Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21573 del 17/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21573 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LACHHEB MOSTAFA nato il 23/01/1979 a KENITRA( MAROCCO)

avverso l’ordinanza del 12/02/2017 del TRIBUNALE di URBINO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 17/11/2017

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 12/2/2017, il Tribunale di Urbino, in funzione di giudice
dell’esecuzione, rigettava l’istanza con la quale Lachheb Mostafa aveva chiesto
l’applicazione della disciplina ex art. 671 cod. proc. pen. in ordine ai reati
giudicati con i seguenti titoli: sentenza del 3/7/2014, irrevocabile il 25/9/2014,
del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in relazione al
reato di cui all’art. 73 DPR n. 309/90, commesso tra luglio 2012 e ottobre 2013;

relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 4, DPR n. 309/90,
commesso il 26/6/2015.
Avverso la citata ordinanza l’istante ha proposto ricorso per cassazione
lamentando violazione di legge in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod.
proc. pen., nonché manifesta illogicità, contraddittorietà e carenza della
motivazione. Deduce che il Tribunale ha affermato apoditticamente l’inesistenza
dell’unico disegno criminoso e dello stato di tossicodipendenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Il controllo affidato al giudice di legittimità può avere come oggetto la
verifica circa la violazione di disposizioni di legge e l’analisi della motivazione,
che può essere affetta da patologie rilevanti qualora sia del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza completezza e logicità (al punto da risultare
meramente apparente perché assolutamente inidonea a rendere comprensibile

l’iter logico seguito dal giudice) o qualora esponga linee argomentative talmente
prive di coordinazione e carenti dei passaggi razionali essenziali da fare rimanere
oscure le basi giustificative della decisione.
Il ricorrente denunzia formalmente sia violazione di legge, sia generiche
carenze motivazionali, ma chiede in realtà la rilettura del quadro probatorio e il
riesame nel merito della vicenda processuale. Tale riesame è precluso in sede di
indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, ove solo può
essere appurato se la struttura razionale della ordinanza impugnata abbia una
sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel
rispetto delle regole della logica, alle risultanze del compendio probatorio
acquisito, come nel caso concreto ora in valutazione.
Nell’ordinanza impugnata si evidenzia l’impossibilità di riconoscere la
continuazione poiché le condotte illecite sono state poste in essere a circa tre
anni di distanza una dall’altra. Il giudice dell’esecuzione, peraltro, ha rilevato che
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sentenza del 26/6/2015, irrevocabile il 10/6/2016, del Tribunale di limino, in

nelle sentenze citate non è presente alcun riferimento allo stato di
tossicodipendenza, dunque non vi è prova che la vendita e la detenzione di
sostanze stupefacenti siano avvenute per procurarsi il denaro necessario ad
acquistare droga per il proprio fabbisogno. Né le doglianze contenute nel ricorso
si mostrano in grado di intaccare tale assunto. Ciò anche tenuto conto del
principio secondo cui la condizione di tossicodipendenza può essere valutata
come elemento idoneo a giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo
a reati che siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano le altre

previsto dall’art. 81, comma secondo, cod. pen. (Sez. 1, n. 50716 del
07/10/2014 – dep. 03/12/2014, Iannella, Rv. 261490).
In definitiva, deve riscontrarsi la presenza di motivazione adeguata,
logica, rispettosa del parametro normativo di riferimento, tale da resistere alle
censure formulate col ricorso, ove si consideri che il giudice dell’esecuzione,
nell’escludere la configurabilità della continuazione, ha valorizzato con plausibili
argomentazioni elementi oggettivi e non ha affatto ignorato le deduzioni
dell’istante anche riguardanti i profili accomunanti gli episodi. In tal modo il
giudice di merito ha offerto puntuale applicazione in punto di diritto all’ormai
consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale anche l’identità del
bene giuridico violato ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte distanziate di anni – costituiscono aspetti da soli insufficienti ad offrire
dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale programma in vista di uno
scopo determinato, ricomprendente le singole violazioni, che costituisce
l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della continuazione
Alla declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod proc.
pen., la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non
essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della
colpa nella proposizione dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, 17 novembre 2017.

condizioni individuate dalla giurisprudenza per la configurabilità dell’istituto

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