Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21575 del 26/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21575 Anno 2016
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte di appello di Trieste

nonché sui ricorsi proposti da
Degano Primo, nato il 01/01/1941
Marzinotto David, nato il 02/11/1971

avverso la sentenza n. 221/2014 del 16/02/2015 della Corte di appello di
Trieste

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Oscar
Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio di entrambi i
ricorsi.

Data Udienza: 26/02/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Trieste, con sentenza 16 febbraio 2015, in
parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Tolmezzo,
dichiarava Degano Primo e Marzinotto David responsabili di lesioni colpose
aggravate dalla violazione della normativa antifortunistica, commessa ai danni
del lavoratore Tomas Vinko e li condannava, rispettivamente, il primo alla pena
di euro 4560 di multa, in conversione di giorni 120 di reclusione, e il secondo
alla pena di mesi tre di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale

della pena e con condanna per entrambi alla rifusione dei danni ed al
pagamento delle spese di assistenza della costituita parte civile.

2.Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale proponevano
ricorso per cassazione sia il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di
appello di Trieste che il difensore di entrambi gli imputati.

3.11 ricorso del Procuratore generale era affidato ad un unico motivo di
ricorso nel quale si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione all’art. 59 comma 2 lett. a) della legge n. 689/1981.
Secondo il Pubblico ministero ricorrente la Corte avrebbe errato nel
convertire la pena detentiva in pena pecuniaria all’imputato Degano Primo, in
quanto il Degano, essendo stato condannato più di due volte, con sentenze
irrevocabili per reati della stessa indole non avrebbe potuto beneficiare
ulteriormente della sostituzione della pena detentiva a i sensi dell’art. 59 comma
2 lett. a). Precisava che la successione cronologica dei precedenti penali , tutti
rappresentati da sentenze di applicazione patteggiata della pena (in due casi con
pena sostituita ex lege 689/1981), impediva l’estinzione dei reati e dei connessi
effetti penali prevista dall’art. 445 comma 2 c.p.p. in caso di positivo decorso del
periodo di prova della durata di 5 anni. La dimostrata attitudine del soggetto a
commettere reati e la insufficiente efficacia dissuasiva della misura sostitutiva
nei confronti di persona che non aveva dimostrato alcun ravvedimento,
comportava l’illegittimità della statuizione sul punto. Aggiungeva che la
motivazione della Corte era stata contraddittoria, in quanto, la Corte territoriale
aveva negato la concessione delle attenuanti generiche proprio in considerazione
della gravità e della notorietà delle condizioni di rischio cui erano esposti i
lavoratori che operavano alle dipendenze del Degano. D’altra p arte, la Corte
territoriale – avuto riguardo alla gravità intrinseca dell’evento infortunistico
(trauma fratturativo per caduta dall’alto, con guarigione completata in un lungo
arco temporale), alla biografia penale del Degano, nonché all’inottemperanza
delle prescrizioni impartite dall’ASL dopo l’incidente con ripresa dei lavori nelle
2

C’

medesime condizioni di pericolo – avrebbe dovuto comunque specificatamente
motivare in relazione ai parametri di cui all’art. 133 per quale ragione
preminente rispetto ai suddetti elementi negativi aveva ritenuto di concedere la
sostituzione.

4.1 ricorsi degli imputati si affidavano a quattro comuni motivi di ricorso.
4.1.Con il primo si deduceva violazione dell’art. 111 del d. Igs n. 81/2008.
I ricorrenti osservavano che la loro colpa era stata individuata da entrambi i

