Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21598 del 08/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21598 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PANIZZO NICOLA N. IL 30/09/1984
avverso la sentenza n. 14/2013 TRIBUNALE di BELLUNO, del
02/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 08/03/2016

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Antonio Birritteri, il
quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza perché il fatto non è
più previsto dalla legge come reato e la conferma delle statuizioni civili
Udito l’avv. Valentina Romagna in sostituzione dell’avv.Maurizio Paniz difensore della parte
civile Da Pian Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 27.9.2012, il Giudice di Pace di Agordo dichiarò Panizzo Nicola
responsabile del reato di cui all’art.635 c.p. (danneggiamento degli impianti idraulici in data
13.8.2010 delle camere n.403 e 407 dell’Hotel Dolomiti sito in Alleghe, con conseguente
allagamento delle stanze in questione, nonché dei locali dell’albergo di proprietà di Da Pian
Mario) e lo condannò alla pena di € 1500,00 di multa nonché al risarcimento del danno da
liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale di € 12000,00 a favore della
costituita parte civile. Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e il Tribunale di
Belluno, con sentenza del 2.12.2013, confermava la decisione di primo grado.
2.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo: 1) la violazione

dell’art.606 lett.d) ed e) c.p.p., per violazione dell’art.495 c.p.p. per mancata assunzione di
uno dei testi indicati a discarico, e difetto di motivazione sul punto; 2) la violazione dell’art.606
lett.b) ed e) c.p.p. per violazione dell’art.192 co. 11 c.p.p., in assenza di indizi gravi precisi e
concordanti, nonché difetto e/o contraddittorietà della motivazione, travisamento delle prove,
illogicità manifesta in relazione al giudizio di responsabilità: Nicola Panizzo è stato ritenuto
responsabile del fatto reato solo perché visto nei pressi dell’albergo dai testimoni Guadagnin e
Case, ma non è dato comprendere da quale fatto i giudici di merito abbiano concluso che il
Guadagnin conoscesse bene il ricorrente e l’altro non lo avesse potuto confondere con il
fratello; 3) la violazione dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. e dell’art.546 lett.e) c.p.p. e difetto di
motivazione in relazione all’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice non ha ritenuto
attendibili le prove contrarie; 4) violazione dell’art.606 lett.e) difetto di motivazione circa la
quantificazione del danno e della provvisionale; 5) violazione dell’art.606 lett.b) ed e) c.p.p.
violazione di legge circa il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche; 6) la violazione
dell’art.606 lett. e) difetto di motivazione in punto pena e quantificazione della provvisionale.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
1

Udito il difensore di Panizzo Nicola, avv.Erminio Mazzucco, che ha concluso per l’accoglimento

3. Il difensore della parte civile, in data 5.3.2016, ha depositato memoria con la quale
confuta punto per punto le deduzioni difensive, e conclude chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile per i motivi enunciati in memoria, o comunque rigettato.

Considerato in diritto

riferisce al reato di danneggiamento contestato nella forma non aggravata, e che il reato di cui
all’art.635 c.p. è stato sostituito dall’art.2 del decreto legislativo n.7 del 15 gennaio 2016
nell’attuale formulazione, che esclude rilievo penale all’ipotesi di danneggiamento non
aggravato in questione; e anche l’eventuale inammissibilità del ricorso per cassazione in
ragione della non specificità o della manifesta infondatezza dei motivi non è di ostacolo a che
sia in questa sede rilevata l’intervenuta abrogazione della norma incriminatrice.
1.2 Ai sensi dell’art.4 lett. c) del decreto n.7/2016 le ipotesi di danneggiamento non
aggravato, se i fatti sono dolosi (art.3), costituiscono ora illecito civile e obbligano oltre che
alle restituzioni e al risarcimento del danno, anche al pagamento della sanzione pecuniaria da
euro cento a euro ottomila. L’art.5 del medesimo decreto dispone poi che l’importo della
sanzione pecuniaria civile è determinato dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri: a) gravità
della violazione, b) reiterazione dell’illecito, c) arricchimento del soggetto responsabile; d)
opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito; e)
personalità dell’agente; f) condizioni economiche dell’agente. Ai sensi del successivo art.8, le
sanzioni pecuniarie civili sono quindi applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione
di risarcimento del danno, al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento
proposto dalla persona offesa. Le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili si applicato
anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso (6 febbraio
2016), salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti
irrevocabili. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal presente decreto sono stati

