Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21577 del 21/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21577 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
BEVILACQUA Franca, nata il 27/09/1974
avverso la sentenza n. 977/15 del 26/05/2015, della Corte di Appello di
Catanzaro.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Leonardo Tanga;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Stefano Tocci, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 21/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 977/15 del 26/05/2015, la Corte di Appello di
Catanzaro, in riforma della sentenza emessa dal Gip del Tribunale di Lamezia
Terme in data 14/05/2013, appellata dal P.G., dichiarava Bevilacqua Franca
colpevole del reato ascritto e, concesse circostanze attenuanti generiche, la
condannava alla pena di mesi otto di reclusione ed C 400 di multa in relazione al

2. Avverso tale sentenza d’appello, propone ricorso per cassazione
Bevilacqua Franca, a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il
disposto dì cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.):
I)

violazione di legge posto che la ricorrente avrebbe avuto

comunque diritto al patrocinio a spese dello stato; l’inutilità del falso che non
raggiunge lo scopo di far acquisire all’imputato un vantaggio che non gli spetta
(perché appunto comunque avrebbe diritto al sostegno dello Stato) imporrebbe
l’assoluzione perché il fatto non sussiste;
II)

violazione di legge e vizi motivazionali. Deduce che l’art. 3,

comma 3, D.P.R. n.917 del 22/12/1986 afferma che non fanno parte della base
imponibile i trattamenti pensionistici previsti per invalidità civile e l’articolo 76,
comma 1, D.P.R. 115/2002 prevede che, per l’ammissione al patrocinio a spese
dello Stato, il reddito da considerare è quello imponibile ai fini dell’imposta
personale sul reddito ed afferma che il richiedente deve indicare il reddito suo e
dei suoi familiari conviventi: ne consegue che nella valutazione dei redditi
familiari conviventi rileva solo il reddito imponibile;
III)

omessa motivazione. Deduce che era stata richiesta l’assoluzione

(per mancanza dell’elemento soggettivo) osservando che Bevilacqua Franca, ben
poteva essere stata tratta in inganno dalla certificazione ISEE che aveva ricevuto
dal patronato ma la Corte di Appello non ha preso in considerazione tali motivi
di difesa e non ha motivato sul rigetto dell’assoluzione per mancanza
dell’elemento soggettivo;
IV) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla mancata
applicazione della normativa sul danno di lieve entità di cui all’art. 131-bis c.p..
Deduce che l’assenza totale di un danno per lo Stato ed i presupposti che hanno
portato alla falsa dichiarazione integrano un comportamento, al più di leggerezza
o di ignoranza, che rientra perfettamente nella previsione della legge sopra
richiamata;

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reato di cui all’art. 95 DPR 30/5/2002 n. 115.

V) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’eccessività
del trattamento sanzionatorio. Deduce che la Corte non ha ritenuto di motivare
circa la quantificazione della pena inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Occorre premettere che, con la sentenza n. 6591 del 27 novembre
2008, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito la sussistenza del reato di
falsità di cui all’articolo 95 del T.U.S.G. (D.P.R. 115/2002), nell’ipotesi in cui la
dichiarazione sostitutiva della situazione reddituale del richiedente il gratuito
patrocinio sia affetta da falsità, anche quando il reddito reale sia comunque
inferiore alla soglia di ammissibilità al beneficio stesso.
4.1. Passando poi alla struttura del reato, le Sez. Un. citate -nel
precisare che il falso è un reato commissivo proprio che si sostanzia nell’omessa
attestazione di un fatto vero- affermano che, nella materia in esame,

