Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21613 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21613 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile MAGNI Piero nell’ambito del procedimento
contro:
• MAGNI Daniele, nato a Firenze il giorno 21/11/1964
avverso la sentenza n. 2819 in data 23/9/2014 della Corte di Appello di Firenze;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore della parte civile ricorrente MAGNI Piero, Avv. Giovanni MERLI,
che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e depositando al riguardo
conclusioni scritte;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Luca CIANFERONI, che ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23/9/2014 la Corte di Appello di Firenze confermava la
sentenza emessa dal locale Tribunale in data 12/3/2013 con la quale MAGNI
Daniele era stato mandato assolto ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. dal
contestato reato di appropriazione indebita aggravata ai danni dello zio MAGNI
Piero con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Data Udienza: 10/05/2016

Si contestava, in particolare all’imputato di essersi appropriato di beni mobili
della persona offesa dei quali aveva il possesso a titolo di deposito.
In estrema sintesi: MAGNI Piero stanti i rapporti non sereni con i figli della
compagna, al fine di proteggere i propri beni da una futura aggressione da parte
degli stessi e di favorire il nipote Daniele, decideva di operare una serie di
costituzioni di fondi mobiliari accesi presso un istituto di credito e collegati ad un
conto corrente intestato dapprima ad entrambi e, infine, solo a quest’ultimo.

al punto che il nipote provvedeva a versare allo zio le somme concordate o
comunque richieste da quest’ultimo.
Ad un certo punto però i rapporti tra i due si deteriorarono, MAGNI Daniele smise
di versare all’odierno ricorrente le somme da questi richieste ed iniziò ad
effettuare una serie di prelievi, anche consistenti, fino al prosciugamento del
relativo conto.
Da qui la contestazione del reato di appropriazione indebita.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il solo difensore della parte
civile che, dopo avere ricostruito nelle prime 18 pagine del ricorso i fatti di cui è
processo ed avere evidenziato l’interesse a ricorrere, ha dedotto:
1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Sulla premessa che il reato di appropriazione indebita è configurabile non solo
quando viola il diritto di proprietà ma anche quando inerisce ad un rapporto
personale ed obbligatorio intercorso tra colui che affida la cosa e colui che se ne
appropria illegittimamente, evidenzia la difesa del ricorrente che nel caso in
esame tra zio e nipote era intercorso un accordo in relazione alla gestione del
capitale confluito in un deposito formalmente intestato al nipote ma nella
consapevolezza da parte di quest’ultimo dell’altruità delle somme.
Ne consegue – prosegue parte ricorrente – che, pur nella consapevolezza che tra
le parti fosse intercorso un rapporto fiduciario, l’interposizione non era reale ma
solo fittizia con la conseguenza che la condotta tenuta dall’imputato è stata in
effetti di natura appropriativa traducendosi in una interversione del possesso
essendo stato provato che le somme erano state consegnate con precise
limitazioni e precise condizioni al fine di raggiungere un preciso scopo.
La condotta dell’imputato determina quindi la sussistenza dell’elemento oggettivo
del reato di appropriazione indebita in contestazione allo stesso.

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I rapporti tra i due parenti in un primo momento si svilupparono correttamente

Sussisterebbe inoltre anche l’elemento soggettivo del medesimo reato essendo
noto al MAGNI Daniele che i fondi a lui intestati erano in realtà di proprietà della
persona offesa oggi ricorrente.
La sentenza impugnata non avrebbe quindi correttamente applicato la norma
penale avendo fatto discendere la decisione assolutoria dalla qualificazione
dell’interposizione quale reale e non fittizia, non tenendo conto del concreto
atteggiarsi della volontà delle parti e del fatto che, in difformità della prassi