1. In via preliminare, rileva il Collegio che la condanna di cui alla sentenza impugnata si

definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il
giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto
dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti.
1.3 Con il decreto legislativo 15.01.2016, n. 7, è stata data attuazione a quanto stabilito
al comma 3 dell’art. 2 della I. n. 67/2014, in materia di abrogazione di reati e introduzione di
illeciti con sanzioni pecuniarie civili. E’ questa la grande novità della riforma, che incide non
solo sul contenzioso penale, essendo stati “abrogati” una serie di reati (di cui agli artt.485,
486, 594, 627, 647 c.p.) e modificati altri (tra cui quello di danneggiamento di cui all’art.635
c.p.), ma anche sul contenzioso civile, in quanto l’azione civile (di risarcimento del danno),

‘1

che prima della riforma poteva essere esercitata alternativamente in sede penale o in sede
civile, dovrà essere esperita esclusivamente innanzi al giudice civile, e il giudice decide, anche
d’ufficio, qualora accolga la domanda di risarcimento del danno, così condannando la parte al
pagamento di una sanzione pecuniaria civile che, per espressa previsione di legge, va devoluta
alla Cassa delle ammende.
L’art. 12 dello stesso decreto detta le disposizioni transitorie. La norma transitoria risolve

adottata con il d.lgs. 15.01.2016, n. 8 in materia di disapplicazione e più in generale alle
disposizioni adottate in tema di depenalizzazione; tratto comune a entrambi i decreti è
costituito dall’applicabilità tanto delle sanzioni amministrative relative agli illeciti depenalizzati,
quanto di quelle pecuniaria civili, anche ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore
dei due decreti.
Al fine di assicurare l’applicazione retroattiva della nuova disciplina in esame e di evitare
disparità di trattamento, viene dunque stabilito, al primo comma dell’art.12 in questione, che
“le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai
fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il
procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”.
In tale ipotesi, ossia quando ancora non sono state pronunciate sentenze o decreti
irrevocabili, dovendo trovare applicazione retroattiva la norma più favorevole, e fermo
restando il principio espresso dalla Cassazione secondo cui “la presenza di una

“abolitio

criminis” non esime il giudice dall’obbligo di applicare una formula di assoluzione o di
proscioglimento più favorevole nel merito, a condizione tuttavia che esista già agli atti la prova
evidente per una assoluzione in fatto”, il giudice non potrà che dichiarare che il “fatto non è
più previsto dalla legge come reato”, adottando tutti i provvedimenti conseguenti (v.Cass.
Sez.III, Sentenza n. 45562/2001 Rv. 220740)
1.4 L’art.9 del decreto legislativo n.8/2016, in materia di depenalizzazione, contiene
ulteriori disposizioni transitorie al fine di disciplinare, nell’ipotesi che la depenalizzazione sia
sopravvenuta nel corso del procedimento penale, la trasmissione degli atti all’autorità
amministrativa competente per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, e la sorte delle
statuizioni civili già adottate. In tal senso il terzo comma dell’articolo citato prevede
espressamente che “se l’azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi
dell’art.129 del codice di procedura penale, sentenza inappellabile perché il fatto non è previsto
dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1. Quando è
stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto
non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni
e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.

le ricadute processuali della riforma in modo lineare, oltre che conforme alla disposizione

