Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21645 del 18/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21645 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRECO FRANCESCO ANTONIO N. IL 02/05/1950
MAZZAFERRO GIUSEPPE N. IL 15/03/1955
MARVASO DOMENICO HELENIO N. IL 09/06/1963
avverso la sentenza n. 699/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 09/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO MANCUSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 18/01/2016

Il Pubblico Ministero, in persona del dott. Enrico Delehaye, Sostituto
Procuratore generale presso questa Corte, ha concluso chiedendo l’annullamento
della sentenza impugnata.
L’avv. Francesco Albanese, difensore di Francesco Antonio Greco,
Giuseppe Mazzaferro e Domenico Helenio Marvaso, ha concluso riportandosi ai
motivi di ricorso.

1. Con sentenza del 9 ottobre 2014, la Corte di appello di Reggio
Calabria, decidendo in sede di rinvio dopo annullamento pronunciato dalla Quinta
Sezione Penale di questa Corte con sentenza n. 11798/2014 del 5 febbraio 2014,
riformava la sentenza di condanna emessa il 19 giugno 2002 dal Tribunale di
Palmi, già parzialmente riformata dalla sentenza della Corte di appello di Reggio
Calabria del 21 febbraio 2012, nei confronti di Francesco Antonio Greco,
Giuseppe Mazzaferro e Domenico Helenio Marvaso, imputati di due delitti di
bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale contestati nei capi «A» e
«B». In particolare, la citata sentenza del 9 ottobre 2014 riteneva la condotta di
cui al capo «B» assorbita nel fatto di cui al capo «A» e confermava la pena
inflitta in primo grado.

2. L’avv. Francesco Albanese ha proposto distinti ricorsi per cassazione,
tutti datati 12 marzo 2015, in difesa di Francesco Antonio Greco, Giuseppe
Mazzaferro e Domenico Helenio Marvaso.

2.1. Con i primi motivi dei ricorsi, si deduce, ai sensi dell’art. 606 comma
1 lett. c), cod. proc. pen., violazione dell’art. 601, comma 5, in relazione all’art.
178, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. La sentenza impugnata è nulla perché il
decreto di citazione per il giudizio non è stato notificato al difensore dei tre
imputati, avv. Pasquale Loiacono, ma soltanto al co-difensore, avv. Elio
Belcastro. Peraltro, la mancata indicazione, nel decreto, dell’avv. Pasquale
Loiacono, ha impedito all’avv. Elio Belcastro di notare la nullità e di eccepirla alla
Corte di appello. Inoltre, all’udienza non era presente l’avv. Elio Belcastro e, per
tale ragione, era stato nominato un difensore d’ufficio agli imputati, contumaci.
La mancata notifica ad uno dei difensori d’ufficio di ciascun imputato aveva
determinato una nullità a regime intermedio, non sanata in considerazione
dell’assenza della parte e del suo difensore.

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RITENUTO IN FATI-0

2.2. Con i secondi motivi dei ricorsi, si deduce, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. c), cod. proc. pen., violazione degli artt. 157, comma 1, e 179,
comma 1, cod. proc. pen. La sentenza impugnata è nulla perché il decreto di
citazione per il giudizio non è stato notificato agli odierni ricorrenti nel domicilio
eletto. Il Presidente della Corte di appello, infatti, aveva disposto la citazione,
rispettivamente del Greco, del Mazzaferro e del Marvaso, ai sensi dell’art. 157,
comma 8-bis, cod. proc. pen., mediante fax all’avv. Elio Belcastro. Ciò ha
comportato nullità assoluta ed insanabile, come stabilito dalla giurisprudenza di
legittimità.

