Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21630 del 12/12/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21630 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
LECCI Francesco, nato a Mordano di Leuca (Le) il 8 marzo 1949;
RENNA Giuseppe nato a Morciano di Leuca (Le) il 14 maggio 1952;

avverso la sentenza n. 470 della Corte di appello di Lecce del 13 marzo 2017;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gabriele
MAZZOTTA, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei
ricorsi.

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Data Udienza: 12/12/2017

RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 13 marzo 2017, ha
riformato, quanto alla qualificazione giuridica del reato loro contestato ed alla
entità della pena inflitta, la decisione con la quale il precedente 3 dicembre
2014 il Tribunale di Lecce aveva dichiarato la penale responsabilità di Lecci
Francesco e di Renna Giuseppe, nelle rispettive qualità di tecnico incaricato di
presentare la documentazione per il rilascio di un permesso costruire e di

attestato falsamente nella relazione paesaggistica riguardante la predetta
pratica la compatibilità ambientale dell’intervento in questione.
Nel riformare la sentenza del giudice di primo grado la Corte salentina ha
riqualificato il fatto da violazione dell’art. 479 cod. pen. in violazione dell’art.
480 del medesimo codice, sulla base del rilievo che l’atto con il quale era stata
falsamente attestata la predetta compatibilità ambientale non era prodromico
al rilascio di un atto concessorio ma solamente ad una certificazione ovvero ad
una autorizzazione.
La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto la falsità della relazione, la cui
funzione sarebbe di carattere asseverativo, in quanto in essa è stata
affermata la conformità della volumetria dell’intervento edilizio richiesto alle
disposizioni vigenti, sebbene la determinazione della sua entità sia il frutto
dell’avvenuto accorpamento illegittimo della volumetria assentibile di due
distinti e distanti lotti di terreno aventi diversi indici di fabbricazione, ciò in
contrasto con la normativa in termini appunto di cessione di cubatura.
Avverso detta sentenza hanno interposto ricorso per cassazione sia il
Lecci che il Renna, con separati atti.
Il primo ha articolato 5 motivi di ricorso.
Il primo di essi attiene alla mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della sentenza nonché erronea applicazione della legge penale in
punto di valutazione dell’istituto della cessione di cubatura; il ricorrente ha
intanto contestato la vigenza nell’ordinamento regionale pugliese dell’art. 51,
lettera g), della legge regionale n. 56 del 1980 che tale istituto, pur in limitati
ambiti, ha regolamentato; la intervenuta inefficacia di tale normativa avrebbe
fatto venire meno, secondo il ricorrente, anche le limitazioni alla sua
applicabilità; sulla base della residua normativa, costituita da disposizioni di
carattere nazionale e da disposizioni locali in materia di gestione edilizia del
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funzionario comunale che il predetto permesso aveva rilasciato, per avere

territorio, la ritenuta illegittimità dell’intervento richiesto non sussisterebbe,
per cui l’atto con il quale ne è stata attestata la regolarità non sarebbe falso.
In secondo luogo il ricorrente ha dedotto la mancanza di motivazione in
ordine ad una eccezione formulata in sede di gravame relativa ad un ritenuto
difetto di correlazione fra la contestazione ed il fatto accertato; in particolare,
mentre la contestazione ha ad oggetto la predisposizione e la presentazione
della relazione paesaggistica la sentenza di primo grado ha condannato il