Nessun dubbio sulla costituzionalità della norma; anche di recente la Corte
Costituzionale, nella sentenza n.12 del 2016 (nel dichiarare non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art.538 del codice di procedura penale sollevata in riferimento agli
artt.3 e 111 della Costituzione nella parte in cui non consente al giudice di decidere sulla
domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno quando pronuncia sentenza di
assoluzione dell’imputato in quanto non imputabile per vizio totale di mente), ha affermato,

sua discrezionalità, di introdurre, in vista di una più efficace tutela della persona danneggiata
dal reato e del conseguimento di maggiori risparmi complessivi di risorse giudiziarie, una
disciplina ampliativa dei casi nei quali il giudice penale si pronuncia sulle questioni civili, pur in
assenza di una condanna dell’imputato.
1.5 Un’analoga disposizione manca nel decreto in esame. Occorre quindi domandarsi
quale debba essere la sorte dell’eventuale costituzione di parte civile in giudizio e/o
dell’eventuale statuizione di condanna per la responsabilità civile pronunciata dal giudice di
primo grado, nelle ipotesi di reati trasformati in illeciti civili di cui al decreto legislativo
n.7/2016. Nel primo caso, ossia quando la persona offesa si sia costituita parte civile nel
giudizio di primo grado ed il giudice definisca il processo con sentenza di proscioglimento,
perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, egli non potrà pronunciarsi sulla
domanda di risarcimento del danno con la conseguenza che la parte civile potrà (se lo vorrà)
riassumere il procedimento innanzi al giudice civile. Depone in questo senso il chiaro dettato
dell’art. 538 c.p.p., a norma del quale il giudice decide sulla domanda per le restituzioni ed il
risarcimento del danno quando pronuncia (ma solo quando pronuncia) sentenza di condanna,
non anche quando prosciolga l’imputato. Più problematica appare la seconda ipotesi, ovvero
allorchè sia già intervenuta una sentenza di condanna (in primo o secondo grado), avverso la
quale sia proposta impugnazione. Ritiene a riguardo il Collegio che, dall’assenza di una norma
transitoria che disponga, in modo esplicito, che il giudice dell’impugnazione è tenuto a
pronunciarsi in ordine agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli
interessi civili non consegue comunque, solo per questo, che le statuizioni in questione
debbano essere revocate.
Né ciò può dedursi dalla circostanza che la norma di cui all’art.578 c.p.p. prevede
espressamente che il giudice dell’impugnazione è tenuto a pronunciarsi in ordine agli effetti
delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, in caso di
dichiarazione di reato estinto per prescrizione o per amnistia. Altre infatti sono le ragioni che
impongono al giudice penale di pronunciarsi sulle statuizioni circa il risarcimento di un danno
per un fatto ora “civilizzato”, e ciò a prescindere dalla circostanza che si sia trattato o meno di
una svista normativa.

alla stregua di altra e più antica giurisprudenza, che il Legislatore resta certamente libero, nella

1.6 In base all’art. 2, comma secondo, c. p. l’intervenuta “abolitio criminis” determina la
cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna; dalla dizione della norma si
evince chiaramente, argomentando a contrario, che le obbligazioni civili nascenti dal reato non
“cessano”. E’ quindi giurisprudenza consolidata di questa Corte, che la revoca della sentenza di
condanna (divenuta definitiva) per “abolitio criminis”

conseguente alla perdita del carattere di

illecito penale del fatto – non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo

statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci
nei confronti della parte danneggiata (v., tra le tante, Cass.Sez.V, Sent.4266/2006 Rv.
233598; Sez.V, Sent.n.28701/2005, Rv.231866; Sez.III, Sent. n. 1029/1993 Rv. 194042).
Tale principio pacificamente riconosciuto in caso di revoca di sentenza di condanna
passata in giudicato non riguarda solo la sentenza in questione, bensì anche la sentenza di
condanna non ancora divenuta irrevocabile. Riguardo ai diritti del danneggiato dal reato in
ordine alle statuizioni civili non si applicano, infatti, i principi della successione nel tempo delle
leggi penali, fissati dall’art. 2 c.p., bensì il principio stabilito dall’art. 11 delle preleggi al codice
civile, secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire”. Ed essendo il divieto di
efficacia retroattiva derogabile solo per effetto di una legge successiva che disponga
diversamente, in assenza di una qualche disposizione in tale senso ne consegue che, anche a
seguito di “abolitio criminis”,