2.3. Con i terzi motivi dei ricorsi di Giuseppe Mazzaferro e Domenico
Helenio Marvaso, si deduce, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) e lett. e) cod.
proc. pen., violazione degli artt. 216, comma primo nn. 1) e 2) legge
fallimentare, 192, 623 comma 1 lett. a), 627 comma 3 cod. proc. pen. Il giudice
di rinvio non ha sanato, in ordine al secondo dei principi affermati dalla sentenza
di annullamento, il vizio motivazionale da cui era affetta la sentenza di appello
annullata, Con la sentenza di cassazione era stato affermato che il giudice di
merito, nella sentenza annullata, si era limitato a ricavare la qualità di
amministratori di fatto, in capo ai predetti imputati, dal solo fatto che essi in
qualche occasione avevano intrattenuto rapporti con i fornitori, trascurando che
ciò poteva essere ascrivibile – con conseguente possibile ragionevole dubbio anche ai legami di tipo familiare con il Greco. Ciò posto, la sentenza di rinvio è
basata sulle stesse argomentazioni della sentenza annullata, e ancora una volta
non ha dimostrato l’esercizio continuativo e significativo, da parte dei predetti
imputati, dei poteri tipici dell’imprenditore in relazione all’impresa Greco.
3. Con atto depositato il 18 dicembre 2015, l’avv. Francesco Albanese ha
proposto motivi nuovi, richiamando la sentenza delle Sezioni unite 24630 del
2015, secondo la quale l’omissione dell’avviso dell’udienza al difensore di fiducia
integra nullità assoluta, anche qualora l’udienza sia celebrata in presenza di un
difensore nominato di ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I secondi motivi di ciascun ricorso, da trattare congiuntamente perché
sovrapponibili, sono infondati. Il principio di diritto invocato dai ricorrenti è stato
effettivamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ma non riguarda
ipotesi corrispondente a quella ora sottoposta al vaglio di questa Corte. È vero,
infatti, che l’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia, tempestivamente

v•

nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi
degli artt. 178, comma primo lett. c) e 179, comma primo cod.proc.pen., quando
di esso è obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata
effettuata al difensore d’ufficio e che in udienza sia stato presente un sostituto
nominato ex art. 97, comma quarto, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 24630 del
26/03/2015 – dep. 10/06/2015, Maritan, Rv. 263598). Nel caso, in esame, però,
la notifica del decreto di citazione per il giudizio di rinvio è stata effettuata nei
confronti di uno dei due difensori di fiducia, l’avv. Elio Belcastro, con la

due difensori di fiducia dell’interessato integra una nullità a regime intermedio
che, ove non eccepita in udienza dal difensore di fiducia presente o, in sua
assenza, dal difensore d’ufficio nominato ai sensi dell’art. 97, comma quarto,
cod. proc. pen., è sanata, ai sensi dell’art. 182, comma secondo, cod. proc. pen.
(Sez. 1, n. 12059 del 04/03/2015 – dep. 23/03/2015, Schiavone, Rv. 263183).
In concreto, il difensore di fiducia che aveva ricevuto la notifica, cioè
l’avv. Elio Belcastro, è rimasto assente e, quindi, non ha proposto l’eccezione in
argomento, né l’ha proposta il difensore d’ufficio nominato, che pure era nelle
condizioni per eseguire ricerche e verifiche negli atti. Ciò ha determinato la
sanatoria della nullità. Non ha pregio, per duplice ragione, l’argomento sostenuto
dalla difesa, secondo il quale la mancata indicazione del difensore di fiducia avv.
di fiducia Pasquale Lo Iacono, nel decreto di citazione notificato all’altro difensore
di fiducia avv. Elio Belcastro, avrebbe impedito a quest’ultimo di rilevare la
nullità e di eccepirla. Per un verso, infatti, tale difensore era in condizioni di
esaminare gli atti per stabilirne la regolarità, anche sotto il profilo
dell’accertamento dell’eventuale esistenza di altro difensore di fiducia e di
carenza di notifica nei confronti di questo, mentre quanto risulti dal decreto di
citazione, in merito ai difensori, è soltanto indicativo. Per altro verso, ciascun
imputato, su cui grava un onere di diligenza nei rapporti con i difensori, avrebbe
dovuto comunicare a ciascuno la nomina nei confronti dell’altro, per consentire
una piena e coordinata esplicazione delle facoltà difensive. Le conseguenze della
mancata informazione, quindi, rimangono giustamente a carico dell’imputato
negligente.

