Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21597 del 15/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21597 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SCHIAVONE RAFFAELE nato il 14/08/1953 a MONTAGUTO

avverso la sentenza del 20/09/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 15/12/2017

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 20/10/2014, il Tribunale di Torino condannava
Schiavone Raffaele alla pena di anni uno e mesi uno di reclusione per il delitto di
atti persecutori ex art 612-bis cod. pen. e per il reato di molestie ex art. 660
cod. pen. in danno di D’Erasmo Grazia. Con sentenza del 20/09/2016, la Corte di
appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dopo aver
riqualificato la condotta contestata come molestie, dichiarava non doversi

prescrizione.
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a
nove motivi. Con i primi sei motivi si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1
lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., per mancanza,
manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione, nonché
travisamento della prova in ordine al reato contestato. Con il settimo motivo si
deduce, richiamando l’art. 606, corna 1 lett. b), cod. proc. pen., violazione
dell’art. 660 cod. pen. Con l’ottavo motivo si deduce la violazione di cui all’art.
606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., sostenendo che la Corte territoriale abbia
ritenuto l’imputato colpevole del reato di molestie sulla scorta di dichiarazioni
inattendibili. Con il nono motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma
1 lett. e), in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., per mancanza, manifesta
illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione con riguardo alle
statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo, deve essere rilevato che i primi sei, l’ottavo ed il nono
sono motivi non consentiti dalla legge in sede di legittimità: il ricorrente non
tiene conto del fatto che i giudici di merito hanno dichiarato l’estinzione del reato
per intervenuta prescrizione, sicché eventuali censure avrebbero dovuto
incentrarsi sulla violazione delle disposizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, deve rilevarsi come
il settimo motivo di ricorso sia manifestamente infondato: la Corte di appello,
facendo buon governo dei principi elaborato dalla giurisprudenza di legittimità
correttamente ha ritenuto sussistente la fattispecie ex art. 660 cod. pen. Le
emergenze istruttorie hanno pienamente confermato come l’imputato si sia reso
attore di un corteggiamento invasivo, insistito e petulante, attuato anche con
numerose telefonate sicuramente moleste.
2

procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato ascrittogli per intervenuta

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere
condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma
di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla
stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2017.

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

P.Q.M.

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