Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21650 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21650 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Grande Vincenzo, nato a Lamezia Terme il 15/12/1960

avverso l’ordinanza del 07/07/2017 del Tribunale di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
udito per l’imputato l’avv. Lucio Canzoniere, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 luglio 2017 il Tribunale di Catanzaro, in funzione di
giudice del riesame delle misure cautelari personali, ha rigettato la richiesta di
riesame proposta da Vincenzo Grande, indagato per il reato di cui all’art. 416bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5 cod. pen.; 112 n. 4, cod. pen.; 74, commi 1, 2, 3, 4 e
5; 73, commi 1 e 1-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con l’aggravante di cui
all’art. 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203; nei confronti dell’ordinanza dell’8

Data Udienza: 25/01/2018

I

giugno 2,017, in forza della quale il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Catanzaro aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia
cautelare in carcere.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con
tre motivi di impugnazione.
2.1. In particolare, col primo motivo il ricorrente ha ribadito quanto già
rilevato in sede di riesame in ordine alla non configurabilità contestuale
dell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. e di quella prevista dall’art. 74
d.P.R. 309 cit., laddove invece poteva ritenersi il concorso tra dette fattispecie

2.2. Col secondo motivo è stato addotto vizio di motivazione quanto alla
pretesa partecipazione all’affermata associazione mafiosa. In specie, le due sole
dichiarazioni rinvenibili non rappresentavano elementi di prova in qualche modo
sovrapponibili, né raggiungevano il livello idoneo di gravità indiziaria. Oltre a ciò,
ad onta del preteso ruolo apicale emergeva al contrario la soggezione della
famiglia del ricorrente nei riguardi di Antonio Miceli, né era credibile la pretesa
individuazione dell’esercizio commerciale del ricorrente quale base operativa
della cosca mafiosa calabrese, trattandosi di esercizio aperto al pubblico e quindi
frequentabile da chicchessia.
2.3. Col terzo motivo infine, quanto alla ritenuta gravità indiziaria, essa
faceva difetto in relazione alle ipotesi di cui all’art. 73 ed all’art. 74 d.P.R. 309
cit., tanto più che erano stati individuati comportamenti penalmente rilevanti
solamente tra il 24 e il 28 gennaio 2015, circostanza all’evidenza incompatibile
con la pretesa partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico.
2.4. Con motivo aggiunto il ricorrente ha dedotto violazione della norma di
cui all’art. 649 cod. proc. pen., stante la perfetta coincidenza, sotto ogni profilo,
tra le ipotesi di associazione mafiosa e di associazione a norma dell’art. 74 cit.,
per cui l’ordinanza avrebbe dovuto essere annullata stante la violazione del

ne

bis in idem sostanziale, non potendo un soggetto rispondere di due diversi reati
a fronte delle medesime condotte.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione ai primi due motivi di censura, che possono essere
esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, è insegnamento
ripetuto che i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso,
concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di
9

solamente in ipotesi di entità distinguibili e gestite da soggetti diversi.

sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata
alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati
diversi (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883; Sez.
6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso e altri, Rv. 258163).
In proposito si è infatti sottolineato che i due reati tutelano beni giuridici in
parte diversi, il primo l’ordine pubblico, l’altro, oltre alla tutela dell’ordine
pubblico – finalità tipica di tutti i delitti associativi – mira alla difesa della salute
individuale e collettiva contro l’aggressione della droga e della sua diffusione. In
effetti il delitto di cui all’art. 74 cit. presenta degli elementi specializzanti rispetto