dispositivi di protezione collettiva.
Senonché tale per l’appunto sarebbe la linea vita che era stata installata
nel cantiere in cui è avvenuto l’infortunio, rispondente alle caratteristiche
previste dalla norma UNI EN 795/2002.
4.2.Con il secondo motivo si deduceva violazione di legge in relazione agli
artt. 74,75,111 e 122 del d. Igs. n. 8172008.
Al riguardo i ricorrenti deducevano che dall’insieme delle suddette norme
si evince che il datore di lavoro può orientarsi verso l’adozione di dispositivi
diversi da quelli di protezione collettiva ogni qual volta tali diversi dispositivi
siano idonei a prevenire il rischio per la sicurezza del lavoratore ovvero ogni qual
volta risulti che i dispositivi di protezione collettivi non sono in grado di garantire
un equivalente livello di protezione. Aggiungevano che proprio per garantire le
migliori condizioni di sicurezza dei lavoratori era stata effettuata nel caso di
specie la scelta di installare una linea vita (ammesso e non concesso che la
stessa vada qualificata come dispositivo di protezione individuale). Solo
l’autonoma, insana, estemporanea ed imprevedibile scelta suicida del lavoratore
di sganciare il cordino che lo assicurava alla linea vita, aveva fatto si che lo
stesso precipitasse al suolo, come si sarebbe dovuto desumere dalle dichiarazioni
rese dallo stesso infortunato e dal di lui collega Masaric. Lo sganciamento dalla
linea vita sarebbe stato anche la causa esclusiva dell’evento, in quanto,
eliminando lo sganciamento dalla sequenza dei fatti, l’evento non si sarebbe
potuto realizzare. D’altra parte la Degano Primo srl si era impegnata
contrattualmente, in via alternativa, a realizzare i ponteggi oppure ad installare i
dispositivi anticaduta (linea vita). La misura di sicurezza predisposta dalla
Degano Primo srl sarebbe stata idonea a salvaguardare la sicurezza dei
lavoratori se solo questi ne avessero fatto correttamente e doverosamente uso.
4.3. Con il terzo motivo veniva dedotta violazione di legge in punto di
mancata concessione delle generiche, in quanto il Tribunale di Tolnnezzo aveva
negato le generiche senza motivare, mentre la Corte territoriale era giunta alla
medesima conclusione “richiamando la valutazione del primo giudice in ordine al
comportamento extraprocessuale tenuto dagli imputati”.

3

giudici di merito nell’aver violato la previsione di cui all’art. 111, non allestendo

Senonché detto comportamento era stato valutato dal giudice di primo
grado soltanto al fine di negare il beneficio della sospensione. D’altronde il
Marzinotto era soggetto incensurato mentre i tre precedenti a carico di Primo
Degano risalivano rispettivamente al 1992, al 1996 e al 2000.
4.4.Con il quarto motivo veniva dedotta violazione di legge in relazione
agli artt. 76,78, 100, 102 e 122 c.p. in quanto la costituzione di parte civile era
avvenuta in udienza non tramite il difensore nominato (Avv. De Tina), ma
tramite un sostituto processuale dello stesso (Avv. Peressini), in assenza

Senonché, osservano i ricorrenti, il difensore della parte civile poteva
delegare al suo sostituto i poteri processuali, ma non anche il potere sostanziale
di costituirsi parte civile. D’altronde l’atto di costituzione di parte civile era
sottoscritto soltanto dall’Avv. De Tina

5.In data 5 febbraio 2016 il difensore degli imputati depositava nota nella
quale, da un lato, deduceva l’infondatezza del ricorso del Procuratore generale
presso la Corte di appello di Trieste, in quanto l’ultimo reato commesso dal
Degano risaliva al 16 febbraio 2000 ed aveva formato oggetto di sentenza di
condanna irrevocabile soltanto il 16 novembre 2003, con la conseguenza che
nell’ultimo decennio non risulta essere stata pronunciata alcuna sentenza di
condanna nei confronti del Degano. D’altra parte, ribadiva che le linee vita non
sono dispositivi di protezione individuale e a sostegno di detto assunto riportava
la Decisione d’esecuzione (UE) 2015/2181 della Commissione del 24 novembre
2015 (in particolare il considerando 8, che qualifica dispositivi di protezione
individuale soltanto i dispositivi di ancoraggio di tipo B ed E tra i quali non
rientrerebbero le linee vita).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Non fondato è il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di
appello di Trieste
Invero – premesso che dal certificato penale in atti risultano a carico di
Degano Primo i seguenti 3 precedenti: una sentenza di applicazione pena
(emessa in data 7 ottobre 1994 e passata in giudicato il 25 ottobre 1994) in
relazione ad un fatto di lesioni personali colpose commesso il 23 giugno 1992;
una seconda sentenza di applicazione pena (emessa in data 27 ottobre 1998 e
passata in giudicato il 21 novembre 1998) in relazione ad un fatto di lesioni
personali colpose commesso il 22 marzo 1996 (in tal caso era stata disposta la
sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria); una
terza sentenza di applicazione pena (emessa in data 17 settembre 2003 e
4

dell’interessata.

