Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21636 del 18/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21636 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Scarfò Giuseppe, nato a Taurianova il 28/05/1976;
avverso la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Lodi del 13/07/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo che il
ricorso sia rigettato.

RITENUTO IN FATTO

1. Scarfò Giuseppe ricorre avverso la sentenza, in data 13/7/2015,
del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lodi, con la quale, gli è
stata applicata la pena, concordata tra le parti, ex art. 444 cod. proc. pen.,
di anni quattro di reclusione ed C 1.400,00 di multa, per i reati a lui ascritti
di cui agli artt. a) 110, 628 comma 2 n. 1 cod. pen., b) 110, 605, 61 n. 2
cod. pen., c) 61 n. 2 110, 4 legge n. 895 del 1967 ed è stata disposta la
confisca e la destinazione al fondo unico di giustizia del denaro sequestrato
all’imputato, e, chiedendone l’annullamento.

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Data Udienza: 18/05/2016

Deduce:
1. violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla
disposta confisca sotto la prova del necessario vincolo di
pertinenzialità fra la somma oggetto della confisca ed il reato
commesso;
2.

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’entità della
pena applicata.

1. Il primo motivo, inerente la confisca del denaro, è infondato.
La sentenza impugnata contiene un’adeguata motivazione in ordine
alla pertinenzialità del denaro sequestrato presso l’abitazione dell’imputato
con i reati accertati a carico dello stesso, facendo riferimento, con
considerazioni in fatto prive di contraddittorietà o di illogicità manifesta,
all’assenza di valide giustificazioni ed alle rilevate modalità anomale di
custodia del denaro.

2.

Il secondo motivo, inerente l’entità della pena applicata, è

manifestamente infondato.
Deve rilevarsi che la richiesta di applicazione della pena e l’adesione
alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un negozio di natura
processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice che ne
ha accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, sicché la
parte che vi ha dato origine, o vi ha aderito e che ha così rinunciato a far
valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in sede di
ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti alla sua congruità
della pena, o alla mancata concessione di benefici in contrasto con
l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali sono addivenute.
(Cass. Sez. 3 n. 18735 del 27.3.2001, Rv. 219852).
Con specifico riferimento al calcolo della pena, deve ritenersi, in
linea con l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio (Cass. Sez.
4 n. 1853 del 17/11/2005, Rv. 233185 ; sez. 3 n. 28641 del 28/5/2009,
Rv. 244582), che l’accordo si formi, non tanto sulla pena inizialmente
indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata,
bensì sul risultato finale che consegue alle suddette operazioni. Pertanto
eventuali errori di calcolo commessi, come nel caso di specie, nel

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CONSIDERATO IN DIRITTO

determinare la sanzione concordata ed applicata dal giudice possono
assumere rilevenza in sede di legittimità soltanto ove si traducano
nell’applicazione di una pena illegale, il che non è avvenuto.

3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc.
pen., la condanna dell’imputato che lo ha proposto al pagamento delle

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, il 18/05/2016

spese del procedimento.

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