associazione per delinquere – vincolo tendenzialmente permanente,
indeterminatezza del programma criminoso, esistenza di una struttura adeguata
allo scopo – aggiunge quello specializzante della natura dei reati fine
programmati che devono essere quelli previsti dall’art. 73 d.P.R. cit.. Cosicché,
se un’associazione venga costituita al solo scopo di operare nel settore del
traffico degli stupefacenti, gli agenti non potranno essere puniti a doppio titolo,
ovvero per la violazione dell’art. 416 e dell’art. 74, mentre se l’associazione ha lo
scopo di commettere traffico di stupefacenti ed anche altri reati, è ben possibile
che gli agenti vengano puniti per entrambi i reati. Ne consegue che è ben
possibile la coesistenza di due distinte organizzazioni criminali, con una parziale
coincidenza soggettiva ed oggettiva, che integrino gli estremi di entrambi i delitti
associativi in questione; così come la totale identità dei soggetti e delle strutture
organizzative, messe in comune tra le due organizzazioni, non preclude affatto il
riconoscimento del concorso di tali due reati, laddove dovesse risultare che la
medesima associazione di stampo mafioso sia finalizzata alla commissione di
traffici di sostanze stupefacenti (così, complessivamente in motivazione, Sez. 6,
n. 46301 cit.).
4.1.1. Ciò posto, è stato correttamente rievocato dal provvedimento
impugnato il principio in forza del quale l’elemento che caratterizza l’associazione
di tipo mafioso rispetto all’associazione dedita al narcotraffico, in presenza del
quale può configurarsi il concorso tra i due delitti, è costituito non tanto dal fine
di commettere altri reati, quanto dal profilo programmatico dell’utilizzo del
metodo, che, nell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen., ha una portata
non limitata al traffico di sostanze stupefacenti, ma si proietta sull’imposizione di
una sfera di dominio in cui si inseriscono la commissione di delitti, l’acquisizione
della gestione di attività economiche, di concessioni, appalti e servizi pubblici,
l’impedimento o l’ostacolo al libero esercizio di voto, il procacciamento del voto
in consultazioni elettorali (Sez. 6, n. 563 del 29/10/2015, dep. 2016, Viscido, Rv.
265762).

3

a quello di cui all’art. 416 cit., perché a tutti gli elementi costitutivi della

4.1.2. Alla stregua dei rilievi che precedono, i motivi di censura appaiono
largamente e manifestamente infondati.
Il provvedimento del Tribunale del riesame, così superando anche i rilievi
posti in questa sede dal ricorrente circa la pretesa non attualità della
collaborazione, da un lato ha posto in relazione le eloquenti dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, sulla cui pregressa affidabilità dichiarativa peraltro la
stessa parte ricorrente nulla aggiunge, con gli esiti delle intercettazioni più
recenti, osservando che il quadro indiziario a carico dell’odierno ricorrente traeva
fondamento dall’intrecciarsi delle due fonti, le seconde a riscontro e conferma

In proposito, tra l’altro (e siffatto rilievo ha valenza generale), il ricorrente
non si confronta in alcun modo con i contenuti delle intercettazioni siccome
trascritte, delle quali il provvedimento impugnato trae argomentate deduzioni,
prima in sede di commento analitico ad ogni singola captazione (ovvero ad ogni
gruppo di queste), poi in via riepilogativa e di valutazione complessiva ai fini
indiziari. Contrariamente ai rilievi del ricorrente, il Giudice del riesame annota
criticamente i contenuti delle singole intercettazioni, li inserisce in un quadro più
ampio dal quale trarre indicazioni di fondo, e comunque in ogni caso condivide
appieno il percorso investigativo condividendone contenuti operativi ed
apprezzamenti valutativi.
Alla stregua di ciò, sussiste adeguata motivazione tanto in ordine
all’associazione del ricorrente all’associazione di tipo mafioso, particolarmente
emersa quanto al sostegno elettorale del candidato sindaco amico (ed in
proposito le intercettazioni danno conto delle preoccupazioni di dispersioni di
suffragi in favore di avversari politici) ed in ordine alle preoccupazioni che la
collaborazione giudiziaria di alcuni affiliati potesse comportare l’emissione di
provvedimenti restrittivi, quanto poi alla costante presenza del Grande sul
territorio, in funzione di consigliere, di suggeritore, di diretto protagonista.
Né, come ha inteso rilevare il ricorrente, appare emergere una posizione di
particolare soggezione del Grande e della sua famiglia nei confronti di Antonio
Miceli, nonostante l’affermato ruolo di “reggente” della cosca mafiosa rivestito da
quest’ultimo. Il ricorrente, all’evidenza in virtù del ruolo non secondario ricoperto
nell’associazione, reagisce ai danneggiamenti decisi dal Miceli nei confronti di
affiliati che avrebbero “sgarrato”, e non si pone problemi ad aggredire
fisicamente anche un diretto dipendente del Miceli alla presenza di costui (tra
l’altra suscitando le ire della moglie dello stesso capobanda, il quale peraltro nei
confronti del ricorrente assumeva un atteggiamento sostanzialmente attendista e
non vendicativo, a comprova della caratura dell’interlocutore).
Del pari, quanto alla partecipazione all’associazione dedita al traffico di
stupefacenti, il Tribunale calabrese motiva in modo adeguato (ed al riguardo,
4