le modifiche legislative non possono incidere sui diritti in

questione. La formula assolutoria adottata a seguito della sopravvenuta abrogazione della
norma incriminatrice non è, poi, tra quelle alle quali l’art.652 c.p.p. attribuisce efficacia nel
giudizio civile.
Se, quindi, il fatto per il quale vi è stata condanna è stato depenalizzato, e il
procedimento è ancora pendente, deve ritenersi che il giudice, nel momento in cui dichiara non
doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, sia comunque
tenuto a pronunciarsi sugli effetti civili (v., in tal senso, Cass.Sez.V, sent.n.7124/2016, Portera
Gianna Michela, non massimata, nella quale si afferma “l’attitudine delle statuizioni civili
pronunciate nel giudizio di merito a sopravvivere all’intervenuta abrogazione della rilevanza
penale del fatto”, in ipotesi di falso in scrittura privata, e ricorso proposto non dall’imputata
bensì dal responsabile civile).
D’altra parte l’art. 12, co. 1, dl.gs , 15 settembre 2016, n. 7, prevede che le “disposizioni
relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi
anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia
stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”.

fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle

Il legislatore delegato, quindi, ha chiaramente disposto, anche per i procedimenti penali
non definiti con sentenza o decreto divenuti irrevocabili, l’applicazione delle disposizioni
previste da questo decreto. Tra queste, quella di cui all’art. 3, co. 1, d.lgs n. 7 del 2016, che
prevede che i “fatti previsti dall’articolo seguente, se dolosi, obbligano, oltre che alle
restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della
sanzione pecuniaria civile ivi stabilita”. Da quanto statuito dal dettato normativo, letto

emergere poi che anche il giudice penale è legittimato a riconoscere il risarcimento del danno
per i nuovi fatti “civilizzati” commessi, prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 7,
e ciò salvo che il procedimento penale sia stato definito.
A questo proposito, non rileverebbe, in senso contrario, l’art.8, co. 1, d.lgs n. 7 del 2016,
il quale statuisce che le “sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a
conoscere dell’azione di risarcimento del danno”; infatti, detta norma si limita per l’appunto a
stabilire non tanto che il giudice possa disporre il risarcimento del danno quanto piuttosto che il
medesimo possa applicare sanzioni pecuniarie civili a seguito del riconoscimento del danno da
illeciti civili dolosi.
Inoltre, posto che nell’applicazione della legge si deve tener conto dell’intenzione del
legislatore (art. 12 preleggi), e che, come emerge nella relazione illustrativa di
accompagnamento allo schema del decreto legislativo recante disposizioni in materia di
abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’art. 2,
comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67, è stato ritenuto come l’art. 12, co. 1, dl.gs n. 7
possa essere applicato anche per le condotte già sancite penalmente, purchè “il relativo
procedimento penale sia tuttora pendente”, va da sé che, proprio attenendoci all’intenzione del
legislatore, questa normativa è applicabile anche per i procedimenti penali pendenti.
1.7 Questa Corte, con una recente pronuncia, nella quale si faceva riferimento “alla
questione della conservazione delle statuizioni civili relative alla condanna per il reato di
concussione a seguito della riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 319-quater c.p. in

congiuntamente a quanto sancito dall’art. 12, co. 1, decreto legislativo n. 7, sembrerebbe

