Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21647 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21647 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: ZUNICA FABIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Di Cello Ivan, nato a Lametia Terme il 24-06-1997
avverso l’ordinanza del 27-06-2017 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Giovanni Di Leo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avvocato Antonio Larussa, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 25/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 giugno 2017, il Tribunale del Riesame di Catanzaro
confermava l’ordinanza dell’8 giugno 2017 con la quale il G.I.P. presso il
Tribunale di Catanzaro applicava nei confronti di Ivan Di Cello la misura degli
arresti domiciliari, in quanto ritenuto partecipe di un’associazione a delinquere
finalizzata allo spaccio di stupefacenti di tipo cocaina, eroina, marijuana e in
misura minore hashish ed ecstasy, operante in Lametia Terme e strettamente
collegata alla cosca di ‘ndrangheta Cerra-Torcasio-Gualtieri, con il ruolo di

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale calabrese, Di Cello, tramite il difensore,
ha quindi proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui
lamenta la mancanza e manifesta illogicità della motivazione e l’erronea
applicazione degli art. 73 e 74 del D.P.R. 309/90; in particolare la difesa, nel
contestare il giudizio sulla gravità indiziaria, rileva che la partecipazione del
ricorrente all’associazione è stata desunta dalla sottoposizione dell’indagato a
un’operazione di polizia denominata “piazza pulita”, relativa a un piccolo giro di
spaccio di marijuana, evidenziando che, rispetto a una parte dei soggetti
coinvolti in questa operazione (ovvero Alfonso Calfa, Smeraldo Davoli, Davide
Cosentino, Pino Isaac Esposito), l’ordinanza è stata annullata dal Tribunale del
Riesame alla luce dell’impossibilità di ricondurre quei fatti, risalenti al 2015, nel
novero di condotte concludenti ai fini associativi, per cui, quanto alla posizione di
Di Cello, la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe contraddittoria, tanto
più in considerazione del fatto che dalla lettura dell’ordinanza “piazza pulita” non
emerge alcun collegamento con Nicola Gualtieri, soggetto evocato solo nel
presente procedimento; né in senso contrario potevano essere valorizzate le due
intercettazioni del 10 e dell’8 agosto 2015, posto che le stesse, riferibili a incontri
casuali con Gualtieri, non erano state trasformate in equivalenti ipotesi di reato.
In ogni caso il ricorrente osserva che il fatto al più doveva essere qualificato
nella fattispecie di cui all’art. 74 comma 6 del d.P.R. 309/90, avendo lo stesso
Tribunale del Riesame autonomamente parlato di una piccola attività di spaccio.
Quanto infine alle esigenze cautelari, la difesa evidenzia il difetto del requisito
della attualità, non essendo stato considerato che i contatti risalivano a sua anni
prima, successivamente ai quali Di Cello era stato sottoposto a misura cautelare
nell’ambito della menzionata operazione “piazza pulita”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

venditore al minuto della droga, cedutagli dai coordinatori dell’associazione.

2. Occorre innanzitutto premettere che, secondo il costante orientamento di
questa Corte (ex multis v. Sez. 5, n. 36079 del 5/6/2012), la nozione di gravi
indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro
indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione
della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio
idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono
essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art.
192 cod. proc. pen., comma 2, (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen.,

2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e
concordanza degli indizi). Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, deve
essere ribadito (tra le tante v. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 Rv. 255460)
che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso
per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del
riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte
spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie. Il controllo di logicità deve rimanere quindi “all’interno” del
provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non
conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso
l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure adeguate, trattandosi di
apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il controllo di
legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere
positivo e l’altro negativo, ovvero: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato.
Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, deve ritenersi che la
valutazione della gravità indiziaria operata sia dal G.I.P. sia dal Collegio del
Riesame non presti il fianco a censure di illogicità, incoerenza o contraddittorietà.

comma 1 bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma

Innanzitutto occorre evidenziare che, come si desume sia dal provvedimento
impugnato, sia prima ancora dall’ordinanza del G.I.P. (composta da 359 pagine,
che arrivano a 1633 tenuto conto degli allegati), la posizione del ricorrente si
inserisce nell’ambito di un complesso procedimento a carico di 59 indagati, nel
quale sono state elevate 658 imputazioni provvisorie, la prima delle quali (capo
1) è costituita da quella avente ad oggetto il reato di cui all’art. 416

bis cod.

pen., riferito alla cosca lametina denominata “Cerra-Torcasio-Gualtieri”, già
riconosciuta con sentenza irrevocabile emessa nel 2008 dal G.U.P. di Catanzaro.
Dalle successive indagini era emerso che, dopo gli arresti susseguenti alle