“…la

punibilità del reato di pura condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto
ingiusto, al dovere di lealtà del singolo verso le istituzioni”. L’innocuità del falso
in un atto pubblico, inoltre, non va di per sé valutata con riferimento all’uso che
si intende fare del documento stesso, che non è necessario a integrare la
condotta incriminata. Nel caso in esame, l’articolo 95 del T.U.S.G. non condiziona
la rilevanza dell’offesa della pubblica fede al fine patrimoniale dell’atto falso,
“Non opera, difatti, specifica addizione di qualifica all’evento di pericolo, o
all’intenzione di risultato dell’agente (dolo specifico), sicché la falsità non può
ritenersi innocua secondo parametro dell’evento, men che inutile secondo
parametro del dolo…. È dunque esclusa qualsiasi esenzione categorica di legge
(innocuità), fuori del parallelo con quanto è dovuto nella dichiarazione IRPEF”.
4.2. Mette conto, ancora, rammentare che l’articolo 79, comma 1,
lett. c), del T.U.S.G. prevede che la dichiarazione attestante la sussistenza delle
condizioni reddituali necessarie per l’ammissione al beneficio deve fare esclusivo
riferimento alle modalità stabilite dal precedente articolo 76, che a sua volta fa
rinvio alla dichiarazione dei redditi ai fini Irpef.

5. Ciò doverosamente premesso, è possibile procedere all’esame delle
doglianze odierne.

6. In ordine al motivo sub I) si osserva:

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3. I ricorso è fondato nei limiti e termini di cui appresso.

6.1. Alla stregua di quanto riportato ai punti 4. e 4.1. che precedono,
il motivo risulta infondato e, pertanto, se ne impone il rigetto.

7. In ordine al motivo sub IV) si osserva:
7.1. La questione non risulta sottoposta al vaglio del giudice di merito
(che si è pronunciato ben dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 28/2015) e il motivo
dedotto in questa sede di legittimità va, perciò, dichiarato inammissibile.
7.2. Per completezza, comunque, si rammenta che dalla motivazione

pecuniaria superiore al minimo edittale, indicativi di un apprezzamento sulla
gravità dei fatti addebitati che consentono di ritenere non astrattamente
configurabili i presupposti per la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p.
(sez. 4, n.44136 del 27.10.2015; Sez. 3, n. 15449 dell’8.4.2015).

8. In ordine al motivo sub V) si osserva:
8.1. Nella specie la riduzione di pena operata a seguito della
concessione delle attenuanti generiche è stata pari al massimo consentito (1/3)
ed, inoltre, la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della
pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel
rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p., come nel caso di specie) è
censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz’altro escludersi (sez. 2, n.45312 del
03/11/2015; sez. 4 n.44815 del 23/10/2015). Ne viene l’inammissibilità del
motivo in questione.

9. In ordine ai motivi sub II) e III), da trattarsi congiuntamente
poiché tra loro teleologicamente avvinti, si osserva:
9.1. Le pensioni, gli assegni le indennità di accompagnamento e
assegni erogati ai ciechi civili, ai sordomuti e agli invalidi civili vanno,
effettivamente, ritenuti “redditi esenti” ai fini dell’imponibile Irpef.
9.2. In vero, inoltre, ai sensi dell’art.76, comma 1, T.U.S.G.

“Può

essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini
dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non
superiore a….” ma il successivo comma 3 specifica “Ai fini della determinazione
dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti
dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)”.
9.3. Nel caso di specie, tuttavia, occorre tener conto di due peculiari
contingenze. Da un lato il reddito di cui si discute non era ostativo alla

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della sentenza impugnata emergono elementi, quali l’inflizione di una pena

ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato. Dall’altro era stato
rilasciato un certificato ISEE a cura del patronato.
9.4. In tale situazione appare congruamente prospettato il dubbio in
ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, quanto meno sotto il
profilo del dolo eventuale che, come ritenuto dalle S.U., richiede, oltre alla
previsione dell’evento, l’accertamento di “una presa di posizione volontaristica”,
di un “atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il
caso che esso si verifichi quale conseguenza non voluta della propria condotta”.

dopo avere considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia
consapevolmente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità
della causazione dell’offesa”, esprimendo così “una scelta razionale”, il più
possibile “assimilabile alla volontà” (cfr. SS.UU., sentenza n° 38343 del
18/09/2014).
9.5. Non avendo la Corte territoriale fornito adeguata motivazione sul
punto (di esclusiva competenza del giudice del merito), malgrado l’asserita
doglianza già sottoposta al suo vaglio dalla ricorrente, la sentenza impugnata va
annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro per
nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di
Catanzaro.

Così deciso il 21/04/2016

In altri termini, occorre “comprendere se l’agente, dopo avere tutto soppesato,

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