conseguenza dell’entrata in vigore della I. n.190/2012 ed, in un caso in cui la rilevata
prescrizione del reato di induzione indebita comunque non esentava la Corte dall’esaminare il
ricorso in relazione alle suddette statuizioni in forza del disposto dell’art. 578 c.p.p.”,
richiamando la citata giurisprudenza formatasi in materia di “abolitio criminis”, e ribadendo il
principio che la legge sopraggiunta non determina alcun effetto sul capo della sentenza che ha
accertato il diritto al risarcimento del danno, ha affermato che, in considerazione della natura
prettamente civilistica del diritto al risarcimento del danno, deve conseguentemente escludersi
l’applicabilità ad esso del principio penalistico della successione delle leggi di cui all’art. 2 c.p.,
trovando applicazione, in questo caso i principi generali di cui all’art. 11 preleggi, che pongono(
,.
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il divieto di effetti retroattivi, prevedendo che la legge, anche quella penale, per quanto
riguarda gli effetti civili, dispone solo per l’avvenire. In altri termini, in presenza di un fatto
ingiusto che ha cagionato un danno, il diritto del danneggiato al risarcimento permane, a nulla
rilevando le successive modifiche legislative “nei casi in cui la modifica legislativa “trasforma”
in condotte lecite fatti che erano penalmente rilevanti” (Cass. pen., Sez. VI, sent. n.
31957/2013 Rv. 255598).

pervenuto più che a una vera è propria abrogazione, a una depenalizzazione “diversa”, anche
in considerazione del fatto che trattasi, per lo più, di reati procedibili non d’ufficio, bensì a
querela di parte. Il legislatore, pertanto, accanto ai reati trasformati in illeciti amministrativi di
cui al d.lgs. n.8/2015, ha previsto che altri – tra cui il danneggiamento “semplice” non
aggravato ai sensi dell’attuale riformulazione dell’art.635 c.p. – perdano il carattere di illecito
penale per assumere quello di illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria, se commesso
con dolo, come previsto dall’art.4 del decreto in esame. Il modello preso a riferimento dal
legislatore delegato con l’introduzione della nuove sanzioni più che alla c.d. pene private
elaborate in dottrina e ricondotte ad alcune fattispecie (art.12 I.stampa, 129 bis c.c., 709 ter
c.p.c.), pare ispirato ai c.d. “punitive damages” o danni punitivi previsti nei sistemi del
common law, e infatti – così come accade per i “punitive damages” – la sanzione civile si
affianca al risarcimento del danno vero e proprio ed ha natura meramente indennitaria, in
quanto la somma dovuta dal soccombente è preventivamente stabilita dalla legge e non è
parametrata sull’entità del pregiudizio subito dall’attore. Inoltre, non trova origine nella volontà
negoziale delle parti, ed è marcatamente più sanzionatoria rispetto alle pene private, in quanto
volta a reprimere solo le condotte dolose. Quanto ai presupposti dei nuovi illeciti, l’elemento
oggettivo è rinvenibile nelle definizioni di cui all’art. 4 il quale espressamente descrive le
condotte, e in particolare al comma 1 lettera c) che riporta lo stesso testo (“chi distrugge,
disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili altrui”) di cui al
vecchio primo comma dell’art.635 c.p.; l’elemento soggettivo è caratterizzato dal dolo. In tal
modo, stabilisce la legge una sorta di continuità normativa tra la vecchia norma di cui al primo
comma dell’art.635 c.p. e il nuovo illecito civile di cui alla lett.c) del primo comma dell’ad 4 del
decreto in questione. E ciò tanto più che le sanzioni pecuniarie, previste nel loro minimo e
massimo, sono infine modulabili dal giudice, secondo i criteri di commisurazione previsti
dall’art.5., di cui alcuni sono già conosciuti all’interno del processo civile, ma altri sono ad esso
del tutto estranei. Estranea al diritto civile, e ripresa dai criteri di cui all’art.133 c.p., è anche
l’indagine sulla personalità dell’agente.
1.9 Tanto premesso, e rilevato che con il decreto in questione si è giunti ad una
particolare forma di depenalizzazione, e che le forme di illecito sono in perfetta continuità
7