passata in giudicato il 16 novembre 2003) in relazione ad un fatto di lesioni
personali colpose gravi commesso il 16 febbraio 2000 (anche in tal caso era
stata disposta la sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena
pecuniaria) – occorre osservare che, a norma dell’art. 59 comma 2 lett. A della
legge n. 689/1981, “la pena detentiva, se è stata comminata per un fatto
commesso nell’ultimo decennio, non può essere sostituita nei confronti di coloro
che sono stati condannati più di due volte per reati della stessa indole”.
Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sent. n. 1601 del 13/01/1995,

sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, la condizione soggettiva che
impedisce la sostituzione, qualora la pena sia stata irrogata per un fatto
commesso nell’ultimo decennio, a favore di coloro che siano stati condannati più
di due volte per reati della stessa indole, opera esclusivamente quando il reato
per cui tale pena è irrogata sia qualitativamente omogeneo (“della stessa
indole”) rispetto a quelli che hanno formato oggetto delle precedenti condanne;
tale esclusione, infatti, deriva non solo dalla dimostrata attitudine del soggetto a
commettere reati, ma anche dalla prevedibile, insufficiente efficacia dissuasiva
della misura sostitutiva nei confronti di persona che non ha dimostrato alcun
ravvedimento nonostante abbia già subito un trattamento punitivo
maggiormente stigmatizzante.
Alle medesime conclusioni è pervenuta la giurisprudenza successiva (cfr.
Sez. 6, ordinanza n. 45002 del 26/10/2005, De Salvo, RV. 233510), secondo la
quale, in tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, la condizione
soggettiva che impedisce la sostituzione, qualora la pena sia stata irrogata per
un fatto commesso nell’ultimo decennio, a favore di coloro che siano stati
condannati più di due volte per reati della stessa indole, opera esclusivamente
quando il reato per cui tale pena è irrogata sia qualitativamente omogenea
rispetto a quelli che hanno formato oggetto delle precedenti condanne; pertanto,
il raffronto circa la medesimezza dell’indole va operato tra il reato oggetto della
sentenza, rispetto al quale si intende effettuare la sostituzione, e i reati oggetto
delle precedenti condanne.
E, sviluppando i suddetti principi, è stato affermato (Sez. 3, sent. n.
13948 del 29/02/2012, Delise, Rv. 252395) che il divieto di sostituzione della
pena detentiva, previsto dall’art. 59, comma secondo, lett. a), legge 24
novembre 1981, n. 689, opera nel caso in cui nel decennio anteriore alla data di
commissione del fatto, in relazione al quale è irrogata la pena da sostituire,
l’imputato abbia riportato più di due sentenze di condanna per reati della stessa
indole.
Poiché, nella specie, il fatto per cui si procede è stato commesso il 14
ottobre 2008 e, nei 10 anni anteriore, l’imputato ha riportato soltanto due
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Saccomanno, Rv. 200043) hanno già avuto modo di precisare che, in tema di

precedenti della stessa indole (quella passata in giudicato il 21 novembre 1988 e
quella passata in giudicato il 16 novembre 2003), come risulta dal certificato del
casellario giudiziale, legittima è da ritenersi la sostituzione della pena detentiva
disposta dalla Corte territoriale.

