Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21591 del 15/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21591 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FERRANTE CALOGERO nato il 09/11/1970

avverso la sentenza del 28/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 15/12/2017

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 28/2/2017, la Corte di appello di Milano confermava
la sentenza emessa dal Tribunale di Lodi, in esito a giudizio abbreviato, il
5/11/2013, con la quale Ferrante Calogero era stato condannato alla pena di
anni uno e mesi sei di reclusione – computati l’aumento per la recidiva, la
continuazione, la diminuente per la scelta del rito – per i seguenti reati: a)
delitto ex art. 75, comma 2, d.lgs. 159/2011 perché, sottoposto alla misura di

rincasare entro le ore 20,00; b) delitto ex art. 610 cod. pen. in danno di Cavallini
Giuseppe.
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidato a
due motivi. Con il primo motivo si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla violazione degli obblighi inerenti la
sorveglianza speciale. Secondo il ricorrente, i giudici del merito hanno errato nel
ritenere l’imputato in ritardo già prima di incontrare il carabiniere Cavallini: il
Ferrante, dopo aver adempiuto al dovere di presentarsi presso la caserma, stava
per rincasare, quando è scoppiato il diverbio con il carabiniere, che gli ha fatto
perdere del tempo. Inoltre, i giudici hanno errato nel ritenere integrato
l’elemento soggettivo della fattispecie contestata: l’imputato non aveva
intenzione di trasgredire e il ritardo è imputabile solo al fortuito incontro con il
carabiniere. Con il secondo motivo si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1
lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art.

62-bis cod. pen.: la pena è

eccessiva, tenuto conto delle modalità del fatto e della provocazione da parte del
carabiniere. Inoltre, la motivazione è del tutto carente riguardo al diniego delle
circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riferimento al primo motivo deve osservarsi come la motivazione del
provvedimento risulti immune da qualsivoglia censura. Conformemente a quanto
stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, i giudici di merito hanno rilevato che
il dolo generico è sufficiente ad integrare la fattispecie contestata. Nel caso di
specie, come si evince chiaramente dalla sentenza impugnata, risulta che
l’incontro con il carabiniere avvenne dopo le 20,05, quindi oltre l’orario previsto
per il rientro a casa.
Con riferimento al secondo motivo, giova richiamare alcuni principi
stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in materia di trattamento
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sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, contravveniva alla prescrizione di

sanzionatorio. Innanzitutto, è stato spiegato che, nel caso in cui venga irrogata
una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e
dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al
criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui
all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015,
Scaramozzino, Rv. 265283). Inoltre, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di
motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura
della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o

di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 – dep. 23/01/2014,
Waychey e altri, Rv. 258410). Alla luce dei citati criteri, la decisione della Corte
di appello risulta immune da censure, anche perché, come si evince chiaramente
dal provvedimento impugnato, la negazione delle attenuanti generiche è dipesa
dallo stato di ebbrezza in cui versava l’imputato al momento del fatto.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere
condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma
di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla
stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2017.

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