Il terzo motivo di impugnazione concerne il vizio di motivazione in ordine
alla dedotta assenza di dolo, essendo la condotta del Lecci giustificata ora da
un errore sul fatto era dalla esistenza di un diffusa prassi indirizzata nel
senso da lui indicato nell’atto che si assumerebbe essere falso.
E’ ancora dedotta la illegittimità della sentenza nella parte in cui è stata
rigettata la richiesta di messa alla prova del Lecci, ai sensi dell’art. 168-bis
cod. pen.; osserva, infatti, il ricorrente, come sia irragionevole il rigetto della
richiesta per la sua ritenuta intempestività, ove si rifletta sul fatto che la
stessa è stata resa possibile solo a seguito della avvenuta derubricazione del
reato contestato da violazione dell’art. 479 cod. pen. a violazione dell’art. 480
cod. pen., posto che la originaria contestazione non la avrebbe consentita
data l’entità della pena per essa prevista.
E’, infine, stata contestata la motivazione della sentenza impugnata
quanto alla entità del trattamento sanzionatorio irrogato in particolare con
riferimento alla mancata concessione della attenuanti generiche.
Il Renna, a sua volta ha articolato quattro motivi di censura; il primo, che
ribadisce per larghi tratti l’analoga censure presentata dal Lecci, concerne la
ritenuta violazione di legge per avere i Giudici del merito fondato la
responsabilità dell’imputato sulla ritenuta vigenza dell’art. 51, lettera g), della
legge regionale della Puglia n. 56 del 1980; tale disposizione avrebbe cessato
di essere efficace e, pertanto, la illegittimità dell’intervento edilizio, la cui
regolarità sarebbe stata invece asseverata con l’atto che si assume essere
falso, non sussisterebbe; né tale illegittimità sussisterebbe in base agli altri
parametri di regolarità della figura della cessione di cubatura ritenuti
necessari dalla giurisprudenza di questa Corte.
E’, altresì, stata eccepita la insussistenza in capo al Renna del reato a lui
contestato. Posto che egli non aveva alcun dovere di verificare la
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Lecci in relazione a specifiche attestazioni.

corrispondenza al vero di quanto dichiarato dal tecnico di parte nella sua
relazione di compatibilità paesaggistica, egli non può rispondere del fatto che
abbia dato credito a quanto contenuto nella relazione redatta dal coimputato.
D’altra parte l’atto in questione, in quanto non destinato a provare alcunché,
non era suscettibile di essere qualificato falso in quanto semmai espressivo di
un giudizio.
Con il terzo motivo il ricorrente ha, in ogni caso, contestato il giudizio di

assentibili dei due lotti di terreno indicati nella relazione paesaggistica che si
assume essere falsa; invero non sussisterebbero elementi per sostenere che i
predetti lotti non fossero fra loro prossimi, si sa solo che non sono confinanti,
mentre gli stessi sarebbero caratterizzati, oltre che da una medesima
destinazione urbanistica, da un medesimo indice di edificabilità, sicché non
sarebbe stata dimostrata la sussistenza degli elementi caratteristici della
illegittimità della operazioni di cessione di cubatura che sta sullo sfondo della
intera vicenda.
Il quarto motivo di impugnazione concerne la pretesa omessa motivazione
sulla eccezione di prescrizione del reato contestato formulata dal difensore del
Renna in esito alla discussione di fronte alla Corte di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e vanno pertanto rigettati.
Ritiene opportuno il Collegio esaminare prioritariamente il motivo di
impugnazione, comune ai due ricorsi, avente ad oggetto la questione relativa
alla perdurante vigenza nell’ambito dell’ordinamento giuridico regionale
pugliese dell’art. 51, lettera g), della legge regionale della Puglia n. 56 del
1980 e della eventuale ricaduta che la abrogazione di questa legge avrebbe in
ordine alla rilevanza penale della condotta attribuita i due imputati.
Osserva, al riguardo, il Collegio che la presente questione si inserisce in
un nutrito filone giurisprudenziale, originato da una certa prassi
amministrativa invalsa in taluni Comuni del Salento, concernente proprio la
applicazione dell’istituto della “cessione di cubatura”, nell’ambito del quale è
dato riscontrare un saldo orientamento interpretativo, confermato oramai da
diverse decisioni.
Come è stato, infatti, rilevato da questa Corte, per quanto riguarda le
modalità applicative dell’istituto della cessione di cubatura e la vigenza del
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illegittimità relativo alla operazione di accorpamento fra le volumetria

citato art. 51 della legge regionale della Puglia n. 56 del 1980, già è stato
chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale
pugliese n. 1748 del 15 dicembre 2000, il Piano urbanistico territoriale
tematico per il paesaggio, si è verificata, una volta entrato in vigore
quest’ultimo, la clausola risolutiva espressa della efficacia della predetta
disposizione legislativa (cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 27
febbraio 2015, n. 8635).

