Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21649 del 18/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21649 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BISCEGLIA MAURO N. IL 18/04/1982
avverso la sentenza n. 288/2015 TRIBUNALE di POTENZA, del
25/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO MINCHELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
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s-92r-40

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Data Udienza: 18/01/2016

RILEVATO IN FATTO

In data 20.01.2011 in occasione di un ordinario controllo stradale, la polizia giudiziaria
rinveniva nella vettura del ricorrente una mazza di ferro lunga circa cm 61 riposta nel
portabagagli dell’automobile ed un taglierino della lunghezza di circa cm 15 riposto in vano
portaoggetti dell’abitacolo, presso il freno a mano.
In data 25.06.2015 il Tribunale di Potenza condannava Bisceglia Mauro alla pena di €

Giudice che la mazza di ferro rinvenuta era del tipo utilizzato dai carpentieri per tagliare il
ferro e che non era risultato alcun motivo per cui il Bisceglia dovesse portare con sé detti
oggetti in una zona di campagna dove insistevano diverse aziende spesso vittime di furti;
non era infatti risultata alcuna ragione di lavoro. Si escludeva la non punibilità per
particolare tenuità del fatto e si applicava l’ipotesi attenuata di cui alla seconda parte del
comma terzo dell’art. 4 della Legge n° 110/1975.
Avverso detta sentenza propone ricorso l’interessato a mezzo del suo Difensore che, come
unico motivo, deduce erronea applicazione della legge penale ex art 606, comma 1 lett.
B), cod.proc.pen: si evidenzia che gli oggetti rinvenuti in possesso del ricorrente erano, al
più, armi improprie e quindi la fattispecie concreta doveva essere sussunta nel comma 2
dell’art. 4 della Legge n° 110/1975; ne sarebbe conseguito che poteva essere considerato
che si trattava di strumenti utilizzabili in ambito lavorativo e che il ricorrente si trovava in
una zona di campagna, sia pure in orario serale: quindi non vi sarebbero state le
circostanze di tempo e di luogo che rendevano quegli oggetti come utilizzabili contro la
persona.
Il P.G. concludeva per il rigetto del ricorso.
La Difesa dell’imputato si riportava alle ragioni del ricorso, sostenendo che anche il
taglierino rinvenuto poteva essere utilizzato per ragioni lavorative.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
Per come già evidenziato in precedenza, nel corso di un controllo stradale la polizia
giudiziaria rinveniva nella autovettura condotta dal Bisceglia Muro una lunga mazza di
ferro ed un taglierino; il primo oggetto era del tipo utilizzato dai carpentieri e poteva
essere usato per tagliare il ferro. Il rinvenimento era avvenuto in orario serale ed in una
zona extraurbana, nella quale insistono le sedi di diverse aziende e dove sovente venivano
posti in essere dei furti. Dalla sentenza e dal ricorso non risulta che il Bisceglia abbia
giustificato il porto di detti oggetti nella sua vettura in alcun modo.
Il ricorso dell’interessato verte su di un unico punto e cioè che gli oggetti rinvenuti
avrebbero dovuto essere considerati come oggetti atti ad offendere e la fattispecie

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150,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 4 della Legge n° 110/1975: rilevava il

concreta avrebbe dovuto essere sussunta nell’ipotesi di cui al comma secondo dell’art. 4
della Legge n° 110/1975: si insisteva sul tema della possibile destinazione lavorativa degli
oggetti rinvenuti, con conseguente elisione delle circostanze di tempo e di luogo tali da
destare i sospetti.
Il primo ordine di ragioni di doglianza non è di facile comprensione, poiché la sentenza
impugnata, senza alcun dubbio, ricomprende i fatti de quibus nel comma secondo dell’art.
4 della Legge n° 110/1975, pure invocato dal ricorrente: il Giudice, a pagina 3,

nella stessa pagina che nella pagina successiva, altrettanto espressamente riconnette
persino detto porto all’assenza di un giustificato motivo per quella condotta posta in essere
fuori dalla abitazione.
La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei principi applicabili nella materia in esame:
considerato che il ricorrente portava nella sua vettura (fatto da lui non contestato) una
mazza ed un taglierino, i due oggetti rientrano nella prima delle due diverse categorie
considerate dalle due distinte parti in cui è idealmente diviso il comma secondo del citato
art. 4.
Secondo principi consolidati, gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell’art. 4,
comma 2, Legge n. 110 del 1975 n. 110 sono da ritenere del tutto equiparabili alle armi
improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga

