Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21618 del 19/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21618 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: FILIPPINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANGIERI MICHELANGELO N. IL 16/01/1934
FERRARO GIUSEPPE N. IL 20/04/1950
SPASARO CARMELO FELICE N. IL 22/04/1953
avverso la sentenza n. 1095/2015 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO FILIPPINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 05
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Data Udienza: 19/05/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 15.6.2015, la Corte di appello di Napoli in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Noia del 7.7.2014 emessa nei
confronti di ANGIERI Michelangelo, FERRARO Giuseppe e SPASARO Carmelo
Felice, dagli stessi impugnata, escludeva la circostanza aggravante di cui
all’art. 7 della legge 203/1991 in relazione al solo delitto di usura in danno di
lovane Luigi Michele (ascritto ai primi due ricorrenti al capo 1) del p.p. n.

creditizia di cui al capo 5 del medesimo procedimento (artt. 110, 61 n. 6,
c.p., 132 d. Lvo 385/1993) ascritto al primo e terzo ricorrente, e riduceva la
pena nei confronti del solo Spasaro ad anni uno mesi sei di reclusione ed
euro 3.000,00 di multa. Confermava nel resto l’impugnata sentenza
(mantenendo ferme le pene di anni 8 di reclusione ed € 35.000,00 di multa
per Angieri Michelanelo e anni 4 ed € 6.000,00 di multa per Ferraro
Giuseppe) e, per l’effetto, condannava il solo Ferraro Giuseppe al pagamento
delle spese processuali del secondo grado di giudizio. Condannava altresì gli
imputati alla rifusione delle spese sostenute del secondo grado .
2.

In primo grado il Tribunale di Noia aveva dichiarato l’ANGIERI

Michelangelo colpevole del reato di usura di cui al capo A n.1) contestato
nell’ambito del p.p. n. 40159/2011 ed, esclusa l’aggravante di cui all’art.
644, comma 5, n. 4, c.p. in relazione al reato di cui al capo 1) del p.p. n.
54972/11, esclusa altresì la continuazione tra le singole condotte estorsive di
cui al capo 2) dell’imputazione relativa a detto ultimo procedimento e tra le
singole condotte estorsive di cui al capo b) dell’imputazione relativa al p.p.
n. 40159/2011, riconosciute le ulteriori circostanze aggravanti e la recidiva,
unificati i reati di cui ai capi 1 (usura), 2 (tentata estorsione), 5 (abusiva
attività finanziaria) contestati nell’ambito del p.p. n. 54972/11, nonché i
reati di usura di cui al capo A, numeri 2) e 3), e di tentata estorsione di cui
al capo B, contestati nell’ambito del p.p. n. 40159/2011 nel vincolo della
continuazione, lo condannava alla pena di anni otto di reclusione ed euro
35.000,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Dichiarava FERRARO Giuseppe colpevole del reato di tentata estorsione a lui
ascritto al capo 2, esclusa la continuazione tra le singole condotte descritte
ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2, c.p. e, con le aggravanti e la
contestata recidiva, lo condannava alla pena di anni quattro di reclusione ed
euro 6.000,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Dichiarava SPASARO Carmelo Felice colpevole del reato di abusiva attività

1

54972/11), nonché in relazione al reato di esercizio abusivo di attività

finanziaria a lui ascritto e, con le contestate aggravanti, lo condannava alla
pena di anni due di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, oltre che al
pagamento delle spese processuali. Dichiarava Angieri Michelangelo e
Ferraro Giuseppe interdetti dai pp.uu. per la durata di anni cinque, ed
Angieri Michelamgelo incapace di contattare con la RA. pei la durata di anni
uno. Condannava gli imputati al risarcimento dei danni nei confronti delle
costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede. Assolveva Angieri

40159/2011 perché il fatto non sussiste e Ferraro Giuseppe dal reato a lui
ascritto al capo 1 dell’imputazione relativa al p.p. n. 54972/2011 per non
aver commesso il fatto.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso gli imputati per mezzo del loro
difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
3.1. Quanto a SPASARO Carmelo Felice, imputato del solo reato di esercizio
abusivo di attività creditizio – finanziaria, per il quale in appello è stata
ridotta la pena esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 7 della legge
203/1991, il difensore lamenta:
3.1.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110
c.p., 61 n. 6 c.p. e 132 del D.