banca FIDEURAM rendicontava le operazioni di investimento e corrispondeva gli
utili di gestione direttamente alla odierna parte civile e non al titolare del conto.
2. Violazione di legge processuale in tema di valutazione della prova ex art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Evidenzia la difesa del ricorrente che avrebbero errato i Giudici del merito
allorquando hanno ritenuto che la parte civile avrebbe reso una deposizione “non
convincente”.
In realtà è emerso ed è stato evidenziato nelle sentenza di merito che la
versione dei fatti sostenuta dall’imputato è risultata non credibile con riferimento
a vari aspetti della vicenda, non ultimo quello della pretesa sussistenza di un
peculio familiare.
Per contro le dichiarazioni della persona offesa, ancorché costituita parte civile,
non necessitavano di particolari riscontri oltretutto in presenza di un soggetto
come l’attuale ricorrente che, nonostante l’età avanzata, entrambe le sentenze di
merito definiscono “lucido” ed in relazione al quale non vi erano ragioni per
dubitare dell’attendibilità.
In data 21/4/2016 risulta pervenuto presso la Cancelleria di questa Corte atto di
parte ricorrente nel quale è stato formulato il seguente “motivo nuovo” ex art.
585, comma 4, cod. proc. pen.: violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod.
proc. pen. avendo la sentenza impugnata preso in considerazione solo una delle
condotte descritte nel capo di imputazione – cioè quella dei rapporti tra zio e
nipote con l’intervento dell’Istituto di credito – tralasciando di considerare le due
condotte residue pur sempre contemplate nel capo di imputazione e relative una
ad un rapporto di deposito ed un’altra ad un prestito personale.
Infine, in data 28/4/2016, la difesa dell’imputato ha depositato nella cancelleria
di questa Corte una memoria difensiva con la quale ha chiesto:
a) che il ricorso della parte civile venga dichiarato inammissibile per
sopravvenuto difetto di legittimazione essendo intervenuta, per effetto di

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bancaria in materia, il promotore finanziario TADDEI che agiva per conto della

promozione di causa civile avente lo stesso oggetto, revoca della costituzione di
parte civile ex art. 82, comma 2, cod. proc. pen.
b) che il ricorso medesimo venga in ogni caso dichiarato inammissibile per
genericità/aspecificità e deduzione di motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via del tutto preliminare deve evidenziarsi la fondatezza dell’assunto

legittimazione del ricorrente per effetto di promozione di causa civile avente lo
stesso oggetto.
Come è noto l’art. 82 del codice di rito penale espressamente stabilisce al
comma secondo che “la costituzione si intende revocata se la parte civile …
promuove l’azione davanti al giudice civile”.
Questa Corte Suprema ha poi ulteriormente precisato che “la revoca della
costituzione di parte civile, prevista per il caso in cui l’azione venga promossa
anche davanti al giudice civile, si verifica solo quando sussiste coincidenza fra le
due domande, ed è finalizzata ad escludere la duplicazione dei giudizi” (Cass.
Sez. 4, sent. n. 3454 del 19/12/2014, dep. 26/01/2015, Rv. 261950).
Ora è sufficiente esaminare i due atti di citazione allegati alla citata memoria del
28/4/2016 per rendersi conto del fatto che l’odierna parte civile ricorrente ha
intrapreso nei confronti dell’odierno imputato, successivamente alla pronuncia
della sentenza impugnata, due azioni civili aventi ad oggetto i medesimi fatti di
cui all’odierno procedimento con sostanziale coincidenza di petitum e di causa
petendi. E’, del resto, lo stesso ricorrente che in uno degli atti di citazione
prodotti dalla difesa dell’imputato segnala di aver presentato denuncia-querela
per appropriazione indebita nei confronti del convenuto (ed odierno imputato)
con riguardo alla controversa vicenda e che pende giudizio innanzi a questa
Corte Suprema.
Quanto detto basta a ritenere revocata ex lege la costituzione di parte civile e,
quindi, venuta meno la legittimazione di parte ricorrente a proseguire l’azione
civile in questa sede penale.
2.

Per solo dovere di completezza ed al fine di fare chiarezza della

problematica giuridica sottoposta all’attenzione di questa Corte Suprema deve
comunque essere evidenziata la manifesta infondatezza del ricorso che in questa
sede ci occupa.
Nelle sentenze di merito e seppure nella parziale difformità delle versioni rese
dalle parti è, infatti, stato appurato in fatto che MAGNI Piero, anche allo scopo di

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della difesa dell’imputato che ha segnalato il sopravvenuto difetto di

nascondere alla donna sposata in seconde nozze il suo reale patrimonio aveva
fatto si che le somme di denaro consegnate al nipote Daniele confluissero su di
un conto intestato esclusivamente a quest’ultimo.
Il negozio stipulato tra le parti ha portato i Giudici del merito a ritenere che nel
caso in esame ci si trovasse in presenza di una interposizione reale e non fittizia
di persona, in quanto il nipote aveva assunto la titolarità esclusiva delle somme
di denaro versate sul conto fiduciario per cui la violazione degli accordi intercorsi

