Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21599 del 15/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21599 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GUGLIELMINI DOMENICO nato il 28/02/1952 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 22/03/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 15/12/2017

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 22/3/2017, la Corte dì assise dì appello dì Palermo,
Seconda sezione, rigettava l’istanza formulata nell’interesse di Guglielmini
Domenico per ottenere il riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati
con diverse sentenze di condanna per omicidi commessi tra il 1984 ed il 1990, e
la conseguente rideterminazione della pena complessiva in anni 30 di reclusione.
Le sentenze di condanna oggetto dell’istanza erano le seguenti: sentenza della

ordinanza di rideterminazione della pena del 9/10/2005, a seguito della quale è
stata irrogata la pena di anni 30 di reclusione; sentenza della Corte di assise dì
appello di Palermo del 26/6/2000, irrevocabile il 9/4/2001, con la quale è stata
irrogata la pena dell’ergastolo; sentenza della Corte di assise di appello di
Palermo del 20/9/2002, irrevocabile il 13/11/2003, a seguito della quale è stata
irrogata la pena dell’ergastolo; sentenza della Corte di assise di appello di
Palermo del 23/5/2007, irrevocabile il 10/4/2009, a seguito della quale è stata
irrogata la pena dell’ergastolo.
Il difensore del condannato ha proposto ricorso per cassazione affidato a
due motivi. Con il primo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma
1 lett. b), cod. proc. pen., sostenendo che la sentenza è stata emessa da giudice
incompetente a decidere ex art. 665, comma 4, cod. proc. pen. Secondo il
ricorrente l’istanza doveva essere decisa dalla Prima sezione della Corte di assise
di appello di Palermo, perché quest’ultima aveva emanato il provvedimento
divenuto per ultimo irrevocabile. Con il secondo motivo si deduce la violazione ex
art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., sostenendo che illogicamente la
Corte di assise di appello ha escluso il vincolo della continuazione rispetto alle
sentenze in esame. Il Giudice dell’esecuzione ha affermato sia la prossimità
temporale dei delitti, sia la loro commissione in costanza del rapporto di
appartenenza al sodalizio mafioso, ma poi contraddittoriamente ha escluso la
sussistenza del vincolo della continuazione. Il ricorrente precisava ulteriormente i
motivi di ricorso con memoria depositata il 17/11/2017.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso risulta manifestamente infondato, pur tenendo conto della
suddetta memoria.
Con riferimento al primo motivo, deve osservarsi che le varie Sezioni della
Corte di asside di appello di Palermo non costituiscono uffici giudiziari differenti,
quindi è escluso che possa configurarsi fra esse alcun conflitto dì competenza.
2

Corte di assise di Palermo del 16/11/2001, irrevocabile il 20/04/2005, ed

Con riferimento al secondo motivo deve essere rilevato che la
motivazione del provvedimento impugnato risulta immune da vizi. Il Giudice
dell’esecuzione correttamente afferma l’insufficienza degli elementi allegati dal
Guglielmini al fine ritenere il vincolo della continuazione. Non è sufficiente,
infatti, che í reati siano tutti riconducibili alla medesima organizzazione mafiosa,
poiché avrebbe dovuto essere dimostrato, invece, che tutti gli omicidi fossero
stati preventivamente deliberati e compresi nel medesimo programma criminoso.
Al riguardo, si ricorda che, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di

della disciplina del reato continuato l’onere di allegare elementi specifici e
concreti a sostegno dell’istanza, non essendo sufficiente il mero riferimento alla
contiguità cronologica degli addebiti ovvero all’identità o analogia dei titoli di
reato, in quanto indici sintomatici non di attuazione di un progetto criminoso
unitario quanto, piuttosto, di una abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate
alla sistematica e contingente consumazione di illeciti.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non
essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della
colpa nella proposizione dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma dì euro 2.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2017.

legittimità, in tema di esecuzione grava sul condannato che invochi l’applicazione

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