Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21643 del 18/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21643 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
REPOSSI RINALDO N. IL 05/03/1943
avverso la sentenza n. 3007/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO MANCUSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 18/01/2016

Il Pubblico ministero, in persona del dott. Enrico Delehaye, Sostituto
Procuratore generale presso questa Corte, ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.
L’avv. Giuseppe Massimo Cannella, difensore dell’imputato, ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Quinta Sezione Penale di questa Corte annullava, con rinvio, la sentenza della
Corte di appello di Milano che, su appello di Rinaldo Repossi, aveva confermato
la sentenza del Tribunale di Milano del 23 novembre 2004, con la quale il
predetto era stato condannato alla pena principale di anni tre di reclusione, oltre
pene accessorie, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, commesso
distraendo la somma di lire 330.000.000, specificamente indicata nel capo 1
dell’imputazione, dalle casse della Soprim s.r.I., dichiarata fallita il 14 giugno
1994, in concorso quale extraneus con l’amministratore Ronaldo Valiani.
La Corte di appello di Milano, Sezione Terza Penale, decidendo in sede di
rinvio con sentenza del 18 dicembre 2014, rigettava l’appello proposto dal
Repossi.

2. L’avv. Giuseppe Massimo Cannella, difensore del Repossi, ha proposto
ricorso per cassazione depositato il 30 gennaio 2015, affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c)
cod. proc. pen., violazione dell’art. 548, comma 3, cod. proc. pen., sostenendo
che all’imputato, rimasto contumace durante il giudizio di rinvio davanti alla
Corte di appello, avrebbe dovuto essere notificato l’estratto della sentenza,
dovendosi applicare ai processi in corso la disciplina transitoria prevista dall’art.
15-bis legge 67 del 2014, inserito dalla legge 118 del 2014.

2.2. Con il secondo motivo, si deduce, richiamando l’art. 606 comma 1
lett. b), violazione dell’art. 627, comma 3 cod. proc. pen. Il giudice del rinvio non
ha sanato il vizio motivazionale da cui era affetta la sentenza impugnata, perché,
a fronte delle indicazioni contenute nella sentenza di cassazione, non ha
spiegato quale sarebbe stato il ruolo rivestito dal Repossi come extraneus e non
ha trovato gli elementi di riscontro alla chiamata di correo del Valiani.

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1. Con sentenza pronunciata il 25 marzo 2014, n. 18880 del 2014, la

3.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cod. proc. pen., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento alla prova della distrazione, sostenendo che, a fronte dell’elenco,
riportato in uno schema riprodotto, fornito dal consulente tecnico della Procura
della Repubblica, Stefania Chiaruttini, che ha indicato le distrazioni dalle casse
della Soprim s.r.l. per l’importo complessivo di lire 274.873.000, specificando i
rispettivi ruoli dei destinatari di ciascun incasso, il giudice del rinvio non ha
spiegato in quale modo tali distrazioni siano riconducibili al Repossi, ed ha

della cooperazione dell’imputato all’offesa del bene giuridico, di un suo contributo
rilevante, di una efficienza causale sull’evento. L’ammontare delle somme
riferibili al Repossì non è certo, come emerge da un confronto fra il capo
d’imputazione e la motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello
non ha detto nulla sulla somma di lire 274.873.000 e si è soffermata su quanto
dichiarato dal curatore e dal professor Ghidini circa la possibilità di esperire, per
un importo di lire 150.000.000, azioni revocatorie nei confronti del Repossi, ma
non si comprende per quale ragione la circostanza è stata ritenuta dirimente
nella sentenza impugnata, considerato che tale importo è decisamente inferiore
a quello indicato nel capo 1 dell’imputazione e che nella stessa sentenza si
afferma che parte delle somme di cui a tale capo è stata utilizzata dal Valiani per
far fronte a debiti personali. Inoltre, nella sentenza impugnata si afferma che il
curatore Pennati ha escluso l’esistenza di un titolo, come verbale di assemblea o
simile, che autorizzasse il Valiani e il Repossi a risultare prenditori di effetti,
mentre in realtà dall’esame del Pennati è emerso che se tali somme fossero
state riferibili ad attività svolte dal Repossi come consulente non sarebbe stata
necessaria alcuna delibera. La Corte di appello ha attribuito estrema importanza
a quanto riferito dal prof. Ghidini circa la destinazione di alcune somme per
l’importo di circa lire 30.000.000 ed ha evidenziato come la versione del Negri
conduce a negare che tutti gli importi per i quali vi è stata interposizione del
Repossi siano poi finite nuovamente nei conti Soprim s.r.l. In realtà, la versione
del Negri, richiamata dal prof. Ghidini nel suo parere del 29 giugno 1995, non ha
trovato alcun riscontro documentale. Dallo schema del consulente Stefania
Chiaruttini, peraltro, risulta un assegno di lire 30.000.000 intestato proprio al
Negri. Questa circostanza è stata utilizzata per sostenere che le somme in
questione non siano finite nuovamente nei conti Soprim s.r.I., come invece
ribadito dall’imputato. La Corte di appello non ha considerato il principio in dubio
pro reo, che comporta la necessità di superare ogni ragionevole dubbio per
giungere a una declaratoria di colpevolezza.