1.8 A ciò aggiungasi, che, nella fattispecie, con il decreto in questione il legislatore è

normativa con gli “abrogati” reati, sicchè solo impropriamente può parlarsi in questi casi di
abrogazione, appare del tutto evidente che dalla mancanza di una previsione di una norma
transitoria ad hoc (come invece nel decreto n.8 che testualmente prevede all’art.9 che “il
giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato,
decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che
concernono gli interessi civili”), a parere di questo Collegio, non può ragionevolmente trarsi

delle statuizioni in parola potrebbe legittimamente pervenirsi, solo in presenza di una norma
transitoria specifica che prevedesse una deroga in tal senso (analogamente a quanto avvenuto
all’art.12 per l’applicabilità delle sanzioni pecuniarie civili ai fatti commessi anteriormente alla
data di entrata in vigore del decreto) al dettato di cui all’art. 11 preleggi.
1.10 Né la revocabilità nella fattispecie delle statuizioni civili trova poi giustificazione
alcuna nella giurisprudenza costituzionale che, evidenziando l’accessorietà dell’azione civile
rispetto al processo penale, rileva che l’assetto generale del nuovo processo penale è ispirato
all’idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del
codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto
all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo. E
ciò tanto più ora che in attuazione della direttiva europea che ha preteso un rafforzamento
della posizione del soggetto leso, indicato quale « persona fisica che ha subito un danno, anche
fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono state causate direttamente da un
reato», si va delineando un nuovo sistema processuale penale, nel quale la parte offesa è
destinataria di una serie di informazioni e comunicazioni, anche in tema di

“ristorative justice”,

con le quali si intende, dichiaratamente, promuovere l’incontro fra vittima e reo, quale
occasione per ottenere una riparazione del danno, e al contempo favorire la reintegrazione e la
riabilitazione del colpevole, in vista di epiloghi «più costruttivi e meno repressivi». Con la
conseguenza di un inevitabile e progressivo affievolimento dello stesso principio di accessorietà
dell’azione civile rispetto al processo penale.
1.11 La revocabilità delle statuizioni civili nella fattispecie presenta poi dei profili di
incoerenza sistematica. Sarebbe, infatti, ben incoerente un sistema nel quale, depenalizzate
una serie di ipotesi di reato, solo per i nuovi fatti illeciti “civilizzati” (per i quali è poi
sicuramente più frequente la proposizione dell’azione civile all’interno del processo penale) e
non per gli altri fatti oggetto di depenalizzazione, fosse inibito al giudice penale l’esame
dell’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni civili. E, quindi, da ciò ne dovrebbe
conseguire, ove mai ve ne fosse bisogno, l’applicabilità della disposizione transitoria del
decreto legislativo n.8 (per i reati depenalizzati), anche ai fatti illeciti “civilizzati” di cui al
decreto legislativo n.7.

argomento per dedurne la revocabilità nella fattispecie delle statuizioni civili. Anzi, alla revoca

2. Stabilita l’attitudine della statuizioni civili pronunciate nel giudizio di merito a
sopravvivere all’intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto il cui accertamento le
ha giustificate, deve procedersi ora all’esame del ricorso, il quale non può essere accolto per la
non condivisibilità od inammissibilità delle censure articolate nei motivi che lo compongono.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione
in ordine alla ritenuta mancata assunzione del teste a discarico Capitanio Riccardo, attesa

fondamento. La rinnovazione del dibattimento è istituto del tutto eccezionale; soltanto la
rilevanza e la decisività dei fatti, non potuti provare in primo grado, nelle ipotesi di legge e nel
concorso delle richieste condizioni, possono consentire la rinnovazione del dibattimento (v., tra
le tante, Cass.Sez.II, sent.n.8106/2000 Riv.216532), e il provvedimento di rigetto della
richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato, come nel caso di specie,
anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole
di approfondimenti indispensabili (Cass. Sez.IV, sent. n. 47095 /2009 Rv. 245996). A ciò
aggiungasi che all’esito dell’udienza del 28.6.2012, il giudice di pace ha rinviato il
procedimento per discussione, e non risulta (e neppure vi è alcuna deduzione in tal senso da
parte del ricorrente) che all’atto del disposto rinvio, o all’udienza di discussione, vi sia stata da
parte del difensore dell’imputato alcuna opposizione alla chiusura dell’istruttoria
dibattimentale, con conseguente acquiescenza al provvedimento del giudice di primo grado
(v.Cass. Sez.V, sent. n. 7108/2015 Rv. 266076).
2.2 Con il secondo motivo, si duole il ricorrente della violazione dell’art.192 c.p.p. e del
vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento dei fatti, in relazione al giudizio di
responsabilità essendo del tutto insufficienti e contraddittori gli indizi a carico dell’imputato.
Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art.546 lett.e c.p.p. e il vizio di motivazione in
relazione alla ritenuta inattendibilità delle prove a favore dell’imputato. Secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado “concordino
nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive
decisioni, la struttura motivazionale della sentenza si salda con quella precedente” (Cass.
Sez.I, Sent.n.8886/2000, Sangiorgi, Rv. 216906), e i motivi di ricorso devono essere esaminati
alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito. L’art. 606,
comma 1, lettera e), c.p.p. non consente poi al giudice di legittimità una diversa lettura dei
dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di
cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Nei
casi di una “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno, il vizio di
“travisamento della prova” può essere quindi rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il