impugnata, non è tuttavia tale, come peraltro segnalato anche dalla stessa
Corte salentina, da rendere legittimo l’avvenuto accorpamento delle cubature
riferite ai fondi interessati dalla presente vicenda e posto a presupposto
dell’atto di cui al capo di imputazione contestato ai prevenuti.
Giova, infatti, al riguardo precisare, in tal modo ricalcando, in quanto
ampiamente e convintamente condivise, le conclusioni cui questa Corte è
pervenuta in precedenti analoghi procedimenti, come ciò non comporti la
legittimità della cessione di cubatura tra fondi agricoli non confinanti, con
indici di fabbricabilità diversi, sicché, in assenza dei presupposti sopra indicati,
permane la non conformità alla vigente normativa dell’intervento urbanistico
che realizzi una volumetria non consentita in zona agricola sebbene lo stesso
risulti assentito da titolo autorizzativo e da autorizzazione paesaggistica (in tal
senso, di recente, Corte di cassazione, Sezione III penale, 17 novembre 2017,
n. 52605; idem Sezione III penale, 18 luglio 2017, n. 35166; le quali, a loro
volta, si rifanno alla già citata Corte di cassazione, Sezione III penale, 27
febbraio 2015, n. 8635).
Applicando, pertanto, i suddetti principi si rileva, con riferimento al caso
ora in esame, conformemente a quanto accertato in punto di fatto in sede di
merito, che l’intervento edilizio in relazione al quale è stato rilasciato l’atto
della cui falsità si discute prevedeva la realizzazione di un fabbricato per civile
abitazione in campagna su di un fondo tipizzato nei vigenti strumenti
urbanistici come verde agricolo in fascia costiera, avente un indice di
fabbricabilità pari a 0,01 metri cubi per metro quadrato, mediante
l’accorpamento con altro fondo avente, oltre che una tipizzazione diversa – si
trattava infatti di verde agricolo (ubicato cioè in zona non costiera e, quindi,
morfologicamente difforme) – anche un indice di fabbricabilità assai più
vantaggioso, il che aveva comportato la progettazione di una struttura avente
una cubatura palesemente esorbitante rispetto a quella che sarebbe stato
possibile realizzare in base alle volumetrie assentibili in assenza
5

Tale assunto, sebbene disatteso dalla Corte territoriale nella sentenza

dell’accorpamento ovvero in caso di accorpamento fra terreni omogenei;
peraltro, va segnalato, conformemente a quanto accertato in sede di merito,
che l’intervento edilizio in questione non risultava finalizzato alla realizzazione
di un’opera correlata alla attività agricola, come da vocazione del terreno ove
essa doveva insistere, ma avente tutt’altra destinazione.
Con riferimento al secondo motivo di impugnazione presentato dal Lecci,
concernente il ritenuto vizio di omessa motivazione in ordine ad una eccezione

contestato ed il fatto accertato dal giudice di primo grado, rileva il Collegio
che siffatto motivo di impugnazione è inammissibile.
A tale proposito va segnalato che, invero, questa Corte ha chiarito come
sia affetta da carenza di interesse la impugnazione con la quale sia stata
censurata la sentenza del giudice del gravame nella quale questi abbia
omesso di prendere in considerazione un motivo di appello che era ab origine
inammissibile in quanto manifestamente infondato, posto che l’eventuale
accoglimento della doglianza non comporterebbe sostanzialmente alcun
effetto favorevole nei confronti dell’impugnante, la cui censura, sebbene non
espressamente valutata, sarebbe comunque destinata a non essere accolta
nell’eventuale giudizio di rinvio (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 2
dicembre 2015, n. 47722; idem Sezione II penale, 11 marzo 2015, n. 10173,
in fattispecie in cui era stata dedotta di fronte alla Corte di appello proprio la
violazione dell’art. 522 cod. proc. pen.).
Nel caso in esame, valutando incidentalmente la censura formulata dal
ricorrente di fronte alla Corte di appello, va ricordato che per fatto nuovo deve
intendersi un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia
un episodio storico che si aggiunge a quello contestato, affiancandolo quale
indipendente

thema decidendum,

trattandosi di un accadimento

naturalisticamente e giuridicamente autonomo rispetto al precedente (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 17 novembre 2017, n. 52605); nel presente
caso, invece, per come è chiaro dal tenore del capo di imputazione elevato nei
confronti del Lecci, a questo è contestata la predisposizione, in quanto tecnico
progettista dei lavori da eseguire, degli atti strumentali alla redazione
dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata, sulla base della falsa attestazione
della compatibilità ambientale degli interventi in questione resa dal Lecci; si
tratta pertanto di fatti non diversi, nel loro sostanziale contenuto naturalistico,
da quelli dichiarati e, semmai solo specificati nella sentenza di primo grado.

