua costituzione è stata. implicitamente revocata”.
2. Ricorre per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Bologna deducendo l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in
quanto si è violato il principio della immanenza della parte civile nel processo
penale (art. 76 c.p.p.). Il P.G. richiama, poi, principi di questa Corte secondo i
quali la mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile, per il
principio dell’immanenza della costituzione, non può essere interpretata come

cod. proc. pen. vale, infatti, solo per il processo di primo grado ove, in mancanza
delle conclusioni non si forma il petitum sul quale il giudice possa pronunziarsi,
mentre invece le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato
e grado del processo (Sez. 2, n. 24063 del 20/05/2008, Quintile, Rv. 240616; Sez.
6, Sentenza n. 12165 del 11/03/2009, Marrazzo, Rv. 242931; Sez. 2, Sentenza n.
29859 del 23/06/2016, Romano, Rv. 267482).
Il

ricorrente conclude,

pertanto,

per l’annullamento,

con

rinvio,

dell’impugnata sentenza.
Con memoria depositata il 02/02/2018, il difensore del BRANDI ha sollecitato
una declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è fondato.

1.1. Infatti, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale, la
sentenza impugnata viola il principio della immanenza della parte civile nel
processo penale (art. 76 c.p.p.). Sul punto, questa Suprema Corte ha più volte
affermato che, nel giudizio di appello, la mera assenza della parte civile appellante
all’udienza di discussione e la mancata riproposizione delle conclusioni non
possono essere considerate, di per sè, manifestazioni inequivoche di una rinuncia
implicita all’impugnazione (Sez. 2, n. 29859 del 23/06/2016, Romano, cit.). Nella
motivazione della predetta sentenza si afferma: «la mancata partecipazione della
parte civile al giudizio di appello non è prevista tra le cause di inammissibilità
dell’impugnazione; costantemente la giurisprudenza di legittimità ha affermato
infatti che l’assenza della parte civile al processo di appello non determina alcuna
revoca tacita o implicita della sua costituzione, in ciò concretizzandosi il principio
di immanenza della parte civile nel processo penale, riconducibile al capoverso
dell’art. 76 cod. proc. pen., secondo il quale “la costituzione di parte civile produce
i suoi effetti in ogni stato e grado del processo” (Sez. 4, n. 24360 del 28/05/2008,
Rago, 240942; Sez. 5, n. 25723 del 6/05/2003, Manfredi, Rv. 225576). La revoca

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revoca tacita o presunta di questa. La disposizione di cui all’art. 82 comma secondo

della parte civile si determina infatti solamente a seguito di una dichiarazione
espressa fatta secondo le ‘forme ed i contesti Procedimentali indicati dal primo
comma dell’art. 82 cod. proc. pen. ovvero a seguito di uno dei due “comportamenti
concludenti” specificamente disciplinati dal comma 2, medesimo articolo: la
mancata presentazione delle conclusioni a norma dell’art. 523 c.p.p. (e consolidato
è l’insegnamento di questa Corte sul riferimento della norma al solo processo dì
primo grado: Sez. 2, n. 24063 del 20/05/2008, Quintile, 240616; Sez. 5, n. 12959
del 08/02/2006, Lio, 234536) ovvero il promuovere l’azione davanti al giudice