2. I secondi motivi di ciascun ricorso, anch’essi da trattare
congiuntamente per la loro sovrapponibilità, sono inammissibili. Con le censure
si sostiene, come sopra già riportato, che, avendo gli imputati eletto domicilio, il
decreto di citazione loro destinato per il giudizio di rinvio avrebbe dovuto essere
notificato in tale domicilio, anziché mediante consegna al difensore avv. Elio

conseguente applicabilità del principio in base al quale l’omesso avviso ad uno di

Belcastro, eseguita in applicazione errata dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc.
pen.
Deve osservarsi, però, che i motivi sono viziati da difetto di specificità,
perché, non essendo stati prodotti gli atti di elezione di domicilio cui è fatto
generico riferimento e non essendo stati indicati la loro data né la loro posizione
nel fascicolo processuale, è stata preclusa al Collegio la possibilità di verificare
quanto affermato dai ricorrenti.

nell’interesse del Mazzaferro e del Marvaso, riguardanti pretesi vizi nella
motivazione della sentenza impugnata ed asserite violazioni di legge, in ordine al
secondo dei principi affermati nella sentenza di annullamento.

3.1. Per completezza, si ricorda che, con la richiamata sentenza n. 18880
del 2014, che ha annullato la sentenza conclusiva del giudizio di appello, la
Quinta Sezione Penale di questa Corte ha ritenuto che il ricorso esaminato era
fondato. Sussisteva, in primo luogo, l’erronea interpretazione della legge penale
con riguardo al capo d’accusa sub «B», prospettata con il primo motivo.
L’imputazione di cui a tale capo era stata infatti erroneamente giustificata dalla
Corte territoriale, nonostante l’assenza del fallimento della Omafer s.a.s., con il
richiamo al fatto che le distrazioni erano state in parte realizzate mediante le due
società in accomandita che, per quanto avessero acquistato merce estranea al
settore della biancheria per la casa, sarebbero state tuttavia continuatrici
dell’impresa individuale Greco. Con tali argomentazioni, tuttavia, era stato
confuso, come rettamente osservato dai ricorrenti, il mezzo con l’oggetto del
reato, in quanto anche tali distrazioni sarebbero sempre riconducibili al
fallimento della ditta individuale Greco, mentre la Omafer s.a.s., non dichiarata
fallita, avrebbe soltanto costituito, insieme con la Siderflero, lo strumento
attraverso il quale realizzare le distrazioni. A ciò conseguiva, sempre secondo la
sentenza di annullamento, che le attività distrattive sub «B» non potevano dar
luogo ad un’autonoma ipotesi di reato, essendo piuttosto da ricomprendere nella
contestazione sub «A» (il cui ambito sarebbe quindi ampliato con possibili effetti
sul trattamento sanzionatorio) se realizzate prima del fallimento dell’impresa
individuale Greco, ovvero tali da integrare bancarotta fraudolenta
postfallimentare, del pari riferibile al fallimento Greco, se consumate
successivamente a questo (il capo «B» indica come data finale di commissione
del reato “a tutt’oggi”). Ipotesi, quest’ultima, che, in presenza del capo «A»,
darebbe luogo all’aggravante dei più fatti di bancarotta e non ad un caso di reato
continuato, essendo tutti i fatti riferibili sempre allo stesso fallimento e non a due

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3. Sono infondati i terzi motivi, formulati soltanto nei ricorsi proposti

fallimenti diversi, come invece ritenuto dai giudici di merito trascurando che,
nonostante la duplice contestazione, il fallimento è uno solo, quello dell’impresa
individuale Greco.
Del pari fondato era il secondo motivo di ricorso afferente al concorso di
Mazzaferro e Marvaso, quali amministratori di fatto dell’impresa individuale
Greco, nel reato di cui al capo «A» d’imputazione, il cui profilo oggettivo non era
peraltro contestato. Il richiamo all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, per il
quale la gestione di fatto postula l’esercizio continuativo e significativo dei poteri

dal riconoscimento ai due imputati della qualifica di amministratori di fatto,
sostanzialmente sul rilievo che i predetti in qualche occasione avevano
intrattenuto rapporti con i fornitori della fallita ricevendo le merci acquistate. Era
stato trascurato che ciò poteva essere ascrivibile – con conseguente possibile
ragionevole dubbio – anche ai loro legami di tipo familiare con il Greco, oltre a
non integrare necessariamente il tipo di reato contestato.
Ciò posto, nella sentenza di annullamento si assegnava al giudice del
rinvio il compito di riesaminare la vicenda (ferma restando l’affermazione di
responsabilità di Greco per il capo «A», passata in giudicato in quanto non
oggetto di ricorso), uniformandosi alle indicazioni di cui sopra quanto al capo «B»
e approfondendo la tematica della possibile attribuzione agli imputati Mazzaferro
e

Marvaso, sulla base di eventuali ulteriori elementi, della qualifica di

amministratori di fatto dell’impresa individuale Greco, quanto al capo «A».

