Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21610 del 15/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21610 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ONA ARNEZ SAULO ISRAEL nato il 03/07/1987

avverso la sentenza del 09/03/2017 del GIP TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 15/12/2017

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 9/3/2017, il Giudice per l’udienza preliminare del
Tribunale di Civitavecchia, in esito a giudizio abbreviato, condannava Ona Arnez
Saulo Israel alla pena di euro 600 di ammenda, avendolo ritenuto colpevole del
reato ex art. 4, comma 2, I. 110/75, perché, in partenza dall’aeroporto di
Fiumicino, trasportava nel suo bagaglio a mano una spada – avente manico di 12
cm e lama in metallo di circa 35 cm – senza averne fatto denunzia. Il Giudice

694/74: la spada era stata acquistata in un mercatino come souvenir e non era
emerso che potesse essere assimilata ad un pugnale, pertanto non si poteva
affermare con certezza la sua destinazione naturale all’offesa della persona.
Tuttavia, le modalità dell’azione impedivano di escludere sia l’assenza
dell’elemento soggettivo sia la punibilità per particolare tenuità del fatto: in
relazione al primo aspetto si poteva configurare al più un errore sul precetto,
come tale irrilevante non trattandosi di ignoranza inevitabile. Il Giudice
osservava la sussistenza della gravità del pericolo: la spada era trasportata nel
bagaglio a mano, quindi avrebbe potuto essere utilizzata durante il viaggio senza
particolari difficoltà, dall’imputato o da altri.
Il difensore dell’imputato ha proposto impugnazione, poi qualificata come
ricorso per cassazione, in cui deduce erronea interpretazione delle risultanze
istruttorie nonché difetto di motivazione ed erronea applicazione della legge
penale. Secondo il ricorrente, il giudice ha correttamente qualificato il fatto,
valutando, però, la sussistenza delle componenti oggettive e soggettive del reato
in maniera incongrua rispetto agli elementi istruttori, dai quali emerge
chiaramente che la spada era un souvenir, astrattamente qualificabile come
oggetto atto ad offendere, portato fuori dall’abitazione dell’imputato per
giustificato motivo idoneo ex art. 4, comma 2, I. 110/75, con esclusione della
rilevanza penale della condotta. Secondo il ricorrente, il giudice avrebbe errato
nel negare l’applicazione dell’art. 131-bis: le caratteristiche concrete dell’azione e
l’incensuratezza dell’imputato avrebbero dovuto condurre ad escludere la
punibilità per particolare tenuità del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi non consentiti
con il ricorso di legittimità e comunque manifestamente infondati.
Il ricorso, più che individuare singoli aspetti del provvedimento
impugnato da sottoporre a censura, tende a provocare una nuova, non
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osservava che la condotta non poteva essere ricondotta nella cornice della I.

consentita valutazione delle circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in
sede di legittimità. La sentenza impugnata ha correttamente qualificato il fatto
ed ha affermato l’esistenza dell’elemento soggettivo nonché l’inapplicabilità
dell’art. 131-bis cod. proc. pen. sulla base di argomenti logicamente ineccepibili,
avuto riguardo alla materialità del fatto come accertato e, in particolare, alle
modalità del trasporto della spada. Peraltro, le ragioni difensive addotte per il
trasporto non integrano un giustificato motivo. Sono stati adeguatamente
valutati gli elementi risultanti agli atti, con motivazione congrua e priva di

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere
condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma
di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla
stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2017.

erronea applicazione della legge penale e processuale.

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