2. E’, poi, evidente che il Pubblico Ministero ha interesse ad impugnare la
decisione di cui sopra. Infatti, nel caso di specie il Procuratore Generale non ricorre
per sindacare statuizioni ritenute pregiudizievoli degli interessi civili della singola
parte, ma per garantire “l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza della parte
privata” così come regolamentati dalla legge – nel caso di specie dagli artt. 76 e
82 del c.p.p. – la cui violazione costituisce – ex art. 178 lettera c – una nullità di
ordine generale. Dunque il P.M., nel caso di cui ci si occupa, ricorre per contrastare
la prassi contra legem adottata dalla Corte di appello di Bologna che, in tutti i
decreti di citazione per l’udienza dibattimentale inserisce, tra gli avvisi importanti,
quelli di cui alle lettere B e C nei quali si afferma che in caso di dichiarazione di
non doversi procedere perché i reati sono estinti per prescrizione le statuizioni
civili saranno confermate solo se la parte civile insista “nella richiesta di conferma
delle statuizioni civili ex art. 578 c.p.p. con atto scritto da far pervenire – via pec
– alla cancelleria almeno 7 giorni prima dell’udienza; con formale avvertimento
che, in difetto di tale richiesta scritta o di identica istanza orale da proporre in
udienza, la Corte riterrà implicitamente revocata la costituzione di parte civile”.
E’ evidente che la Corte di Appello, con le disposizioni di cui sopra, impone
per le parti civili attività non previste dalla legge (invio con pec della richiesta di
conferma delle statuizioni civili) e, qualora ciò non venga fatto, ingiustamente
ritiene “implicitamente revocata la costituzione di parte civile”. Dunque il P.M.
ricorre in questo caso per tutelare l’interesse generale protetto dalla legge e cioè
assicurare le condizioni per l’esercizio del diritto all’inserimento dell’azione civile
nel processo penale (si veda, in motivazione, Sez. 5, n. 10366 del 14/04/1999,
Guido, Rv. 214189). A tal proposito questa Corte ha affermato che il P.M., in
quanto parte pubblica, ha interesse ad impugnare anche per contrastare la
ingiustizia di provvedimenti, sia a tutela della funzione punitiva dello Stato, sia a
garanzia della posizione dell’imputato e della parte offesa. Egli quindi, pur
nell’ambito del processo accusatorio, può sostituirsi, nella impugnazione dei
provvedimenti, alle parti private per contrastare provvedimenti emessi in
violazione del principio di legalità o per far valere questioni di interesse pubblico,
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civile».

rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Non può, viceversa,
sostituirsi all’imputato – od alla persona offeSa per censurare la illegittimità della
mancata concessione di benefici e per sindacare statuizioni ritenute pregiudizievoli
degli interessi civili, facendo, però, sempre salva la difesa delle condizioni per
l’esercizio del diritto all’inserimento dell’azione civile nel processo penale (Sez. 5,
n. 10366 del 14/04/1999, cit.; l’ultima frase “facendo, però, sempre salva ecc.”,
è stata aggiunta alla massima sintetizzando quanto viene esposto nella quintultima
riga della motivazione della stessa sentenza di questa Corte massimata). Nella

parte pubblica, titolare di un generale dovere di iniziativa propulsiva, risalente, a
norma degli artt. 73 e 74 dell’ordinamento giudiziario, all’obbligatorietà dell’azione
penale e alla istituzionale funzione di vigilanza per “la osservanza delle leggi e la
pronta e regolare amministrazione della giustizia”, ha interesse, di norma,
nell’ambito della riconosciuta legittimazione all’impugnazione, a contrastare
l’ingiustizia di provvedimenti, a tutela sia della funzione punitiva dello Stato che
rappresenta, sia della posizione dell’imputato e della parte offesa, nei limiti in cui
gli interessi particolari di questi soggetti coincidono con l’interesse generale
protetto. Il pubblico ministero può sostituirsi, quindi, quale parte “imparziale”,
all’offeso dal reato e all’imputato soltanto per contrastare provvedimenti emessi
in violazione del principio di legalità o per far valere questioni d’interesse pubblico,
rilevabili ex officio in ogni stato e grado del processo».
2.1. Si deve, infine, rilevare che il presente ricorso per cassazione del P.M. diretto a ottenere l’esatta applicazione della legge processuale – è anche
caratterizzato dalla concretezza e attualità dell’interesse ad impugnare. Infatti,
tale impugnazione è idonea a rimuovere gli effetti che si assumono pregiudizievoli
(Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244110), e che nella specie
devono essere individuati – in linea con le osservazioni svolte dal P.G. ricorrente
(cfr. pag. 4 del ricorso) – nella rimozione di una pronuncia che, divenendo
irrevocabile, comporterebbe la definitiva estromissione di una parte processuale
non già in forza dell’applicazione di disposizioni riconducibili al vigente sistema
(che considera immanente la presenza della parte civile, salve le ben definite e già
citate ipotesi di revoca della costituzione, ed impone al giudice di pronunciarsi sulla
fondatezza delle sue ragioni anche dopo il maturare della prescrizione del reato),
ma in forza della ritenuta possibilità di configurare e ritenere applicabile una
fattispecie di revoca tacita pacificamente estranea al predetto sistema, e tuttavia
surrettiziamente “codificata” dalla Corte territoriale attraverso la predisposizione
di appositi avvisi nel decreto di citazione per il giudizio di appello (cfr. supra, § 2).
Non è inutile evidenziare che, mentre nel primo caso la rimozione delle
conseguenze pregiudizievoli di una decisione ritenuta errata non potrebbe che
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motivazione della predetta sentenza si legge: «Il pubblico ministero, in quanto

conseguire ad un’iniziativa impugnatoria della parte civile (in virtù del già citato
principio per cui il pubblico ministero, estraneo al rapporto civilistico
incidentalmente instauratosi nel procedimento penale, è come tale indifferente alle
questioni ed ai profili propri dell’azione risarcitoria civile, ivi compresi quelli relativi
alla soccombenza, e non è quindi legittimato ad impugnare un provvedimento
all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata: cfr. in tal senso,
da ultimo, Sez. 6, n. 39454 del 20/07/2016, Casales), la ben diversa fattispecie
qui in esame può e deve essere ricondotta nell’alveo delle situazioni che

illustrati nella sentenza Guido, ricorrendo – avuto riguardo alla creazione ex novo
di una vera e propria disposizione processuale, ed alle irrimediabili conseguenze
previste in caso di inosservanza – una delle ipotesi in cui gli interessi particolari
della persona offesa « coincidono con l’interesse generale protetto» (cfr. supra, §
2).
2.2. E’ infine opportuno porre in evidenza che le conclusioni qui raggiunte si
pongono in sintonia non solo con indicazioni sistematiche già da tempo fornite come si è appena ricordato – dalla giurisprudenza della Suprema Corte, ma anche
con il percorso evolutivo tendente ad assicurare sempre maggiore attenzione e
rilievo ai diritti della persona offesa nel processo penale. Un percorso riscontrabile
sia nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo (tanto da indurre questa Sezione
ad affermare, in una recente pronuncia, che quest’ultima «mostra di concepire la
costituzione di parte civile non soltanto nell’interesse della parte lesa, ma anche
nell’interesse pubblico della difesa sociale preventiva e repressiva contro il delitto
e strumento per attenuare l’allarme sociale e soddisfare il desiderio di giustizia
delle vittime»: cfr. Sez. 2, n. 41571 del 20/06/2017, Marchetta, Rv. 270750, a
proposito di recenti decisioni che avevano ravvisato una violazione dell’art. 3 della
Convenzione in fattispecie in cui, pur essendo intervenuto il risarcimento in sede
civile, il maturare della prescrizione aveva impedito la punizione dei colpevoli in
sede penale), sia anche nel panorama legislativo sovranazionale ed interno.
A tale ultimo proposito, è sufficiente richiamare quanto sia pur
incidentalmente evidenziato in un recentissimo arresto delle Sezioni Unite di
questa Corte, in ordine al fatto che «che il ruolo della “vittima” del reato all’interno
del processo penale ha progressivamente assunto una dimensione operativa ed
una rilevanza prima sconosciute, specie per effetto delle indicazioni provenienti
dalla legislazione europea, quanto alla previsione di una serie di prerogative ed
efficaci strumenti di tutela. Deve al riguardo considerarsi, in particolare, la direttiva
2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti,
assistenza e protezione delle vittime di reato e sostituisce la precedente decisionequadro 2001/220/GAI, con l’obiettivo di armonizzare le disposizioni normative

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legittimano il P.M. ad impugnare il provvedimento, secondo i già esposti principi

degli Stati membri dell’Unione in relazione alle modalità di esercizio dei diritti delle
vittime lungo tutto l’arco del procedimento penale. Tale . strumento normativa è
stato recepito nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 15 dicembre 2015,
n. 212, la cui entrata in vigore ha rappresentato un passaggio fondamentale per
una più ampia considerazione della posizione della vittima nel procedimento
penale, conferendole un ruolo di partecipazione attiva con poteri d’impulso e
sollecitazione sempre più incisivi, cui si correlano specifiche disposizioni relative
alla previsione di diritti in tema di informazione e comunicazione, assistenza

soggetti vulnerabili» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise).
3. Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza
impugnata limitatamente alla revoca delle statuizioni civili ed il rinvio, per nuovo
giudizio sul punto, al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Infatti, questa Corte ha più volte affermato che nel caso in cui il giudice di appello
dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza
motivare in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili,
l’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone
l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in
grado di appello, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 40109 del
18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087; Sez. 6, n. 5888 del 21/01/2014, Bresciani,
Rv. 258999).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla revoca delle statuizioni civili e
rinvia, per nuovo giudizio sul punto, al giudice civile competente per valore in
grado di appello.

Così deciso il 9 febbraio 2018
(-•
Il Consi ier estensore
Vittori\ ‘azienza

idente

linguistica, accesso alla giustizia e peculiari esigenze di protezione in favore dei

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