Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21613 del 15/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21613 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
POPESCU CATALIN nato il 07/06/1958

avverso la sentenza del 21/11/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 15/12/2017

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 20/11/2015, il Tribunale di Castrovillari condannava
Popescu Catalin alla pena di anni 8 di reclusione, avendolo ritenuto responsabile
del reato ex artt. 56, 575, 577 n.4 cod. pen. commesso a seguito di un dissidio
per futili motivi ed in evidente stato di ebbrezza alcolica, quando si era
avventato, brandendo un coltello a scatto, contro il fratello Popescu Andrei
Bogdan, colpito più volte all’addome e sul dorso. Con l’aggravante dei futili

Con sentenza del 21/11/2016, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale
riforma del citato provvedimento, dichiarata la prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche sulle aggravanti, rideterminava la pena in anni 5 di
reclusione.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, in difesa
dell’imputato, l’avv. Antonio Pucci deducendo violazione di norme processuali
stabilite a pena di inutilizzabilità in relazione agli artt. 191, 500, cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia escluso la legittima difesa e la
provocazione esclusivamente sulla base delle sommarie informazioni rese dalla
persona offesa nell’immediatezza dei fatti ed in stato di evidente ebbrezza
alcolica. Non è stato considerato che nel corso del dibattimento il Popescu
Bogdan ha affermato di essere stato lui ad aggredire per primo l’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
I motivi proposti tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei
fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento in ordine agli elementi fondativi della
responsabilità dell’imputato per il reato contestato. Le deduzioni attinenti alla
contestata conferma della responsabilità penale per il reato ascritto riproducono,
infatti, gli argomenti che sono stati prospettati nel gravame di merito e ai quali la
Corte di appello ha dato adeguate risposte. Il ricorrente tende, invece, a
provocare, esprimendo il proprio dissenso, una nuova generica valutazione dei
fatti, che si traduce in inammissibile sindacato di merito, non esperibile per legge
con il ricorso per cassazione in presenza di un discorso giustificativo della
decisione non illegittimo, né viziato da alcun profilo di manifesta illogicità in
rapporto alle evidenze disponibili.

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motivi e di aver commesso il fatto con uno strumento atto ad offendere.

Il giudice del merito, invero, non è incorso in alcun errore di diritto, ma ha
esercitato legittimamente il proprio potere di valutazione delle risultanze
istruttorie, esprimendo il proprio libero convincimento. Il ricorrente denunzia
formalmente sia violazione di legge, sia vizi della motivazione, ma chiede, in
realtà, la rilettura del quadro probatorio e il riesame nel merito della vicenda
processuale. Tale riesame è precluso in sede di indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione, ove solo può essere appurato se la
struttura razionale della sentenza impugnata abbia una sua chiara e puntuale

logica, alle risultanze del compendio probatorio acquisito, come nel caso
concreto ora in valutazione.
Nel caso di specie, al fine di escludere la legittima difesa e l’attenuante della
provocazione la Corte d’appello ha esaminato con attenzione le dichiarazioni
della persona offesa, dei testi e dell’imputato. In particolare, il giudice di appello
rende motivazione ragionevole nel ritenere più credibili le dichiarazioni
spontanee del Popescu Bogdan, piuttosto che quelle rese da costui nel
dibattimento. Queste ultime, secondo la sentenza, risentono dell’acquisita
consapevolezza in merito alle conseguenze penali in cui poteva incorrere
l’imputato, nei confronti del quale la persona offesa non nutre alcun rancore. Il
giudice di appello rende motivazione plausibile anche nel ritenere che non
sussistono elementi da cui dedurre la necessità di difendersi da una aggressione
ad opera della persona offesa: i colpi ricevuti dall’imputato sono agevolmente
spiegabili con la condotta oppositiva dell’aggredito.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua
del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186
del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 15 dicembre 2017.

coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della

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