Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21608 del 10/05/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 21608 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI DOMENICANTONIO FABIANA N. IL 15/08/1964
avverso la sentenza n. 671/2014 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
09/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/05/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 6 -aegt
che ha concluso per
,
°
—v i

Udito, per la parte civile, l’Avv
i

44’1

a.– ,-72

Udit i difensor Avv. 242_

va-a i’

Data Udienza: 10/05/2016

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 9 gennaio 2015 la corte d’appello di Perugia in parziale riforma della
sentenza del locale Tribunale che il 5 dicembre 2012 aveva condannato DIDOMENICANTONIO
Fabiana per violazione degli articoli 346, 61 numero 7 e 11 codice penale per essersi appropriata
a più riprese, di circa euro 109.461,97 mediante alterazione delle scritture contabili, distrazione
di assegni ed altre attività fraudolente, quale segretaria contabile della SAS Filena, di cui era

prescrizione e confermava le statuizioni civili.
Ricorre per Cassazione, a mezzo del difensore, l’imputata deducendo che la sentenza impugnata
è incorsa in
1.

violazione dell’articolo 646 anche con riguardo al luogo e al tempo della sua

consumazione, vizio della motivazione per travisamento della prova. Sostiene la ricorrente
che la somma sottratta sarebbe stata di euro 56.000,00 interamente pagata con la
conseguenza che al momento della presentazione della querela nulla era dovuto alla
società. Sostiene che prima che la sottrazione venisse a conoscenza dell’agente il
comportamento dell’imputata, così come descritto in atti non integrava il reato di
appropriazione indebita perché se la donna aveva fatto uso del denaro per aiutare
temporaneamente il suo fidanzato che versava in stato di bisogno ciò aveva fatto non per
trattenere il denaro per sé, ma con intenzione di restituirlo avendole garantito il fidanzato
che quanto prima le avrebbe reso la somma. Si tratterebbe quindi di un’appropriazione
indebita di uso perché mancava la volontà dell’ imputata di trattenere il denaro. Prova ne
è che quando la questione è venuta a conoscenza dell’agenzia è stata subito pronta a
restituire l’importo. Rileva inoltre che la somma indicata nelle imputazioni pari a C
109.000 non è un ulteriore ammanco rispetto ai C 56.000 già pagati dalla donna;
2. violazione dell’articolo 521 e 522 c.p.p. L’imputata è stata condannata per un fatto,
appropriazione di euro 56.000,00, già pagati fatto che non le era stato contestato.
L’imputazione ha infatti fatto riferimento a pretesi ammanchi di euro 109.000 successivi
alla scrittura 11/11/2005 che lo stesso perito ha escluso costituire ulteriori ammanchi;
3. violazione degli articoli 185 e 646 codice penale non sussistendo il reato non potevano
pertanto essere confermate le statuizioni civili

Il ricorso è inammissibile.
Per aversi appropriazione, nel significato tipico della fattispecie in esame, è necessario che il
soggetto agente si comporti, nei confronti del denaro o della cosa mobile altrui, di cui ha il
possesso, uti dominus, cioè come se ne fosse il proprietario e, quindi, oltrepassando le facoltà di
disposizione del bene consentitegli dal titolo in virtù del quale lo possiede. Questo non significa
naturalmente che il soggetto diventa realmente proprietario, il che sarebbe giuridicamente
1

it)

dipendente, dichiarava non doversi procedere per essere il reato estinto per intervenuta

inammissibile, ma solo che si comporta come se lo fosse, come è avvenuto nel caso di specie.
L’imputata ha infatti utilizzato uti dominus

il

denaro della società per cui lavorava finanziando,

come da lei ammesso, il proprio fidanzato in difficoltà economiche.
Considerato che il momento consumativo deve essere individuato nel momento in cui l’agente
compie gli atti dispositivi in cui si manifesta la volontà di dominio dando alla cosa una
destinazione incompatibile con le ragioni e il titolo che giustificano il possesso è di tutta evidenza
che il reato in argomento si è consumato nel momento in cui l’imputata ha dato il denaro al

sussistenza del reato, considerato anche che la volontà di restituzione si è palesata dopo che le
parti offese erano venute a conoscenza del fatto.
La sentenza ha confermato quanto oggetto di contestazione, ricostruito sulla scorta di
accertamento peritale. Solo in questa sede la ricorrente contesta la violazione dell’ad 521 c.p.p.
Il motivo è inammissibile perché nuovo e comunque manifestamente infondato perché,
considerato che il “fatto” deve essere definito come l’accadimento di ordine naturale, dalle cui
connotazioni e circostanze, soggettive ed oggettive, di luogo e di tempo, poste in correlazione fra
loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica,’ la violazione del
principio di correlazione si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione consistente ed
una trasformazione radicale della fattispecie concreta, nei suoi elementi essenziali, che non
consenta di rinvenire un nucleo comune, identificativo della condotta, con il risultato di un
rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, tra il fatto contestato e quello accertato, capace di
creare un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte del quale si verifica un
pregiudizio, concreto e reale, dei diritti della difesa.
Nulla di tutto ciò si è verificato nell’odierna vicenda nella quale la condotta della difesa è stata
molto attenta alle dinamiche processuali, ed ha approntato ogni possibile schema di
contenimento dell’imputazione nel suo più ampio e sostanziale sviluppo.
Correttamente sono state confermate le statuizioni civili.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1500,00 da versare alla Cassa delle Ammende,
nonché al pagamento e rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili FILENA Tiziana
e FILENA Maria Isabella che devono essere liquidate in complessivi C 3.500,00, oltre rimborso
spese forfettarie come per legge CPA ed IVA

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1500,00 alla Cassa delle Ammende, nonché

rifusione

proprio fidanzato con conseguente irrilevanza dei comportamenti successivi, ai fini della

delle spese sostenute nel grado dalla parte civile FILENA Tiziana che liquida in C 3.500,00 oltre
rimborso spese forfettarie come per legge CPA ed IVA
Così deliberato in Roma il 10.5.2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Giovanna VERGA

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA