Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21614 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21614 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• CONGEDO Fabio, nato a Parretruy (Svizzera) il giorno 23/7/1975
avverso la sentenza n. 1147 in data 22/6/2015 della Corte di Appello di Lecce;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Andrea STARACE in sostituzione dell’Avv.
Carlo CONGEDO, che ha concluso riportandosi al ricorso del quale ha chiesto
l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 22/6/2015 la Corte di Appello di Lecce ha confermato la
sentenza delU’,22 Tribunale in data 16/5/2012 con la quale CONGEDO Fabio
era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione continuata di alcuni
assegni bancari provento dei reati di furto o di appropriazione indebita di cose
smarrite e, concesse le circostanze attenuanti generiche, condannato a pena
ritenuta di giustizia. Il più risalente nel tempo dei fatti in contestazione risale ad
epoca successiva e prossima al 15 maggio 2006.

Data Udienza: 10/05/2016

Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo con motivo unico violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen. in relazione all’art. 54 cod. pen. nonché vizi di motivazione ex
art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. anche sotto il profilo del
travisamento della prova.
Si duole la difesa del ricorrente del fatto che la sentenza impugnata sarebbe
errata ed illogica nel punto in cui non ha riconosciuto all’imputato la scrinninante

emerso che il CONGEDO, vittima di usura posta in essere da CHEZZI Valerio, fu
costretto ad agire a seguito delle gravissime minacce ricevute dallo stesso
CHEZZI e da CAPOCCIA Oronzo, noto pregiudicato della zona ed incaricato da
questi del recupero del credito.
Anche i testi Tommaso CARPINO e Francesca FRACASSO hanno riferito degli stati
di terrore e preoccupazione nei quali versava l’odierno ricorrente il quale secondo la tesi difensiva – avrebbe agito per evitare un danno grave alla propria
persona.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha affrontato la questione dell’invocata scriminante dello
stato di necessità e vi ha dato una risposta congrua che si attaglia ai principi di
diritto in materia, in particolare evidenziando che l’imputato non ha adempiuto
all’onere di allegazione “avente ad oggetto tutti gli estremi della causa di
esenzione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di
costrizione … e di non aver potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo
minacciato”.
Il ricorrente dal canto proprio in questa sede menziona dichiarazioni della teste
FRACASSO (citate anche nella sentenza di primo grado) che si è limitata ad
affermare che l’odierno imputato era “sotto pressione” nonché dichiarazioni del
teste CARPINO (non menzionate nel dettaglio in sentenza) che, nel mancato
adempimento del principio di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, non si
è procurato di riportare integralmente o di allegare al ricorso.
Infatti, tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che <

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