Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21601 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21601 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

Macelli Alberto, nato a Codevilla il 20 ottobre 1960

Baiocchi Loredana, nata a Voghera il 29 maggio 1965

avverso la sentenza n. 2385/2015 emessa in data 24 marzo 2014 dalla Corte
d’appello di Milano.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Enrico
Delehaye, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentito l’avv. Maurizio Sorisi per le parti civili, che, depositando conclusioni scritte e nota spese, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato con conferma delle statuizioni civili e subordinazione dell’eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale;
udito il difensore avv. Michele Ragosta, in sostituzione dell’avv. Antonino
Aloi, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 marzo 2014 la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna ad anni uno di reclusione ed euro 1.000,00 di multa inflitta ad
Alberto Macelli e Loredana Baiocchi dal Tribunale di Voghera, con sentenza del 3
maggio 2013, per il delitto di appropriazione indebita, così diversamente qualificato il fatto (originariamente contestato come truffa).
Contro tale decisione propongono ricorso i due imputati, separatamente
ma assistiti dal medesimo difensore, chiedendone l’annullamento.
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Data Udienza: 15/04/2016

Il Macelli denunzia l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, sostenendo di aver legittimamente trattenuto per sé i due assegni circolari
oggetto del reato contestatogli, in esercizio del diritto di ritenzione a fronte
dell’inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dalla controparte.
La Baiocchi sostiene invece di essere del tutto estranea alla condotta materiale, non avendo fatto altro se non incassare gli assegni, frutto di una transazione civilistica, acquisiti dal Macelli (suo convivente). Anch’essa eccepisce il legittimo esercizio del diritto di ritenzione.

lett. b), cod. proc. pen. – della erronea valutazione della prova, costituita dalla
sola deposizione della persona offesa.
Infine, entrambi censurano la sentenza impugnata in relazione alla determinazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili. Essi contengono la riproposizione di questioni già prospettate
negli atti di appello e disattese dalla corte territoriale con adeguata motivazione,
immune da vizi logici e giuridici.
Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, il Macelli – compagno della Baiocchi, titolare di un’agenzia immobiliare – ricevette, in data 15 dicembre 2009, da Donatella Troglia, comproprietaria di un immobile sito in Voghera (fraz. Bruschi di Cervesina), una “procura” dall’ambiguo contenuto, in
quanto con la stessa si “vende a Macelli Alberto” il predetto immobile al prezzo di
euro 75.000 e contemporaneamente si conferisce allo stesso procura a vendere
a se stesso o a persone o società da nominare. In forza di tale procura il Macelli,
qualificatosi invece come proprietario, convinse i coniugi Daniela Doni e Fabrizio
Martinasco, già conduttori dell’immobile, ad acquistarlo al prezzo di euro 95.000,
facendosi consegnare a titolo di caparra due assegni circolari dell’importo complessivo di euro 60.000. Successivamente, non essendo l’operazione andata
buon fine (anche perché le sorelle Troglia si avvidero della “cresta” di ben euro
20.000 che il Macelli intendeva trattenere per sé), l’imputato non provvide alla
restituzione delle somme incassate senza titolo.
Tanto premesso, la corte d’appello, senza entrare nel merito della qualificazione giuridica della “procura” del 15 dicembre 2009 (di cui resta controverso
se fosse un contratto ad effetti traslativi reali ovvero meramente obbligatori),
osserva che la condotta del Macelli certamente non può essere considerata legittima reazione all’inadempimento del preliminare di vendita.

«Ed infatti, egli, se

riteneva di aver agito quale mandatario, doveva attenersi alla volontà della
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Inoltre, entrambi gli imputati si dolgono – ai sensi dell’art. 606, comma 1,

mandante (che egli aveva revocato l’incarico); se riteneva, invece, di aver agito
quale “proprietario” non poteva ignorare, specie in quanto addetto ai lavori, che
l’atto sottoscritto sarebbe stato assolutamente inidoneo al definitivo trasferimento, in capo ai coniugi Martinasco, di un diritto reale di cui non poteva vantare un
valido titolo di acquisto» (pag. 10 della sentenza d’appello).
L’argomento utilizzato dai giudici di merito si sottrae alle censure esposte
,—
Ocorso dagli imputati. Premesso che gli stessi fanno inesatto uso dell’istituto giuridico del diritto di ritenzione, trattandosi più propriamente dell’incameramento