2. Non fondati sono anche i primi due motivi di ricorso degli imputati, che,
in quanto attinenti entrambi al giudizio di penale responsabilità, vengono qui
trattati congiuntamente.

ammissibile nella presente sede di legittimità.
Orbene, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio
logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo
della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni
inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle
risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve
essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argonnentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni,
utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent.
n. 4115 del 27/11/1995, 1996, Beyzaku, Rv. 203272).
Sotto altro profilo è stato precisato che la Corte di cassazione, nel
momento del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente
(Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745).
Si deve infine ribadire, per condivise ragioni, l’insegnamento espresso
dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale nessuna prova, in realtà, ha
un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del
merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n.
16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
2.2. Precisato nei termini che precedono l’orizzonte dello scrutinio di
legittimità, occorre rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di
merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico
complesso corpo argonnentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv.
216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferent

2.1. Occorre in primo luogo precisare il perimetro del sindacato,

percorso argonnentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio,
che risulta immune da censure rilevabili dalla Corte regolatrice.
2.3. Invero, il Tribunale di Tolnnezzo – dopo aver richiamato la cornice
normativa di riferimento, con specifico riferimento agli obblighi del datore di
lavoro in materia di sistemi di prevenzione contro le cadute dall’alto – in primo
luogo ricostruiva il fatto nei termini che seguono:
– la società Degano Primo srl aveva assunto l’appalto dei lavori consistenti
nel rifacimento del manto di copertura di un fabbricato;

ponteggio prefabbricato per la messa in sicurezza del personale in cantiere
ovvero l’eventuale utilizzo di dispositivi di sicurezza anticaduta e/o piattaforma
aerea e/o scale: nel POS vi era la previsione di adeguate misure preventive e
protettive legate alla esecuzione dei lavori appaltati; nonostante dette previsioni,
il cantiere in esame mancava totalmente di parapetti di protezione, avendo
l’impresa preferito predisporre unicamente una classica linea-vita, vale a dire un
DPI (dispositivo di protezione individuale) realizzato installando tre paletti fissi in
corrispondenza di distinti punti sul colmo del tetto, collegati tra loro da un
cordino d’acciaio al quale avrebbe dovuto agganciarsi l’operatore, dotato di una
imbragatura di sicurezza;
-al momento del sinistro erano presenti sul tetto quattro operai ed era in
corso l’attività di installazione di pannelli monopanel coibentati, lunghi sei metri e
larghi uno, costituiti da due lamine in acciaio, con all’interno materiale isolante,
del peso complessivo di una decina di chili ciascuno; i pannelli venivano asportati
in quota mediante un sistema di sollevamento con autoscala, in quota venivano
tagliati e sagomati per poi essere fissati;
– le operazioni da svolgere e la presenza di più operai e attrezzi di lavoro
aveva determinato spesso il fatto che il cordino, a cui i lavoratori si
agganciavano, restasse impigliato sotto il pannello;
– i dipendenti avevano lamentato quelle condizioni di lavoro e in quel
contesto era proprio accaduto che la corda di collegamento utilizzata da Vinko
Tomas per agganciarsi alla cd linea-vita si era impigliata sotto un pannello;
l’operaio aveva dovuto sganciarsi per poter passare dall’altra parte; il pannello
era scivolato colpendolo alle gambe e lo aveva trascinato giù dal tetto facendolo
cadere a terra con un volo di nove metri.
Così ricostruito il fatto, il tribunale: a) ravvisava la causa dell’infortunio
nella scelta di dotare i lavoratori di semplici DPI – peraltro inadeguati – anziché
munire il cantiere, come peraltro previsto nel preventivo e nel POS, di DPC
(dispositivo di protezione collettiva) quali un ponteggio prefabbricato da allestire
attorno all’immobile, dovendo essere ritenuta quest’ultima l’unica misura di
sicurezza realmente utile a scongiurare la caduta dall’alto; b) respingeva la tes
7

-tra le voci di spesa in preventivo, vi era anche la formazione di un

difensiva volta ad addebitare alla sola negligenza del lavoratore o a un suo
comportamento anomalo la responsabilità dell’infortunio; c) osservava che la
scelta dei dispositivi di sicurezza non poteva essere condizionata dalla breve
durata dei lavori, peraltro protrattisi per circa un mese; d) valutava che non
soltanto l’attività del dipendente rientrava perfettamente nell’ambito delle
mansioni a lui attribuite, ma neppure poteva dirsi che la condotta fosse consistita
in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle prevedibili o
imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro assegnato.