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omesso così di indicare, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, la prova

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato, perché sulla sentenza impugnata è
attestata l’avvenuta notifica dell’estratto contumaciale all’imputato.

2. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente,
per la stretta connessione, e sono fondati.
Con la richiamata sentenza n. 18880 del 2014, che ha annullato la

Corte ha ritenuto che il ricorso proposto dal Repossi era parzialmente fondato,
con riferimento al terzo motivo. Risultava carente, come eccepito dalla difesa, la
motivazione relativa alle concrete modalità del concorso, quale extraneus, nelle
condotte distrattive. Occorreva considerare, infatti, che sul punto la difesa aveva
specificamente contestato che le somme distratte fossero passate, anche solo in
parte, sui conti del Repossi; a fronte di tale specifica contestazione, però, la
Corte d’appello si era limitata ad affermare, genericamente, che il Repossi
avrebbe fatto transitare somme della società sui propri conti personali, senza
confrontarsi sulle specifiche doglianze dell’appellante. Non si poteva ricorrere al
principio, ormai consolidato in giurisprudenza, di integrazione della motivazione
con quella resa in primo grado, atteso che anche quest’ultima, sul punto, era
assai vaga. La sentenza di appello, dunque, andava annullata per vizio di
motivazione in ordine alle concrete modalità del concorso nel reato. Anche il
secondo motivo era fondato, nella parte in cui si ricollegava al terzo e cioè alla
prova del concorso nelle distrazioni, poiché l’effettivo transito di denaro sui conti
del Repossi avrebbe potuto integrare il riscontro alle dichiarazioni rese dal coimputato Valiani. In ogni caso, anche sul tema dei riscontri la Corte di rinvio
avrebbe dovuto esplicitare meglio le proprie valutazioni, così ovviando alla
carenza motivazionale della sentenza impugnata.
A tali precise indicazioni, contenute nella sentenza di annullamento, il
giudice di rinvio non ha dato congrua risposta, ma ha reso una motivazione che,
lasciando ancora una volta non chiariti alcuni aspetti decisivi circa la
responsabilità del Repossi in ordine al reato ascrittogli, incorre nella violazione
dell’art. 627 cod. proc. pen. Gli elementi utilizzati nella sentenza impugnata, per
ricavarne la prova della responsabilità dell’imputato, appaiono privi, in mancanza
di approfondimenti analitici, di capacità dimostrativa e, quindi, dell’idoneità a
colmare le lacune evidenziate nella sentenza di annullamento.
La Corte di appello non ha spiegato quali specifici elementi il curatore
fallimentare Pennati e il consulente del Pubblico Ministero, Chiaruttini, abbiano
riferito come rivelatori dell’appropriazione attribuita al Repossi. Dopo aver

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sentenza conclusiva del giudizio di appello, la Quinta Sezione Penale di questa

precisato che non era risultato alcun assegno della Soprim s.r.l. emesso dal
Repossi, e che costui non avrebbe potuto emetterne in quanto non era
amministratore, la sentenza afferma che il suo ruolo è stato quello
dell’extraneus, in virtù della posizione assunta come amministratore di fatto in
considerazione dell’ampiezza dei suoi personali interventi nella gestione
societaria, ma non segnala alcuna specifica attività in cui tale ruolo si sarebbe
estrinsecato in relazione a determinate condotte appropriative, e indica soltanto
altre forme di manifestazione del ruolo in discussione.