3.2. I ricorsi del Mazzaferro e del Marvaso sostengono che il giudice del
rinvio, commettendo violazioni di legge, non abbia osservato il secondo principio
di diritto, riguardante il profilo relativo alla individuazione, in capo al Mazzaferro
e al Marvaso, del ruolo di amministratori di fatto dell’impresa individuale Greco.
Ciò posto, deve notarsi, in contrario, che la motivazione della sentenza
ora impugnata rivela che la Corte di appello non ha ricavato ‘la prova della
qualità di amministratori di fatto della fallita, in capo al Mazzaferro e al Marvaso,
dalla sola circostanza che costoro si erano occupati di rapporti con i fornitori
della predetta, ma dalle emergenze circa l’attività svolta dal Mazzaferro e dal
Marvaso nell’ambito di una complessa rete di rapporti, nei quali erano implicate
diverse imprese collegate ad essi, al Greco e ad altri soggetti dello stesso ambito
parentale.
Sono stati indicati, come elementi di prova, non solo quelli ricavabili dai
fornitori dell’impresa fallita, ma anche quelli desumibili da altre fonti, quali le
risultanze delle investigazioni riferite dal maresciallo della Guardia di finanza
Renato Corvo e la documentazione in atti.

tipici dell’amministratore, risultava poi accompagnato, nella sentenza annullata,

In particolare, la sentenza qui impugnata spiega come il ruolo dei
ricorrenti sia consistito in un’attività gestoria articolata e concreta, e quindi in
un’attività tipica dell’amministratore, desunta da vari elementi particolarmente
significativi, tra i quali si possono qui ricordare, a titolo esemplicativo: i vari
collegamenti, manifestati in operazioni commerciali fittiziamente rappresentate o
comunque caratterizzate da pregnante finalità fraudolenta, tra l’impresa fallita e
la Tessilflero, amministrata di fatto dal Marvaso; l’identità dei locali in cui
operavano la fallita e la Tessilflero; il fatto che una fornitura, proveniente da

Tessilflero; i già ricordati collegamenti con i fornitori della fallita, gestiti dal
Marvaso e dal Mazzaferro; le annotazioni di poste inesistenti, le emissioni di false
fatture, le distrazioni di beni strumentali, l’occultamento di documentazione
contabile; il fatto che due fornitori della fallita erano stati pagati con due assegni
la cui provenienza era indicata, in un appunto manoscritto del Greco, come
«Mazz. G» (quindi chiaramente riferibile al Mazzaferro); il fatto che il Greco, su
invito di società debitrici della Nuova Omafer Sud, della quale era legale
rappresentante, e la cui denominazione usava per alcune operazioni come
l’acquisto di merce mai rinvenuta, aveva sottoscritto delle schede in cui indicava
gli importi di crediti e il nome del Mazzaferro come «responsabile della ditta».
In definitiva, la Corte di appello ha spiegato, fornendo ampia motivazione
idonea a sostenere la decisione, e senza incorrere in violazioni di legge, gli
elementi dai quali si ricava il ruolo svolto dal Mazzaferro e dal Marvaso come
amministratori di fatto della fallita. Nella sentenza impugnata è offerta, sulla
base della corretta applicazione dei principi giuridici sulla valutazione delle prove,
una congrua lettura degli elementi probatori disponibili, mentre è inammissibile,
in sede di legittimità, ogni tentativo di proporre una nuova ricostruzione delle
circostanze di fatto analizzate compiutamente in sede di merito.

4. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 18 gennaio 2016.

impresa estranea e diretta alla fallita, era stata pagata con un assegno della

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