per la mancata adozione, su tutta l’area della copertura interessata dai lavori di
manutenzione oggetto dell’appalto, di misure di protezione collettiva
maggiormente idonee a prevenire il rischio di caduta dall’alto.
Quanto all’imputazione soggettiva dell’infortunio, il tribunale riteneva che
dovesse essere chiamato a rispondere sia il datore di lavoro, soggetto titolare del
potere decisionale e delle scelte operative in cantiere, sia il direttore tecnico del
cantiere e titolare, in quanto tale, di una autonoma posizione di garanzia perché
egualmente destinatario dell’obbligo di dare attuazione alle norme dettate in
materia di sicurezza sul lavoro, come peraltro indicato nel POS.
2.4. D’altra parte, la Corte territoriale – dopo aver preliminarmente
richiamato la sentenza di primo grado, apprezzandola come “più che esauriente
nel vagliare tutti gli aspetti del fatto e le ragioni di diritto” – ha correttamente
osservato, nel respingere l’appello degli imputati in relazione al reato di cui al
capo a), che la scelta rimessa al datore di lavoro in ordine ai dispositivi di
sicurezza da adottare, diversi da quelli di protezione collettiva, deve essere
guidata dal criterio di idoneità.
Poco rileva che la Corte – dopo aver ricordato che è dispostivo di
protezione individuale (c.d. DPI) ai sensi dell’art. 74 del D.Lgs 81/2008. t.u.
sicurezza sul lavoro, qualsiasi attrezzatura destinata a essere indossata e tenuta
al lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di
minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento
o accessorio destinato a tale scopo – ha ritenuto che l’imbragatura con cui
l’operaio si collega a un cordino d’acciaio (c.d linea vita) che scorre tra una
estremità e l’altra di tre pilastri sul colmo del tetto sia, nel suo complesso,
sistema di protezione individuale, non potendo scindersi l’ancoraggio
dall’imbracatura e dal cordino che ad esso viene collegato, in quanto il
dispositivo di ancoraggio espleta concretamente la sua funzione proprio perché è
necessario complemento destinato a prevenire il rischio di caduta.
Invero, quel che qui più rileva – secondo la Corte, che riprende sul punto
la sentenza del Giudice di primo grado – è la scelta di dotare i dipendenti solo di
tale dispositivo di protezione. Detta scelta è stata assolutamente inidonea
8

Il tribunale riteneva dunque provata la violazione della norma cautelare

rispetto alle condizioni del cantiere e alle mansioni da svolgere, dato che il lavoro
doveva interamente svolgersi in quota e consisteva nello scaricare dalla scala
mobile pannelli nnonopanel coibentati, lunghi sei metri e larghi uno, costituiti da
due lamine in acciaio, con all’interno materiale isolante, del peso complessivo di
una decina di chili ciascuno, nel tagliarli e sagomarli in quota, per poi fissarli sul
tetto. Operazioni queste che implicavano non solo l’uso di vari utensili che
ingombravano l’area di lavoro, ma richiedevano la costante movimentazione dei
pannelli e la inevitabile interferenza con il sistema di protezione (costituito dal

si sgancia dal cordino impigliato sotto il pannello, con l’intenzione di riallacciarlo
subito dopo, ma viene investito dal pannello stesso, che gli sviola sulle gambe e,
perdendo l’equilibrio, cade dal tetto da una altezza di quasi nove metri, lungi dal
poter essere considerato un gesto suicida o irragionevole o abnorme (tale da
porsi come causa esclusiva dell’evento), è stato ritenuto dalla Corte territoriale
come concreta realizzazione di quel rischio che avrebbe dovuto essere
correttamente valutato ed evitato.
In definitiva, secondo la Corte territoriale, soltanto a causa della
imprudente, negligente e imperita scelta del sistema di sicurezza adottato, scelta
imputabile al datore di lavoro e al direttore tecnico di cantiere, si è verificato
l’infortunio in danno di Tomas Vinko.
2.5. In definitiva, la Corte di merito ha chiarito le ragioni per le quali ha
ritenuto di confermare la valutazione espressa dal primo giudice, sviluppando un
percorso argomentativo che, a prescindere dalla qualificazione del dispositivo di
protezione (se individuale, come sostenuto dalla Corte territoriale, ovvero
collettivo, come sostenuto dai ricorrenti), non presenta aporie di ordine logico (e
che risulta perciò immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità)
laddove la Corte ha affermato che la scelta del dispositivo di protezione in
concreto adottato era assolutamente inidonea rispetto alle condizioni del cantiere
e alle mansioni da svolgere.