testimone alle giovani leve facenti capo a Nicola Gualtieri e Antonio Miceli, marito
di Teresina Torcasio, nipote diretta della capostipite del clan Teresina Cerra.
Gualtiero e Miceli assumevano il controllo del territorio con riferimento alle
estorsioni e ai danneggiamenti ad esse propedeutici, oltre che al traffico di
stupefacenti, in ciò avvalendosi di una fitta rete di spacciatori, alcuni dei quali
destinatari di misure cautelari nell’ambito dell’operazione cd. “Piazza Pulita”.
Un contributo importante al disvelamento delle dinamiche associative veniva
fornito dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Luciano
Arzente, Giuseppe Giampà e Umberto Muraca, i quali descrivevano i rapporti tra
gli associati e le attività illecite compiute dagli appartenenti al clan.
Le parallele intercettazioni telefoniche e ambientali disposte nei confronti di
Antonio Miceli e Nicola Gualtieri consentivano di acquisire ulteriori e importanti
conoscenze rispetto agli affari del clan: venivano in particolare accertati i
tentativi della cosca di condizionare le elezioni comunali attraverso l’appoggio
alla lista “Pasqualino Ruberto Sindaco” e gli atti intimidatori con finalità
estorsive, che conoscevano una recrudescenza nel gennaio 2016.
Gli esiti dell’attività intercettiva, riscontrata da varie operazioni di P.G.,
delineavano inoltre l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere
finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti in materia di
stupefacenti, collegata strettamente al clan, anche nella misura in cui il denaro
ricavato veniva in parte utilizzato per sostenere la vita carceraria dei detenuti.
3. In questo ambito si inserisce la posizione dell’odierno ricorrente.
Questi viene descritto nell’ordinanza impositiva della misura e nel provvedimento
impugnato come uomo di fiducia di Nicola Gualtieri e venditore al minuto della
sostanza stupefacente cedutagli dai coordinatori dell’associazione.
In tal senso sono state adeguatamente valorizzate dal Tribunale del Riesame
alcune conversazioni intercettate, nelle quali Di Cello dialoga con Gualtieri,
facendo riferimento ogni volta a sostanze stupefacenti, in particolare alla
marijuana (progr. 396 del 3.7.2015, 1629 dell’1.8.2015 e 1763 del 5.8.2015).

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operazioni Chimera 1 e 2, la cosca ha proseguito la propria attività, passando il

I dati probatori desunti dalle intercettazioni sono stati posti in relazione con le
risultanze dell’operazione “piazza pulita” (ordinanza cautelare emessa dal G.I.P.
di Lametia Terme il 23 novembre 2015 nell’ambito del procedimento penale n.
1044/2015 RGNR e 1613/2015 RGGIP), nella quale Di Cello, unitamente ad altre
persone, è stato coinvolto in quanto ritenuto responsabile di diversi episodi di
spaccio commessi in stretto contatto e sotto le direttive di Nicola Gualtieri.
Dalla lettura congiunta di tali elementi investigativi è stata dunque tratta la
coerente conseguenza che Ivan Di Cello, con il ruolo di venditore al minuto,

In ogni caso, nel confrontarsi con le obiezioni difensive, il Tribunale ha osservato
che il giudizio sulla gravità indiziaria non è stato fondato sulla mera esistenza
dell’indagine “piazza pulita”, ma gli esiti di tale indagine, comunque rivelatori del
ruolo svolto dal ricorrente nel suo recente passato, sono stati valutati insieme
alle intercettazioni disposte nel presente processo, delineandosi in tal modo con
maggiore chiarezza il ruolo svolto dall’indagato, a nulla rilevando che i fatti della
prima operazione siano stati qualificati ai sensi dell’art. 73 comma 5 del d.P.R.
309/90, trattandosi di un profilo attinente alla qualificazione giuridica della
condotta, che però non incide sulla valenza indiziaria attribuibile alla continuità di
certi comportamenti illeciti posti in essere anche successivamente da Di Cello.
Parimenti, non è stata ritenuta dirimente la circostanza che al ricorrente non
siano stati contestati reati fine, trattandosi di un aspetto in sè non decisivo,
essendo invece ben più rilevante l’acquisizione di una solida piattaforma
indiziaria in ordine allo stabile inserimento di Di Cello nella struttura associativa,
con il compito di venditore al minuto della droga cedutagli dai sodali e in
particolare da Gualtieri, che nella consorteria aveva un ruolo di primo piano.
Né infine può rilevare in questa sede la diversa valutazione operata dal Tribunale
rispetto ad altri coindagati, la cui posizione processuale e probatoria peraltro è
rimasta ignota, scontando sul punto il ricorso evidenti limiti di autosufficienza.
In definitiva, la configurabilità della condotta partecipativa del ricorrente
all’organizzazione criminale è stata ritenuta alla stregua di una lettura attenta e
non frammentaria del materiale investigativo delineatosi a carico di Di Cello, per
cui, fermo restando che le letture alternative delle intercettazioni e le censure in
punto di fatto proposte dalla difesa ben potranno essere approfondite nello
sviluppo del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che, per quanto
concerne la fase cautelare, il giudizio del Tribunale sulla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza non presenta profili di illegittimità rilevabili in questa sede.
4. Passando alla valutazione delle esigenze cautelari, occorre innanzitutto
ricordare che, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per il
delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 309/90, vige, ai sensi della previsione di cui
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., una duplice presunzione relativa, quanto

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fosse a disposizione di uno dei principali esponenti della struttura associativa.

alla sussistenza delle esigenze cautelari (an della cautela) e alla scelta della
misura

(quomodo

della stessa), per cui, come chiarito sia dalla Corte

costituzionale (cfr. sentenza 231 del 22/7/2011), sia dalla giurisprudenza di
questa Corte (Sez. 6, n. 53028 del 06/11/2017 Rv. 271576), il giudice deve

considerare sussistenti le esigenze cautelari, ogni volta che non consti la prova

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