indebita.
Secondo il Giudice di primo grado, il fatto che non si fosse trattato di
interposizione fittizia veniva confermato anche dalla mancata partecipazione del
terzo (la banca FIDEURAM) all’accordo simulatorio tra interponente ed interposto
atteso che il promotore finanziario TADDEI si era limitato ad informare il MAGNI
Piero che unico soggetto referente del denaro sarebbe stato il nipote MAGNI
Daniele.
A sua volta la Corte di appello ha evidenziato di concordare con la decisione del
Giudice di prime cure chiarendo come si era perfezionato un accordo tra le parti
che aveva portato il nipote Daniele ad assumere la titolarità del conto fiduciario
fortemente voluto dallo zio, così ponendo in essere una interposizione reale e
non fittizia di persona di talché la violazione del rapporto obbligatorio sottostante
poteva al più dar luogo ad una responsabilità civile tra le parti ma non poteva
integrare gli estremi del delitto di appropriazione indebita.
Ritiene il Collegio di concordare con i profili giuridici indicati dai Giudici di merito.
Sul presupposto che non è in potere di questa Corte Suprema rivalutare le
questioni di merito ed il compendio probatorio e tantomeno valutare
l’attendibilità delle dichiarazioni delle parti, è comunque un dato accertato in
fatto in entrambi i gradi dì merito che Daniele MAGNI era divenuto formalmente
l’unico titolare ed intestatario dei beni che lo zio Piero gli aveva a tale scopo fatto
avere.
Come questa Corte Suprema ha già avuto modo di ribadire anche in tempi
recenti (cfr. Cass. Sez. 2, sent. n. 46102 del 28/10/2015, dep. 20/11/2015, Rv.
265239), non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta
dell’intestatario fiduciario che non ottemperi all’obbligo di ritrasferire i beni
immateriali intestati al fiduciante alla scadenza convenuta, in quanto il fiduciario
ha la titolarità reale dei beni (Cass. Sez 2, sent. n 36592 del 26/09/2007 Rv.
237807). Il negozio fiduciario si realizza, infatti, mediante il collegamento di due
negozi: l’uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi,

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tra le parti non poteva portare alla configurabilità del reato di appropriazione

e l’altro di carattere interno – pure esso effettivamente voluto – ed obbligatorio,
diretto a modificare il risultato finale del primo negozio, ed in virtù del quale il
fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo. Pertanto la
intestazione fiduciaria di titoli, integra gli estremi della interposizione reale di
persona, per effetto della quale l’interposto acquista – a differenza che nel caso
di interposizione fittizia o simulata – la titolarità delle azioni o delle quote, pur
essendo, in virtù del rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria,

fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza
convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del
rapporto fiduciario (Cass. civ., Sez. 2, 6 maggio 2005, n. 9402).
Nel caso di specie, il rapporto tra Piero MAGNI ed il nipote Daniele si configura
pertanto come una interposizione reale con annesso negozio fiduciario che
prevedeva al più l’eventuale nuovo trasferimento di quanto ricevuto allo zio. Tale
negozio ha trasferito la proprietà ed ha eliso in radice il presupposto necessario
per la configurazione dell’appropriazione indebita ovvero l’esistenza di una
detenzione senza proprietà.
La palese non configurabilità nel caso in esame del reato di appropriazione
indebita lascia, ovviamente, impregiudicata la facoltà per l’odierno ricorrente di
far valere nella naturale sede civile l’eventuale diritto alla restituzione dei beni
intestati fiduciariamente al nipote Daniele MAGNI e, del resto, una azione civile
in tal senso risulta – come detto – essere già stata autonomamente intrapresa.
3. L’inammissibilità del ricorso originario e, più in generale, la
sopravvenuta carenza di legittimazione all’azione in questa sede penale, travolge
anche il “motivo nuovo” di cui all’atto depositato da parte ricorrente in data
21/4/2016.
Anche in questo caso e per solo dovere di completezza ritiene il Collegio di
dovere ricordare alla parte ricorrente:
– che giammai potrebbe ipotizzarsi il reato di appropriazione indebita di una
somma ricevuta a titolo di prestito personale e non restituita (come precisato
anche dalla Corte di appello a pag. 8 della sentenza impugnata);
– che sempre sulla base della motivazione della sentenza impugnata (cfr. pag. 5)
che a sua volta legittimamente richiama quella di primo grado, risulta accertato
che i beni mobili che il ricorrente ha consegnato volontariamente all’imputato
non erano mai stati chiesti in restituzione e che quindi non v’è prova certa di una
condotta appropriativa.

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tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.500,00 (millecinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 10 maggio 2016.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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