3. Non fondato è anche il motivo terzo, concernente il trattamento
sanzionatorio e, in particolare, la mancata concessione delle attenuanti
generiche.
Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione
delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per
quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su
detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d.
motivazione implicita (Sez. 6, 4/7/2003 n. 36382, Dell’Anna ed altri, n. 227142)
o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”: Sez. 6, sent. N. 9120 del
2/7/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al
9

cordino agganciato alla linea-vita): in tale contesto, il gesto del dipendente, che

giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in
riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione
solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n.
26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
Detta evenienza che non ricorre nel caso di specie, nel quale il giudice di
primo grado – dopo aver distinto le posizioni di garanzia dei due imputati e
ricordato i precedenti specifici esistenti a carico del Degano – irrogava a
quest’ultimo la pena di mesi quattro di reclusione e a Marzinotto David la pena di

della sospensione condizionale della pena, in considerazione del contegno
extraprocessuale manifestatosi con l’inottemperanza alle prescrizioni impartite
dall’A.S.L e con l’autorizzazione alla ripresa dei lavori nel cantiere di Tolmezzo
con le stesse pericolose modalità di intervento accertate al momento
dell’incidente.
E la Corte territoriale, nel negare a sua volta la concessione delle
attenuanti generiche, ha richiamato espressamente la valutazione del primo
giudice in ordine al comportamento extraprocessuale tenuto da entrambi gli
imputati, sottolineando la gravità della condotta perché le condizioni di rischio di
quell’ambiente di lavoro erano state già segnalate e lamentate dai dipendenti.

4. Non fondato, infine, è il quarto motivo di ricorso degli imputati,
concernente la regolarità della costituzione della parte civile.
In punto di fatto, va precisato che: a) la costituzione di parte civile ha
avuto luogo, in sede di udienza 15 dicembre 2011, mediante il deposito della
dichiarazione di costituzione di parte civile di Tomas Ljubica, moglie convivente
di Tomas Vinko, da parte dell’Avv. Peressini, quale sostituto dell’Avv. Flaviano De
Tina; b) l’Avv. Peressini era stato nominato sostituto dall’avv. Flaviano De Tina
con nomina del 14 dicembre; c) la procura speciale conferita dalla Sig. Tornas
Ljubica all’avv. Flaviano De Tina non prevedeva soltanto la facoltà per il
procuratore nominato di farsi sostituire a norma dell’art. 102 c.p.p., ma
contemplava espressamente il conferimento al nominato difensore e procuratore
(ovvero al sostituto di costui, designato ex art. 102 c.p.p.), dì ogni facoltà di
legge, ivi compresa, in espressa deroga a quanto previsto dall’art. 100 comma 4
c.p.p., la facoltà di compiere atti che importino disposizione del diritto in
contestazione, nonché di sollevare e discutere eccezioni processuali e di merito,
di presentare istanze. memorie, di discutere oralmente, di proporre impugnazioni
ex art 576 c.p.p.e di rinunciare alle stesse”.
Orbene, la Corte sulla base dei suddetti dati ha ritenuto – con
motivazione immune da vizi logici e giuridici e, dunque, non censurabile in
questa sede – che la signora Tomas Ljubica abbia voluto espressamente
10

mesi tre di reclusione, negando ad entrambi le attenuanti generiche e il beneficio

conferire, sia al difensore sia al suo sostituto, un potere di disposizione del diritto
in contesa, in coerenza con quanto previsto dall’art. 100 comma 4 c.p.p.., con
conseguente piena validità ed efficacia del deposito dell’atto di costituzione di
parte civile per mano dell’avv Peressini quale sostituto dell’avv. Flaviano De
Tina.

5. Per tutte le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/02/2016

ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

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