Repossi aveva ritirato effetti per un importo significativo, possa implicare che
costui se ne sia appropriato, posto che lo stesso giudice afferma che parte delle
somme portate dagli assegni in questione erano state utilizzate dal co-imputato
Valiani per far fronte a debiti personali. Né viene chiarito come l’affermazione
circa la possibilità di esperire azioni revocatorie nei confronti del Repossi per
l’importo di lire 150.000.000, tratta da un parere pro ventate proveniente dal
consulente del curatore, prof. Ghidini, consultabile in allegato alla consulenza
Chiaruttini, possa essere ricollegata ai predetti assegni e possa costituire
elemento certo di prova a carico dell’imputato in ordine alle specifiche
appropriazioni, in mancanza di specificazioni, nel riporto dell’affermazione in
sentenza, circa la configurazione e la causale che avrebbero potuto
caratterizzare dette ipotizzate azioni revocatorie, nonché circa la posizione che il
Repossi avrebbe potuto assumere in relazione ad esse.
Generica, e insufficiente quindi a giustificare la decisione, appare anche la
valutazione della dichiarazione del curatore Pennati, secondo la quale il prof.
Ghidini, nel predetto parere, aveva evidenziato come la versione del Negri
«conduceva a negare» che tutti gli importi per i quali vi era stata interposizione
del Repossi fossero poi finite nuovamente nei conti Soprim s.r.I., per importi
superiori a lire 30.000.000. La valutazione esposta nella sentenza non è munita
di adeguata capacità persuasiva, sia perché riguarda una dichiarazione di una
persona che ha affermato di averla tratta da un parere di altri che si riferisce ad
un’ulteriore soggetto, sia perché il dato in sé stesso è privo di significativa
consistenza, in mancanza di adeguati approfondimenti, avuto riguardo all’uso
della frase «conduceva a negare», non rivelatrice di certezze, attribuita, come si
è ricordato, al Ghidini, citato dal Pennati, in relazione a una dichiarazione del
Negri
La sentenza ora impugnata è imprecisa, poi, nella quantificazione
dell’importo che sarebbe stato oggetto di distrazione riferibile al Repossi: a
fronte della determinazione in lire 330.000.000, contenuta nel punto 1 del capo
d’imputazione, la sentenza indica in varia misura l’oggetto del reato, come

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Il giudice a quo, poi, non spiega come il fatto, riferito dal curatore, che il

emerge da affermazioni già sopra richiamate sotto il generale profilo della
motivazione circa la responsabilità. La somma viene determinata in «una serie di
importi tra quelli indicati sub 1»

nell’esordio della trattazione dedicata

specificamente proprio al Repossi, a partire da pagina 12, ma appare fissata in
lire 150.000.000 nel riferirsi all’importo per il quale il prof. Ghidini, consulente
del curatore fallimentare, «aveva accertato la possibilità di esperire revocatorie
nei confronti del medesimo Repossi». Inoltre, nella sentenza si nota che «parte
delle somme di cui al capo 1, sempre recate dagli assegni in questione, erano

riferire circa la «versione del Negri», la sentenza indica «importi superiori ai
trenta milioni di lire»,

a proposito degli assegni per i quali vi era stata

interposizione del Repossi.
La motivazione in discussione, poi, non tratta adeguatamente il tema del
transito di danaro sui conti del Repossi, indicato nella sentenza di annullamento
come possibile riscontro alle dichiarazioni rese dal coimputato Valiani, né
chiarisce perché, a fronte delle indicazioni contenute nella consulenza Chiaruttini,
circa gli importi e i soggetti che incassarono gli assegni evidenziati nel prospetto
ora riportato nel ricorso, possa attribuirsi al Repossi la responsabilità
dell’appropriazione, e proprio per l’importo contestato di lire 330.000.000.

3. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, con
rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che provvederà a nuovo
esame senza incorrere nei vizi riscontrati.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma il 18 gennaio 2016.

state utlizzate dal Valiani per far fronte a debiti personali». Successivamente, nel

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