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formulata in sede di gravame e relativa alla assenza di correlazione fra il fatto

Quanto al terzo motivo di impugnazione dedotto dal Lecci, e relativo alla
ritenuta carenza di dolo nel suo comportamento, in quanto lo stesso era
conforme ad una diffusa prassi invalsa nel Comune di Morciano di Leuca,
osserva il Collegio che il reato accertato, consistente nella violazione dell’art.
480 cod. pen., è reato caratterizzato, sotto il profilo dell’elemento soggettivo,
dalla mera sussistenza del dolo generico, consistente nella consapevolezza di
rilasciare una dichiarazione dal contenuto non veritiero, essendo irrilevanti le

ottobre 2014, n. 41172), né può essere trovata una ragione tale da
giustificare il comportamento del prevenuto nella esistenza di una prassi
amministrativa locale, evidentemente contra legem, atteso che un siffatto
argomento non può costituite elemento discriminante fra le condotte lecite ed
illecite (in ordine alla irrilevanza scriminante delle prassi contra legem:

Corte

di cassazione, Sezione III penale, 28 luglio 2016, n. 33039; idem Sezione VI
penale, 28 settembre 2007, n. 35813).
Riguardo al rigetto di rimessione in termini ai fini della richiesta di messa
alla prova, questione che ha formato l’oggetto del quarto motivo di doglianza
del Lecci, rileva questa Corte che del tutto correttamente la Corte territoriale
ha disatteso la richiesta formulata dal prevenuto, posto che una siffatta
richiesta non può essere formulata in sede di giudizio di gravame (Corte di
cassazione, Sezione IV penale, 26 ottobre 2015, n. 43009), né è consentito
ritenere che ad una tale conclusione possa pervenirsi in sede interpretativa,
laddove, come prospettato dal ricorrente, la relativa opportunità si sia
prospettata solo a seguito della ipotizzata derubricazione del reato
originariamente contestato, posto che la dimensione eminentemente
processuale dell’istituto della sospensione del giudizio per la messa alla prova
e la ampia discrezionalità che al legislatore compete nel modulare,
temporis,

ratione

gli ambiti di operatività nei nuovi istituti processuali non

giustificherebbe, sotto il profilo della sua stretta necessità ai fini della tutela di
eventuali superiori valori costituzionalmente inderogabili, il ricorso una siffatta
interpretazione avente un palese contenuto innovativo.
Infine, quanto alla posizione del Lecci, per ciò che attiene al trattamento
sanzionatorio ed in particolare alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, va osservato che, per un verso, il complessivo trattamento è
contenuto in misura prossima al minimo edittale, di tal che l’onere
motivazionale in ordine alla sua adeguatezza è soddisfatto anche attraverso il
riferimento ad un criterio di congruità retributiva (Corte di cassazione, Sezione
H penale, 21 luglio 2017, n. 36104), mentre, per altro verso, la non
7

ragioni per le quali ciò sia avvenuto (Corte di cassazione, Sezione V penale, 3

meritevolezza della attenuanti generiche è stata, adeguatamente desunta dal
ricorrente dalla particolare intensità del dolo, quale è dimostrata dal fatto che,
sebbene caratterizzato da una specifica competenza tecnica nella materia
edilizia e della relativa normativa ad essa connessa, il prevenuto non si è
sottratto alla commissione del reato a lui ascritto.
Passando ai restanti motivi di impugnazione formulati dalla difesa del
Renna – essendo stato il primo già esaminato congiuntamente a quello, di