L. vo n. 385/1993, con particolare

riferimento a: -nella fattispecie difettano i presupposti di legge per
configurare il concorso dello Spasaro nel reato di esercizio abusivo del
credito, avendo egli concesso un solo prestito senza interessi di € 1.200,00
al Fusco senza conoscere il ruolo al riguardo svolto da Agieri Agostino e
Angeli Augusto mentre, in ordine alla vicenda legata al Vuoccolo, si
lamenta travisamento della prova poiché quest’ultimo, nell’interrogatorio
del 17.3.2014 ha indicato l’Angieri quale autore del prestito, al quale lo
Spasaro ha solo assistito come spettatore, essendo presente ai fatti solo
perchè interessato ad un acquisto di maiali ; – insussistente è l’aggravante
comune dell’art. 61 n. 6 c.p. ( l’avere il colpevole commesso il reato
durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un
mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito
per un precedente reato) dal momento che non ne sussistono con evidenza
i presupposti; – difettano pure i presupposti del reato di esercizio abusivo
dell’attività creditizia, posto che questa ricorre solo quando si svolge
attività rivolta verso il pubblico e non quando si fa un prestito ad un amico.
3.1.2 violazione di legge in relazione all’art. 335 c.p.p. e vizio di
motivazione poiché il giudice di appello non ha inteso accedere ai motivi

Michelangelo dal reato a lui ascritto al capo A n. 1 nell’ambito del p. p. n.

attinenti le ordinanze del 20.1.2014 sull’eccezione dibattimentale della
nullità del decreto di citazione a giudizio recante la contestazione
dell’aggravante di cui all’art. 7 del DL 213/1991, nonostante che il
Tribunale del riesame la avesse esclusa.
3.1.2 eccessività della pena a fronte della esclusione dell’aggravante ex art.
7 citato, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la mancata
sospensione della pena.

al capo 2 del p.p. n. 54972/11 , si lamenta:
3.2.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata
esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 citato (escluso dal giudice di
appello solo in relazione al reato di usura, non per la tentata estorsione),
posto che la frase asseritamente minacciosa pronunciato dall’imputato nei
confronti dello Iovane, relativa al fatto di avere problemi e un figlio
carcerato, non avrebbe avuto alcuna valenza intimidatoria, come
riconosciuto dallo stesso Iovane a dibattimento, e l’errore del giudice di
appello è dovuto ad un erroneo collegamento tra quella frase e gli episodi
inerenti Angieri Augusto; difetta la prova della finalità agevolatrice di clan
camorristici e dell’esercizio di metodi mafiosi; la mancata assunzione di
prova contraria ex art. 507 c.p.p. (relativamente ai lavoratori presso la
casa dello Iovane e a Angieri Raffaella), in riferimento agli artt. 192 e 193
c.p.p., ha impedito alla difesa di dimostrare l’insussistenza del reato di
usura, ravvisandosi invece un esercizio arbitrario di ragioni, nonché
l’estraneità rispetto al clan Cava;
3.2.2 vizio di motivazione in relazione alla ritenuta aggravante delle più
persone riunite (art. 628, comma 3, n. 1), concetto che differisce dal
concorso di persone, posto che i correi, almeno due, debbono essere
presenti nel luogo ove si commette il reato, aspetto carente nelle vicende
di causa;
3.2.3 violazione di legge e vizio di motivazione poiché il giudice di appello
non ha inteso accedere ai motivi attinenti le ordinanze del 20.1.2014
sull’eccezione dibattimentale della nullità del decreto di citazione a giudizio
recante la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 del DL 213/1991
nonostante che il Tribunale del riesame la avesse esclusa;
3.2.4 violazione di legge e vizio di motivazione perché la Corte di appello
ha giudicato inammissibili i motivi di appello in punto quantificazione della
pena, bastando invece leggerli per rilevare la censura di mancato rispetto

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3.2. Quanto a FERRARO Giuseppe, in relazione alla tentata estorsione di cui

dei criteri di cui all’art. 63 comma 4 , c.p.(concorso di più aggravanti ad
effetto speciale , ndr) e dell’art. 133 c.p.
3.3. Quanto a ANGIERI Michelangelo (e non Angeli, come erroneamente
indicato nell’intestazione del ricorso), in relazione ai fatti di cui al capo A
n.1 del procedimento n. 40159/2011 e al capo 1 del procedimento n.
54972/2011, rispetto ai quali è stata pronunciata condanna, con esclusione
solo dell’aggravante di cui all’art. 7 citato ma limitatamente ai fatti di usura

l’estorsione, si lamenta :
3.3.1. per il fatto relativo a Iovane Luigi Michele (proc. n. 54972/2011) ,
vizio di motivazione contraddittoria in relazione all’aggravante dell’art. 7,
posto che, se il giudice di appello ha escluso correttamente che il prestito
sia stato effettuato per agevolare l’attività del Clan Cava, è contraddittorio
sostenere che l’estorsione abbia quella finalizzazione, dal momento che la
riscossione di capitale e interessi avviene nell’ambito dello stesso contratto
di concessione del prestito; nella medesima vicenda si lamenta la mancata
assunzione di prova contraria ex art. 507 c.p.p. (relativamente ai lavoratori
presso la casa dello Iovane e a Angieri Raffaella), in riferimento all’art. 187
c.p.p., che ha impedito alla difesa di dimostrare l’insussistenza del reato di
usura, tramite l’escussione dei lavoratori, già ascoltati dalla difesa ex art.
391 bis c.p.p., i quali dovevano riferire sul fatto di essere stati pagati da
Angieri Augusto e non dallo Iovane, sicchè l’azione dell’Angieri non
integrava usura ma ad un prestito lecito. La deposizione di Angieri
Raffaelina invece doveva servire ad escludere l’aggravante dell’art. 7 per il
reato di estorsione, posto che quest’ultima era stata assolta in istruttoria
dall’accusa di essere la referente del clan Cava.
3.3.2. per il fatto relativo a Maraniello Francesco (proc. N. 40159/2011),
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso esame
delle prove indicate nell’atto di appello, trattandosi non di usura ma di
esercizio abusivo di attività creditizia, con esclusione dell’aggravante
dell’art. 644, comma 5 n. 4, come riferito dalla stessa persona offesa
secondo la quale sarebbe stata essa stessa a chiedere di pagare
settimanalmente le somme dovute, pattuendo il 40% di interesse annuo,
ritenendolo un tasso naturale; non vi sarebbe dunque minaccia né
aggravante relativa alle attività commerciali , né estorsione .
3.3.3 per entrambi i procedimenti, violazione di legge e vizio di motivazione
poiché il giudice di appello non ha inteso accedere ai motivi attinenti le

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in danno dello Iovane e di esercizio abusivo dell’attività creditizia, non per

ordinanze del 20.1.2014 sull’eccezione dibattimentale della nullità del
decreto di citazione a giudizio recante la contestazione dell’aggravante di
cui all’art. 7 del DL 2013/1991 nonostante che il Tribunale del riesame la
avesse esclusa.
3.3.3.1 si lamenta infine vizio di motivazione in relazione al trattamento
sanzionatorio, in relazione alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, negate solo per la gravità delle condotte e per i pregiudizi penali

spessore e non si deve tenere conto della particolare odiosità del reato di
usura, bensì adeguare la pena alla reale gravità dei fatti .
Con motivi aggiunti si lamenta la violazione dell’art. 6 della Convenzione
Europea per aver operato una diversa lettura della deposizione della
persona offesa Iovene senza previamente procedere alla rinnovazione del
relativo atto istruttorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati, sia in relazione alle pretese violazioni di legge, sia con riferimento
al vizio di motivazione.
2. Occorre procedere alla disamina analitica dei motivi esaminandoli in
relazione all’imputato ricorrente.
3. Prendendo le mosse dal ricorso dello Spasaro, possono affrontarsi
congiuntamente le censure relative alle pretese violazioni di legge e al
difetto di motivazione, posto che, a ben vedere, le prime sono
manifestamente insussistenti mentre le seconde attengono a valutazioni di
merito che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e
l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24
del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Sakani,
Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
E così segnatamente:
3.1 Quanto alla configurabilità del concorso nel reato di abusiva attività
creditizia, con congrua ed adeguata motivazione la Corte territoriale ha
riconosciuto (cfr. pagina 12) che nell’atto di appello la difesa non ha
contestato che lo Spasaro erogasse prestiti a privati, ma solo che si
trattasse di attività abituale o continuativa. Già la sentenza di primo grado,
a pag. 30, riporta ampiamente gli eventi riferiti dai testi Copersito, Fusco e
Vuoccolo, motivando sulla ragione per la quale il frequente accompagnarsi