l’omessa motivazione in merito alla richiesta rinnovazione dibattimentale. La censura è priva di

ricorrente rappresenti (con specifica deduzione e allegazione) che l’argomento probatorio
asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella
motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass.IV, sent. n. 19710/2009). Tanto
premesso, rileva il Collegio che entrambe le doglianze sono prive di consistenza e formulate in
termini di una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti. I giudici di merito, con
motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici, hanno puntualmente indicato come la

Guadagnin ben conosceva l’imputato, aveva parlato con lui proprio il giorno dei fatti
(13.8.2010), e pertanto non avrebbe potuto confonderlo con il fratello come asserito dalla
difesa, e rilevato come la persona offesa abbia reso una deposizione coerente con quanto
affermato in querela, mentre i testi della difesa non hanno fornito alcun elemento concreto tale
da escludere la presenza del Panizzo in Alleghe il giorno dell’avvenuto danneggiamento (v. 3-5
della sentenza di primo grado). E contro tali valutazioni dai motivi in esame sono formulate
mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di
legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse.
2.3 Il quarto motivo sulla quantificazione del danno è manifestamente infondato; il
giudice ha rimesso la quantificazione del danno al giudice civile, limitandosi a concedere una
provvisionale, tenuto conto delle circostanze emerse dall’istruttoria (dichiarazioni del
comandante della Stazione dei Carabinieri di Caprile e del vigile del fuoco intervenuti sul luogo
del fatto, della parte offesa e della figlia della parte offesa circa i lavori effettuati per il
ripristino dei locali danneggiati). Rileva, inoltre, il Collegio che la pronuncia circa l’assegnazione
di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo, e non acquista efficacia
di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell’ammontare della stessa è rimessa alla
discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul
punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto,
per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere travolto
dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr. Cass.Sez.V, Sent. n. 40410/2004 Rv.
230105).
2.4 II quinto e sesto motivo concernono le attenuanti generiche e la pena, e pertanto non
devono essere oggetto d’esame, non essendo più il fatto previsto dalla legge come reato.
2.5 Poiché dagli atti non emerge la prova evidente per una assoluzione in fatto, la
sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge
come reato, e configurando la condotta – per quanto sopra detto – gli estremi dell’illecito civile
di cui all’art.4 co.1 lett.c del decreto legislativo n.7/2016, vanno confermate le statuizioni civili.

o

presenza dell’imputato sul posto sia stata riferita dai testi Guadagnin e Case, e che il teste

Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado di
giudizio dalla parte civile Da Pian Mario, che liquida in euro 3500,00 oltre accessori come per
legge.
P.Q.M.

in questo grado della parte civile Da Pian Mario che liquida in euro 3500,00 oltre accessori
come per legge.
Così deliberato, 1’8 marzo 2016.
Il

liere estensore

Il Presidente

Ila CervOoro

Mario Gentile

ltne- “1/11.961°

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è più pr9visto dalla legge come
(VAt.d»

reato. Conferma le statuizioni civili. Condanna il ricorrenteWla rifusione delle spese sostenute

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