“senza

giustificato motivo”, mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce
l’ultima parte della stessa disposizione normativa occorre anche l’ulteriore condizione che
essi appaiano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa

alla persona”.
In coerenza con tale orientamento si è ritenuto che, essendo riconnpresi tra gli oggetti di
cui alla prima di dette categorie anche le “mazze” (escluse quelle “ferrate”, alle quali si
riferisce specificamente il primo comma, assimilandole alle vere e proprie “armi”), il porto
di una mazza di ferro va considerato idoneo a costituire reato se, indipendentemente dalla
concreta prospettabilità di una sua utilizzazione per l’offesa alla persona, non abbia un
giustificato motivo (Sez. 1, n. 32269 del 03/07/2003, dep. 31/07/2003, P.G. in proc.
Porcu, Rv. 225116; Sez. 1, ordinanza n° 34774, 15.01.2015, Rv 264771).
Parimenti, con riferimento al taglierino, va innanzitutto ribadita la natura dello stesso: la
lunghezza della lama e la presenza di un’estremità appuntita rendono l’oggetto
classificabile come vero e proprio coltello ai sensi di legge, trattandosi comunque di
“strumento da punta e da taglio atto ad offendere”. Inoltre la giurisprudenza di questa
Corte ha di recente chiarito che, in relazione agli oggetti da punta e da taglio, dunque veri
e propri coltelli, l’intervenuta abrogazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 80 rende
irrilevanti le dimensioni dello stesso (Sez. 1, n. 13618 in data 22.03.2011, Rv. 249924). In
secondo luogo, è stata constatata l’assenza di un qualsiasi motivo giustificato per detta
condotta, con conseguente sussistenza del reato contestato: il “giustificato motivo” del

2

espressamente qualifica gli oggetti rinvenuti come «oggetti atti ad offendere» e, sia

porto degli oggetti di cui all’art. 4, comma secondo, della Legge n° 110/1975, ricorre solo
quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole
comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione
del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento, alla normale
funzione dell’oggetto (Sez. 1, n° 4498/2008, Rv 238946).
Né è pensabile che il ricorrente possa prospettare in questa sede le possibili destinazioni
lavorative degli oggetti: occorre rievocare e qui ribadire la consolidata giurisprudenza di

Legge n° 110/1975, art. 4, non è quello dedotto a posteriori dall’imputato o dalla sua
difesa, ma quello espresso nell’immediatezza, in quanto riferibile all’attualità e suscettibile
di un’immediata verifica da parte dei verbalizzanti (Sez. 1, n. 18925/2013, Rv 256007).
E dalla sentenza impugnata il ricorrente non risulta avere fornito alcuna giustificazione
concreta (fatto non contestato nemmeno in ricorso).
Infine, il richiamo in ricorso alle circostanze di tempo e di luogo, che renderebbero gli
oggetti chiaramente utilizzabili per l’offesa alla persona, è incongruo giacchè trattasi di
requisito richiesto per le sole armi improprie innominate, cioè per gli strumenti diversi da
quelli da punta e da taglio atti ad offendere, per i quali è sufficiente la oggettiva
adeguatezza dei medesimi (portati senza giustificato motivo fuori della propria abitazione)
all’impiego, in rapporto alle circostanze di tempo e luogo, per l’offesa contro la persona;
sicché la fattispecie prescinde, sia dalla pregressa perpetrazione in loco di offese alla
persona, sia dalla necessità dell’inserimento del porto da parte dell’agente in una concreta
ed effettiva prospettiva di offesa alla persona (Sez. 1, n° 11812 del 26.02.2009, Rv
243488).
Di tali condivisi principi il Tribunale, che li ha richiamati, ha fatto esatta interpretazione e
corretta applicazione, logicamente rimarcando, con motivazione adeguata e coerente, che
resiste alle obiezioni e osservazioni difensive, sia l’idoneità della mazza e del taglierino
rinvenuti nella autovettura, sulla quale viaggiava l’imputato, a costituire reato, sia
l’assenza di un giustificato motivo per detto porto fuori dall’abitazione.
Il ricorso deve dunque essere rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle
spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2016.

questa Corte di legittimità secondo cui il “giustificato motivo”, rilevante ai sensi della

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