5

del reo, posto che i fatti commessi dall’Angieri non sono di particolare

dello Spasaro all’Angieri Augusto costituisse indice dimostrativo della stabile
dedizione all’illecita attività in questione in concorso con Angieri
Michelangelo e Angieri Augusto.
Nella presente sede di legittimità, in assenza di indicazione di elementi
idonei a mettere in crisi il ragionamento del giudice di appello sul materiale
probatorio , la censura deve ritenersi inammissibile.
Peraltro, osserva il collegio che integra il reato previsto dall’art. 132 D.Lgs.

anche di un solo finanziamento in violazione dell’obbligo di iscrizione negli
elenchi di cui agli artt. 106 e 113 dello stesso D.Lgs., non essendo richiesta
una stabile organizzazione nè una specifica professionalità. (cfr., Sez. 2, n.
51744 del 13/12/2013, Rv. 258119).
3.2 Quanto alla insussistenza dell’aggravante comune dell’art. 61 n. 6 c.p.,
effettivamente figurante quale nomen iuris nell’imputazione del capo 5,
rileva il collegio che trattasi di motivo inammissibile posto che non dedotto
con l’atto di appello. Peraltro, trattasi di evidente errore materiale e la
condotta descritta dall’aggravante in parola non risulta, dalla sentenza
impugnata, aver determinato alcun aggravamento di pena, onde difetta
qualsiasi interesse del ricorrente in merito.
3.3 Quanto alla violazione di legge in relazione all’art. 335 c.p.p. il motivo è
manifestamente infondato, avendo già il giudice di appello spiegato le
ragioni per le quali, per giurisprudenza costante di legittimità, alla quale il
collegio aderisce, la modifica della qualificazione giuridica operata dal
giudice in sede di applicazione delle misure cautelari non produce effetti
oltre il procedimento incidentale (Cass., sez. 5, 28.11.2013 , n. 7468 e
Cass., SS.UU., 19/06/1996, n. 16).
3.4 Quanto al tema della eccessività della pena a fronte della esclusione
dell’aggravante ex art. 7 citato, il mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche e la mancata sospensione della pena, rileva il collegio che
l’esclusione dell’aggravante ha comportato una congrua riduzione di pena.
Peraltro, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra
nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133
cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e

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n. 385 del 1993 (esercizio abusivo dell’attività finanziaria) l’erogazione

sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. Sez. 5, sent. n. 5582 del
30/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 259142).
Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche,
la pronuncia può essere legittimamente giustificata con l’assenza di
elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la
modifica dell’art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92,
convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto
della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente

lo stato di incensuratezza dell’imputato (Cass. Sez. 3, sent. n. 44071 del
25/09/2014, dep. 23/10/2014, Rv. 260610).
Quanto, infine alla sospensione condizionale della pena, trattasi di motivo
inammissibile perché in appello è stata richiesta senza alcuna indicazione
delle ragioni giustificative e la mancata pronuncia in quella sede appare
legittima stante l’inammissibilità del motivo di gravame per assoluta
genericità. Invero, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità
originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non
pronuncia in concreto tale sanzione, l’omessa pronuncia al riguardo non
può essere dedotta come motivo di ricorso in cassazione (cfr. Sez. 3, n.
10709 del 25/11/2014, Rv. 262700).
4. Passando ora alla disamina dei motivi di ricorso proposti da FERRARO
Giuseppe, in relazione alla tentata estorsione di cui al capo 2 del p.p. n.
54972/11, anche in questo caso possono affrontarsi congiuntamente le
censure relative alle pretese violazioni di legge e al difetto di motivazione,
posto che, a ben vedere, le prime sono manifestamente insussistenti
mentre le seconde attengono a valutazioni di merito che sono insindacabili
nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia
conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici,
come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794;
Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Sakani, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del
24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
E così segnatamente:
4.1 Quanto alla configurabilità della violazione di legge e del vizio di
motivazione in relazione alla mancata esclusione dell’aggravante di cui
all’art. 7 citato (escluso dal giudice di appello solo in relazione al reato di
usura, non per la tentata estorsione) e alla questione della dimostrazione
della finalità agevolatrice, rispetto all’associazione, delle condotte estorsive,
deve osservarsi che l’aggravante risulta in concreto contestata sia con

