Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21604 del 15/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21604 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FRISCIA ROSARIO nato il 20/12/1947 a SAN BIAGIO PLATANI

avverso la sentenza del 12/01/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 15/12/2017

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 12/1/2017, la Corte d’appello di Palermo confermava la
sentenza in data 11/11/2011, con la quale il Tribunale di Agrigento, concesse le
attenuanti generiche, aveva condannato Friscia Rosario alla pena di anni 2 mesi
8 di di reclusione, avendolo ritenuto responsabile del reato ex art. 423-bis cod.
pen., per aver cagionato l’incendio di circa sette ettari di coltivazione di
rimboschimento forestale demaniale.

affidato a tre motivi.
Con il primo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett.
e), cod. proc. pen., per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione,
nonché travisamento della prova, rispetto alla testimonianza di Capodicasa
Domenico Luca. I giudici hanno interpretato in modo non esatto le dichiarazioni
del teste, il quale dice che è stato l’imputato a dare/appiccare il fuoco, ma non
specifica come si sia concretamente esternata la condotta del Friscia. Dunque, la
locuzione “dare fuoco” deve essere intesa, secondo il ricorrente, come “ho visto
solo sprigionarsi il fuoco”.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e)
cod. proc. pen. per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione,
nonché travisamento della prova: i giudici hanno dedotto la responsabilità
dell’imputato dalla circostanza che questi si sia allontanato senza dare l’allarme
dai luoghi coinvolti dall’incendio. Tale opinione è basata, secondo il ricorrente,
sul presupposto, non dimostrato, che il Friscia avesse con sé strumenti per dare
l’allarme.
Con il terzo motivo si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e)
cod. proc. pen., per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione,
nonché travisamento della prova, rispetto alla testimonianza di Sepe Antonino. Il
giudice ha errato nel ritenere che l’imputato allo scoppiare dell’incendio avesse
fatto con la sua Fiat Panda inversione “ad U”. Non sono stati considerati i rilievi
della difesa e le dichiarazioni del Sepe circa le caratteristiche della stradella.
Il ricorrente ha ulteriormente specificato i motivi di ricorso con memoria ex
art. 611 cod. proc. pen. depositata giorno 11/11/2017.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso risulta manifestamente infondato, pur tenendo conto della
suddetta memoria integrativa.

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Il difensore dell’imputato ha proposto proposto ricorso per cassazione

I motivi proposti tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei
fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento in ordine agli elementi fondativi dell’affermazione
di responsabilità dell’imputato per il reato contestato.
Le deduzioni attinenti alla contestata conferma della responsabilità penale
per il reato ascritto riproducono, infatti, gli argomenti che sono stati prospettati
nel gravame di merito e ai quali la Corte di appello ha dato adeguate risposte. Il

valutazione dei fatti, che si traduce in inammissibile sindacato di merito, non
esperibile per legge con il ricorso per cassazione in presenza di un discorso
giustificativo della decisione non illegittimo, né viziato da alcun profilo di
manifesta illogicità in rapporto alle evidenze disponibili.
Il giudice del merito, invero, non è incorso in alcun errore di diritto, ma ha
esercitato legittimamente il proprio potere di valutazione delle risultanze
istruttorie. Il ricorrente denunzia formalmente sia violazione di legge, sia vizi
della motivazione, ma chiede, in realtà, la rilettura del quadro probatorio e il
riesame nel merito della vicenda processuale. Tale riesame è precluso in sede di
indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, ove solo può
essere appurato se la struttura razionale della sentenza impugnata abbia una
sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel
rispetto delle regole della logica, alle risultanze del compendio probatorio
acquisito, come nel caso concreto ora in valutazione.
Con riferimento al primo motivo, deve osservarsi che la Corte di appello ha
ragionevolmente ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato sulla
base delle dichiarazioni del Capodicasa, il quale ha affermato che aveva visto un
soggetto, identificato nel Friscia, scendere dall’auto ed appiccare il fuoco. Tale
ricostruzione, secondo il giudice del merito, è sostanzialmente confermata anche
dalle affermazioni di Butticé Stefano, il quale, pur non avendo riconosciuto
l’imputato, aveva notato un soggetto uscire da una Fiat Panda, negli attimi
immediatamente precedenti all’incendio. Tali dichiarazioni hanno permesso alla
Corte di appello di escludere la possibilità che l’incendio sia stato frutto di un
ipotetico fenomeno di autocombustione, posto che entrambi i testimoni
affermano di aver visto un soggetto in prossimità del punto di innesco,
allontanatosi su una Fiat Panda al momento del divampare delle fiamme. Con
riferimento al secondo motivo, si nota che la conclusione della Corte di appello è
del tutto logica: è conforme all’id quod plerumque accidit che l’autore del fatto
illecito ometta di dare l’allarme, né il ricorrente è riuscito a provare il contrario.
Con riferimento al terzo motivo, deve ritenersi che il punto relativo alla
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ricorrente tende a provocare, esprimendo il proprio dissenso, una nuova generica

possibilità di compiere o meno una inversione “ad U” con l’autovettura Panda
non è decisivo, in presenza degli altri elementi di fatto evidenziati dalla sentenza.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
2.000,00 alla cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua
del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186
del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 15 dicembre 2017.

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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dell’impugnazione.

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