dedotta col secondo motivo di impugnazione del Renna ha, già in passato,
formato oggetto di valutazione da parte di questa Corte nei precedenti
giudizi % che hanno visto l’attuale ricorrente implicato in vicende in tutto
sovrapponibili, per quanto ora interessa, alla presente; è, pertanto, il caso di
richiamare tali decisioni (per tutte si veda: Corte di cassazione, Sezione III
penale, 17 novembre 2017, n. 57108).
Va, perciò, osservato come questa Corte abbia già avuto occasione di
rilevare che, secondo l’orientamento preponderante e risalente della sua
giurisprudenza, il provvedimento con il quale la pubblica amministrazione
rilascia un permesso a costruire, anche in sanatoria, rientra nella categoria
concettuale delle autorizzazioni amministrative (così, fra le altre: Corte di
cassazione, Sezione V penale, 26 settembre 2001, n. 34815; idem, Sezione V
penale, 7 settembre 1999, n. 10524; idem, Sezione V penale, 9 maggio 1991,
n. 5160), tanto che, è stato ripetutamente rilevato che l’eventuale falsità
ideologica di tale genere di provvedimento non è fatto idoneo ad integrare il
reato di cui all’art. 479 cod. pen. (id est: falsità ideologica commessa dal
pubblico ufficiale in atti pubblici), potendo, semmai, comportare la violazione
dell’art. 480 cod. pen.

(id est: falsità ideologica commessa dal pubblico

ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative) (Corte di cassazione,
Sezione III penale, 11 luglio 2014, n. 30560; idem Sezione V penale, 20
giugno 2006, n. 21209; così, in linea di principio, anche:

idem, Sezione

Feriale, 27 agosto 2004, n. 35578).
Correttamente, quindi, la Corte salentina ha, in linea di principio,
provveduto alla derubricazione del reato contestato al Renna.
Si tratta ora di vedere se, diversamente da quanto ritenuto dal
ricorrente, nella condotta tenuta dall’imputato sono ravvisabili gli estremi del
reato a lui ascritto.

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analogo contenuto, proposto dal Lecci – osserva il Collegio che la questione

Ribadito che il rilascio del permesso a costruire da parte della autorità
comunale integra una fattispecie di emissione di un provvedimento a carattere
autorizzatorio, si deve convenire che la sua adozione, sulla base di una
rappresentazione della realtà consapevolmente non rispondente al vero,
integra gli estremi del reato contestato al prevenuto.
Ma lo stesso deve rilevarsi anche con riferimento alla autorizzazione
paesaggistica, prodromica al rilascio del nulla osta da parte della competente

attività possa convenirsi con quanto affermato dal ricorrente, cioè che con la
adozione del predetto atto il pubblico dipendente si limiti ad esprimere una
“valutazione” ovvero un “giudizio”, categoria concettuale alla quale non può
ritenersi pertinente la attribuzione del predicato in termini di “vero” o “falso”
ma, semmai, nei diversi termini di “giusto” o “sbagliato”.
Come, infatti, questa Corte ha rilevato in materia di falso ideologico in
atto pubblico (ma lo stesso deve intendersi valere anche in caso di falso
ideologico in certificazione od in autorizzazione), nel caso in cui il pubblico
ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei
criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come
tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità
di alcun fatto; diversamente, ove l’atto da compiere faccia riferimento, anche
implicito, a previsioni normative che dettino criteri di valutazione si è in
presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione
ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri
predeterminati, sicché l’atto potrà risultare falso se detto giudizio di
conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è implicitamente
vincolato (Corte di cassazione, Sezione feriale, 2 ottobre 2015, n. 39843).
Nel caso in questione il Renna, nell’esprimere in termini di positività la
autorizzazione paesaggistica, ha evidentemente formulato un giudizio di
conformità dell’intervento edilizio per il quale era stata presentata la richiesta
del permesso a costruire agli strumenti edilizi esistenti nel Comune di
Morciano di Leuca; giudizio che, per essere stato espresso in base alla
rispondenza di detto intervento ad oggettivi e preesistenti criteri normativi,
trascende rispetto alla categoria “valutazione” per accedere, stante, appunto,
la spendita per la sua espressione di una opzione caratterizzata dalla
discrezionalità tecnica, alla diversa categoria della verifica oggettiva.
In tal senso la eventuale consapevole mendace affermazione della
conformità di tale intervento ad un prefissato criterio normativo di riferimento
9

Sopraintendenza; non ritiene, infatti, il Collegio che riguardo alla predetta

integrerebbe gli estremi del falso ideologico che, se funzionale al rilascio di
una certificazione ovvero di una autorizzazione, come è il caso in esame,
costituirebbe violazione dell’art. 480 cod. pen.
Quanto al caso di specie siffatta consapevolezza è stata ritenuta proprio
sulla base del fatto che la attestazione della conformità agli strumenti
urbanistici vigenti nel Comune di Morciano di Leuca dell’intervento edilizio
richiesto è stata il frutto di una palese violazione di legge in quanto originata

aventi indici di fabbricabilità fra loro non omogenei, in tal modo stravolgendo
la logica stessa dell’istituto, il quale presuppone, come questa Corte ha già
ampiamente dimostrato in alcune sue precedenti decisioni di cui si è dato,
peraltro, già ampio cenno (cfr: Corte di cassazione, Sezione III penale 25
giugno 2015, n. 26714; idem Sezione III penale, 27 febbraio 2015, n. 8635),
la reciproca fungibilità sotto il profilo della loro potenzialità edificatoria dei lotti
oggetto del trasferimento di cubatura.
Né può sostenersi che la condotta del Renna non sia stata assistita da
un adeguato elemento psicologico, non avendo egli la consapevolezza della
violazione della norma da cui deriva l’abuso, essendosi egli attenuto, nel
ritenere la conformità del predetto intervento alla rilevante normativa di
settore, ad una prassi amministrativa ampiamente applicata nel Comune
presso il cui Ufficio tecnico egli presta servizio.
Infatti, in più occasione, come in parte già segnalato dianzi, la Corte ha
avuto il modo di chiarire, anche in fattispecie sostanzialmente identiche alla
presente, che non è escluso l’elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio
allorquando una prassi diffusa si sia inserita in un contesto giuridico
amministrativo, se non contrario, incerto in ordine alla possibilità di realizzare
l’attività contestata, dovendo il pubblico dipendente, o comunque la persona
addetta ad un pubblico servizio, astenersi dal porre in essere comportamenti
dubbi e procedere, invece, ad acquisire dai competenti organi amministrativi
le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità dell’attività
svolta, in modo da adempiere a quell’onere informativo che può rendere
scusabile l’errore sulla legge penale (Corte di cassazione, Sezione III penale
28 luglio 2016, n. 33039; idem, Sezione VI penale, 28 settembre 2007, n.
35813).
Riguardo al terzo motivo di impugnazione presentato dal Renna,
premessa la rilevata disomogeneità, sia normativa che territoriale, fra i lotti di
terreno oggetto della operazione di accorpamento ai fini della sommatoria
10

dalla ritenuta possibilità di procedere alla cessione di cubatura fra terreni

della relativa cubatura edificabile, va rilevato che indubbiamente al Renna,
stante la sua funzione nell’ambito dell’Ufficio tecnico del Comune di Morciano
di Leuca, competeva l’onere di verificare la corrispondenza al vero di quanto
dichiarato dal progettista dei lavori in occasione della richiesta di rilascio dei
prescritti strumenti amministrativi autorizzatori.
Quanto, infine, all’ultimo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la
censurata omessa motivazione da parte della Corte territoriale in relazione

considerazioni riportate dianzi in ordine alla censura di omessa motivazione
formulata dal ricorrente Lecci; la evidente infondatezza della questione invero il reato contestato, commesso in data 23 dicembre 2009, sarebbe stato
destinato ad estinguersi per prescrizione, tenuto conto degli eventi interruttivi
della prescrizione e dei fattori, costituiti da due rinvii nella trattazione del
giudizio ad istanza di parte, che ne hanno comportato la sospensione del
corso per complessivi 182 giorni, solo il prossimo 22 dicembre 2017, quindi
assai dopo la emissione della sentenza impugnata — rende irrilevante la
omessa pronunzia della Corte territoriale sul punto.
Al rigetto dei ricorsi fa seguito, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2017

alla dedotta intervenuta prescrizione del reato ascritto, valgono le stesse

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