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riferimento al metodo mafioso, sia nella modalità della finalizzazione
agevolatrice dell’associazione camorristica. Il giudice di appello, alle pagg.
11 e 12 della sentenza gravata, con motivazione logica e adeguata , spiega
che il Ferraro ha partecipato con Angieri Augusto all’azione estorsiva nei
confronti dello Iovane , che la frequentazione tra i due non era occasionale,
che il Ferraro, come indicato nella sentenza di primo grado, è conosciuto
come autista di Cava Antonio ed è padre di Ferraro Luigi, condannato in

numerosi affiliati al clan Cava .
Come noto, per costante giurisprudenza di legittimità, “per la
configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”,
prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991,
n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza
di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la
minaccia assumano veste tipicamente mafiosa” (Cass. Sez. 2, sent. n. 322
del 02/10/2013, dep. 08/01/2014, Rv. 258103). Circostanza che pare ben
dimostrata nel caso di specie, atteso il clima intimidatorio ben descritto
nell’imputazione e nelle sentenze di merito.
Peraltro, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui
all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, il consapevole consenso, da parte
della vittima del reato, di relazionarsi con un soggetto appartenente ad
un’associazione di stampo mafioso non consente di escludere la sussistenza
dell’aggravante in parola, in quanto ciò che rileva è la forza di intimidazione
derivante dal vincolo associativo, utilizzata dall’autore del reato,
esplicitamente o implicitamente, al momento della condotta delittuosa.
(Fattispecie in tema di usura nella quale la vittima del reato era
consapevole del ruolo di spicco nell’ambito di un sodalizio mafioso del
soggetto erogante il prestito). (Cass. Sez. 2, sent. n. 37516 del
11/06/2013, dep. 13/09/2013, Rv. 256659).
Inoltre, la contestata circostanza aggravante di cui all’art. 7 del d.l. 151/91,
nella forma della finalizzazione agevolatrice del gruppo camorristico, “ha
natura oggettiva e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato, di
guisa che è sufficiente che l’aspetto volitivo – espresso nella norma con il
riferimento al “fine di agevolare” l’associazione mafiosa – sussista in capo
ad alcuni, od anche ad uno soltanto, dei predetti concorrenti nel medesimo
reato” (Cass. Sez. 5, Sent. n. 10966 del 8/11/2012, dep. 8/3/2013, rv.
255206), tanto è vero che la predetta circostanza aggravante “può essere

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appello per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. nel procedimento a carico di

applicata ai concorrenti nel delitto, secondo il disposto dell’art. 59 cod.
pen., anche quando essi non siano consapevoli della finalizzazione
dell’azione delittuosa a vantaggio di un’associazione di stampo mafioso, ma
versino in una situazione di ignoranza colpevole” (Cass. Sez. 2, Sent. n.
51424 del 5/12/2013, dep. 19/12/2013, rv. 258581). Condizione,
quest’ultima, comunque ben evincibile dai dati oggettivi riportati nella
sentenza di appello e sopra richiamati.