detta condotta possa ritenersi legittima. La caparra confirmatoria, infatti, può essere legittimamente incamerata solo in caso di inadempimento della controparte.
Nella specie, invece, è pacifico che i coniugi Martinasco non si resero inadempienti nei confronti del Macelli, giacché il preliminare di vendita immobiliare stipulato contestualmente alla consegna dei due assegni circolari venne successivamente annullato dallo stesso imputato (v. pag. 3 della sentenza di primo grado) e ciò sia per l’intervenuta revoca del mandato, sia perché lo stesso era stato
comunque conferito solo da una delle due comproprietarie ed era quindi insuscettibile di conferire al mandatario il potere di vendere la piena e indivisa proprietà dell’immobile.
Quanto al ruolo della Baiocchi, sul cui conto corrente sono stati versati i
due assegni, i giudici di merito osservano che la stessa, quantomeno a partire
dal momento in cui era saltata la trattativa per la compravendita dell’immobile,
non poteva non sapere di non avere alcun titolo per trattenere la somma incassata. L’imputata, peraltro, era titolare dell’agenzia mediante la quale il Macelli ha
posto in essere l’azione delittuosa, avvalendosi della stessa come garanzia di serietà professionale. Pertanto, sebbene le trattative con i coniugi Martinasco, da
un lato, e con le sorelle Troglia, dall’altro, siano state intrattenute solo dal Macelli, è certo che la Baiocchi abbia concorso nella commissioneíli reato offrendo la
propria collaborazione organizzativa, indispensabile perché il compagno si potesse accreditare come agente immobiliare e incassare le somme ricevute a titolo di
caparra.
A fronte di tale completa e articolata ricostruzione della vicenda, il primo
motivo di ricorso della Baiocchi si risolve in una ricostruzione alternativa in punto
di fatto, come tale inammissibile in sede di legittimità. Infatti, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze
probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve
sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza
della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risul3

di una caparra confirmatoria, va ribadito che non esistono i presupposti perché

tanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito
propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Sez. 6, n.
36546 del 03/10/2006 – dep. 03/11/2006, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 4, n.
35683 del 10/07/2007 – dep. 28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 7380
del 11/01/2007 – dep. 22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Venendo ai motivi di ricorso comuni ad entrambi gli imputati, si deve rile-

tema di attendibilità della parte offesa, che le dichiarazioni di quest’ultima possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell’affermazione di
penale responsabilità dell’imputato, sebbene sia opportuna una verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di
qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (da ultimo,

ex

plurimis: Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015 – dep. 27/10/2015, Manzini, Rv.
265104). Pur nel quadro di una tale doverosa verifica, è altresì pacifico che alle
dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole dettate dall’art. 192,
comma terzo, cod. proc. pen. in tema di riscontri oggettivi. Ogni eventuale contrasto interpretativo risulta definitivamente risolto, nel senso anzidetto, da un
recente arresto delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep.
24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214)
Nella specie le deposizioni delle parti offese godono del reciproco riscontro
e trovano decisive corrispondenze nel racconto di Donatella Troglia (comproprietaria dell’immobile), nella negoziazione degli assegni circolari, nella “procura” del
15 dicembre 2009 e nella ulteriore documentazione commerciale della vicenda.
Pertanto, le valutazioni dei giudici di merito in ordine all’attendibilità delle
parti offese si conformano ai principi di diritto sopra enunciati e, quindi, si sottraggono alle censure esposte in ricorso.
Analoga sorte incontrano le doglianze relative al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche. Infatti, anche la motivazione relativa
al trattamento sanzionatorio si sottrae ad ogni genere di censura, avendo la corte d’appello motivato circa la gravità della condotta e la conseguente adeguatezza della pena inflitta in primo grado.
La determinazione della pena base, l’aumento della pena nel reato continuato, nonché gli aumenti e le diminuzioni correlati rispettivamente a circostanze
aggravanti o attenuanti, rientrano nella discrezionalità del giudice di merito, che
esercita il potere di graduazione in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e
4

vare anzitutto che la giurisprudenza di questa Corte è salda nell’affermare, in

133 cod. pen. (ex plurimis, da ultimo: Sez. 5, n. 29829 del 13/03/2015 – dep.
10/07/2015, Pedercini, Rv. 265141), sicché, in presenza di adeguata motivazione, è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena.
Poi, con particolare riferimento al diniego delle attenuanti generiche, si
deve ribadire che la loro sussistenza è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti
della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non con-

apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse
dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, Caridi e altri,
Rv. 242419). In sostanza, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze
attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi
indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011
– dep. 01/02/2011, Sermone e altri, Rv. 249163).
Nella specie, la corte territoriale osserva che non si ravvisano positivi elementi di valutazione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche
ed espressamente esclude l’idoneità dello stato d’incensuratezza della Baiocchi.
In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati entrambi inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.
Quanto alla richiesta formulata dalla parte civile di subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento dell’importo già stabilito dai giudici di
merito a titolo provvisionale, è assorbente il rilievo che essa, non avendo autonomamente impugnato la sentenza, non può chiedere la modifica in proprio favore delle statuizioni che la riguardano.
La liquidazione delle spese processuali in favore delle parti civili, nella misura indicata in dispositivo, tiene conto della parziale soccombenza determinata
dall’inammissibilità della domanda appena esaminata.
P. Q. M.
dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
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traddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico

processuali e ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende,
nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parti civili Daniela Doni e Fabrizio Martinasco, spese che liquida in complessivi C 2.500,00 oltre rimborso spese
forfettarie, c.p.a. e i.v.a.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 aprile 2016.

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