delle prime.

come si è visto supra, non vi è mai critica specifica ai rilievi in concreto svolti dal
provvedimento ovvero ai richiamati contenuti dell’attività captatoria), osservando
come lo spaccio fosse uno dei campi di elezione dell’attività associativa, e come il
ricorrente svolgesse un ruolo defilato ma nevralgico, in cui l’esercizio
commerciale gestito con la famiglia fosse un punto di ritrovo dei malavitosi
aderenti all’associazione (a nulla rilevando, ovviamente, che fosse un pubblico
esercizio frequentabile da chiunque, nel momento in cui in detto luogo si
svolgevano anche riunioni tra gli aderenti al sodalizio).
D’altronde, quanto all’intimidazione, è sufficiente richiamare il passaggio,

l’odierno ricorrente sconsiglia, con parole traverse ma facilmente intellegibili, un
creditore commerciale del Miceli dal ricorrere ad iniziative avventate per
recuperare le proprie legittime spettanze.
4.2. Alla luce quindi delle considerazioni che precedono e delle adeguate
considerazioni del provvedimento impugnato, non hanno in sé rilievo le censure
del ricorrente quanto al fatto che al Grande sono stati contestati soltanto pochi e
circoscritti episodi concernenti detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti
(anche a prescindere dal fatto che, al riguardo e nel merito di tali evenienze, non
è avanzata censura di sorta se non una generica contestazione della gravità
indiziaria; v. comunque anche

supra,

quanto alla metodologia seguita dal

provvedimento impugnato). In piena coerenza il Tribunale di Catanzaro ne ha
sottolineato infatti il ruolo diverso e distante, organizzativo e di supporto, che
non impedisce peraltro allo stesso ricorrente di intervenire con durezza e
violenza quando ritiene di doverlo fare (v. supra).
4.2.1. In definitiva, quindi, l’associazione di tipo mafioso si connota per
l’utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal
vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l’adozione di uno
stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all’esterno
attraverso un’opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di
chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei
confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa,
ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad
aderire al sodalizio criminale (Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Lee e altri, Rv.
269747).
In tal senso il provvedimento impugnato, e le fonti ivi riportate, creano un
quadro indiziario complessivo non scalfito dal ricorso.
4.3. Fermo il contesto indiziario nei termini che precedono, nulla il ricorso ha
aggiunto in relazione a proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare
siccome disposta.

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adeguatamente evidenziato nel corpo delle ricordate intercettazioni, nel quale

5. In definitiva, quindi, la manifesta infondatezza dell’impugnazione non può
che condurre quindi all’inammissibilità del ricorso. Va da sé che l’esame dei
motivi aggiunti rimane assorbito dall’inammissibilità della proposta impugnazione
a norma dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen..
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,

in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
5.1. Si dispone infine che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 comma Iter disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 comma
ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma il 25/01/2018

I-

l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,

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