asseritamente non idoneo a configurare una minaccia, l’argomento è del
tutto irrilevante, posto che la sentenza ampiamente illustra il contesto nel
quale quell’azione si colloca e la natura concorsuale della responsabilità.
4.3 Quanto alla mancata assunzione di prova contraria ex art. 507 c.p.p.
(relativamente ai lavoratori presso la casa dello Iovane e a Angieri
Raffaella), in riferimento agli artt. 192 e 193 c.p.p., devesi rilevare che
questo motivo di ricorso, per l’imputato in parola, risulta del tutto generico
e non argomentato (cfr. pag. 3 del ricorso), dunque inammissibile.
Peraltro, alla pag. 7 della sentenza di appello i giudici di secondo grado
hanno ampiamente illustrato la genericità della richiesta istruttoria che ne
ha imposto il rigetto.
4.4 Quanto al vizio di motivazione in relazione alla ritenuta aggravante
delle più persone riunite (art. 628, comma 3, n. 1), si rileva che secondo il
ricorrente nel caso di specie difetterebbe l’elemento della contestuale
presenza di almeno due correi. Effettivamente, secondo la giurisprudenza
di legittimità condivisa dal collegio, deve ritenersi che nel reato di
estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite
richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al
momento di realizzazione della violenza o della minaccia. (Cass., sez. 6, n.
50064 del 16/09/2015, Rv. 265657). Tuttavia , nel caso di specie, a
pagina 10 della sentenza di appello si spiega chiaramente, con motivazione
logica ed esaustiva, come alle minacce dell’Angieri Augusto fosse presente
anche l’Angieri Michelangelo e ( cfr. pag. 11) che il primo fosse presente
quando il Ferraro pronunciò la frase a lui ascritta.
4.5 Quanto al motivo di ricorso relativo alla violazione di legge e vizio di
motivazione, poiché il giudice di appello non ha inteso accedere ai motivi
attinenti le ordinanze del 20.1.2014 sull’eccezione dibattimentale della
nullità del decreto di citazione a giudizio recante la contestazione
dell’aggravante di cui all’art. 7 del DL 213/1991 nonostante che il Tribunale

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4.2 Quanto al motivo relativo al contenuto della frase pronunciata,

del riesame la avesse esclusa, già si è sopra argomentato al punto 3.3, al
quale può farsi rinvio.
4.6 Con riferimento alla violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al fatto che la Corte di appello avrebbe giudicato pressoché
inammissibili i motivi di appello in punto quantificazione della pena, deve
invece osservarsi che il giudice di secondo grado, a pag. 12 della sentenza,
ha affrontato il motivo di gravame e ha indicato nel dettaglio le ragioni che

ricorso risulta del tutto generico, richiamando la necessità di determinare la
pena con riguardo al fatto reato, alla pericolosità del soggetto e all’allarme
sociale, circostanze tutte considerate nella sentenza di appello (che
richiama la gravità della condotta, la personalità dell’imputato gravato da
precedenti numerosi e specifici).
5. Passando ora alla disamina dei motivi di ricorso proposti da ANGIERI
Michelangelo, anche in questo caso possono affrontarsi congiuntamente le
censure relative alle pretese violazioni di legge e al difetto di motivazione,
posto che, a ben vedere, le prime sono manifestamente insussistenti
mentre le seconde attengono a valutazioni di merito che sono insindacabili
nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia
conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici,
come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv.
214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Sakani, Rv. 216260; Sez. U. n.
47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
5.1 Giova ricordare che il ricorso dell’imputato in parola è proposto in
relazione ai fatti di cui al capo A n.1 del procedimento n. 40159/2011 e al
capo 1 del procedimento n. 54972/2011, rispetto ai quali è stata
pronunciata condanna, con esclusione solo dell’aggravante di cui all’art. 7
citato ma limitatamente ai fatti di usura in danno dello Iovane e di esercizio
abusivo dell’attività creditizia, non per l’estorsione .
5.2 E così segnatamente:
5.2.1 Quanto alla configurabilità, per il fatto relativo a Iovane Luigi Michele
(proc. n. 54972/2011), del vizio di motivazione contraddittoria in relazione
all’aggravante dell’art. 7, il ricorrente lamenta l’integrazione del vizio in
parola per il fatto che il giudice di appello ha escluso l’aggravante in
relazione all’usura, mentre l’ha ritenuta in relazione all’estorsione.
L’argomento appare del tutto infondato se solo si legge quanto
argomentato dai giudici di appello allorchè, alle pagg. 9, 10 e 11,

10

hanno giustificato la quantificazione della pena; al riguardo, il motivo di

adeguatamente e logicamente spiegano come nel dibattimento non sia
risultata adeguatamente dimostrata, nella fase genetica dell’obbligazione
(cioè nel momento in cui è stato pattuito il prestito e gli interessi), la
presenza di elementi integrativi dell’aggravante in parola. Elementi che,
invece, e con dovizia di dimostrazioni, sono emersi in occasione della
tentata estorsione, laddove è stata adeguatamente argomentata la
presenza del metodo intimidatorio mafioso e dei collegamenti dell’imputato

considerata referente.
5.2.2 Quanto alla violazione di legge per la mancata assunzione di prova
decisiva, con riferimento alla prova contraria ex art. 507 c.p.p.
(relativamente ai lavoratori presso la casa dello Iovane e a Angieri
Raffaella), in relazione all’art. 187 c.p.p., il ricorrente lamenta che ciò
avrebbe impedito alla difesa di dimostrare l’insussistenza del reato di
usura, tramite l’escussione dei lavoratori, già ascoltati dalla difesa ex art.
391 bis c.p.p. (i quali dovevano riferire sul fatto di essere stati pagati da
Angieri Augusto e non dallo Iovane, sicchè l’azione dell’Angieri non
integrava usura ma un prestito lecito; mentre la deposizione di Angieri
Raffaelina invece doveva servire ad escludere l’aggravante dell’art. 7 per il
reato di estorsione, posto che quest’ultima era stata assolta in istruttoria
dall’accusa di essere la referente del clan Cava.
Osserva il collegio che la mancata assunzione di una prova decisiva – quale
motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in
relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma
dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà
essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato
sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei
poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc.
pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione.
(Cass., sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013, Rv. 254974 ed altre precedenti
conformi: N. 4464 del 2000 Rv. 215809, N. 12539 del 2000 Rv. 218171, N.
33105 del 2003 Rv. 226534) .
Peraltro, alla pag. 7 della sentenza di appello i giudici di secondo grado
hanno ampiamente illustrato la genericità della richiesta istruttoria che ne
ha imposto il rigetto.
5.2.3 Quanto alla violazione di legge e difetto di motivazione relativi alla
vicenda del Maraniello Francesco (proc. N. 40159/2011), in relazione

11

con il clan camorristico dei Cava, di cui la sorella dell’imputato era

all’omesso esame delle prove indicate nell’atto di appello, tese a dimostrare
che trattasi non di usura ma di esercizio abusivo di attività creditizia (con
esclusione dell’aggravante dell’art. 644, comma 5 n. 4), il motivo è
manifestamente infondato .
Invero trattasi di mera riproposizione di quanto dedotto in appello senza
considerare l’ampia motivazione spesa al riguardo dal giudice del gravame
che, alle pagg. 8 e 9 della sentenza, richiamando anche le pagg. 35 e 45

individua il tesso usurario e la valenza intimidatoria della complessiva
condotta dell’imputato, precisando, in maniera logica e condivisibile, come
la condotta dell’usura sia integrata dalla pattuizione, necessariamente
bilaterale, dei tassi oltre soglia, e che la condotta minacciosa fosse
connaturata alle espressioni utilizzate e al contesto territoriale.
5.2.4 Della pretesa violazione di legge e vizio di motivazione poiché il
giudice di appello non ha inteso accedere ai motivi attinenti le ordinanze
del 20.1.2014 sull’eccezione dibattimentale della nullità del decreto di
citazione a giudizio recante la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7
del DL 213/1991 nonostante che il Tribunale del riesame la avesse esclusa
già si è detto ai punti 3.3 e 4.5 .
5.2.5 Quanto infine al vizio di motivazione in relazione al trattamento
sanzionatorio, in relazione alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, negate solo per la gravità delle condotte e per i pregiudizi penali
del reo, posto che i fatti commessi dall’Angieri non sono di particolare
spessore e non si deve tenere conto della particolare odiosità del reato di
usura, bensì adeguare la pena alla reale gravità dei fatti, osserva il collegio
che il motivo è manifestamente infondato. Il giudice di appello dedica
ampia e logica motivazione a pag 11 della sentenza alla quantificazione
della pena e indica nella gravità intrinseca delle condotte la ragione del
diniego delle attenuanti generiche.
Per costante giurisprudenza di legittimità, la graduazione della pena, anche
in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze
aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito,
che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile
la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione
della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione

12

della motivazione del primo grado, analiticamente ricostruisce la vicenda,

(Cass. Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv.
259142).
Inoltre, questa Suprema Corte ha più volte affermato che ai fini
dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis
c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è
necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che
specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio

230691).
Del resto, sempre secondo i principi di questa Corte – condivisi dal Collegio
– ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego
della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a
prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato,
essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere
discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative
alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi
dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna degli imputati che lo hanno
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C
1.500,00 per ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di C 1.500,00 alla
Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 maggio 2016

Il Presidente

Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv.

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