Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21563 del 17/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21563 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MODAFFERI GIOVANNI nato il 05/04/1971 a PAOLA

avverso l’ordinanza del 13/10/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 17/11/2017

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 13/10/2016 la Corte di appello di Reggio Calabria, in
funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva solo parzialmente l’istanza proposta
dal condannato Modafferi Giovanni, di riconoscimento della continuazione in sede
esecutiva ex art. 671 cod. proc. pen. Il beneficio veniva ritenuto solo fra delitti
commessi nel 2005, escludendo il tentativo di furto aggravato commesso nel 2012.
Avverso il rigetto ha proposto ricorso per cassazione l’avv. Giacomo lana,

125, 671 cod. proc. pen. Secondo il ricorrente, la Corte di appello ha svolto una
disamina astratta e generica, valorizzando eccessivamente l’elemento cronologico
e tacendo del tutto sullo stato di tossicodipendenza del condannato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di applicazione della
continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto
disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen., postula che l’agente si sia
previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte
criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che
esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non
predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a
priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla
devianza che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed
opportunità esistenziali (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016 – dep. 18/04/2016, P.M.
in proc. Eloumari, Rv. 266615).
L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli elementi
costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità della condotta, dalla
tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneità delle violazioni, dalla
causale, dalle condizioni di tempo e di luogo, essendo a tal fine sufficiente la sola
constatazione di alcuni soltanto di essi, purché significativi (Sez. 1, n. 11564 del
13/11/2012 – dep. 12/03/2013, Daniele, Rv. 255156).
L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della spinta a
delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi,
singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di una
programmazione e deliberazione unitaria, e, però, ciascuno di questi fattori,
aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento dell’esistenza di

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richiamando l’art. 606, comma 1 lett. b), c), e) in relazione agli artt. 81 coc. pen.,

un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente all’aumento
delle circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010 – dep.
07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008 – dep.
02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete
fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso è compito del giudice di merito, la
cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di
legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 – deo. 16/07/1990, Paoletti, Rv.

L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a delibare un
istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre
essenziali problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della
logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario programma
delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le
particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente; infine,
verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le
circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per le finalità
che li ha contraddistinti, possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni
aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico
disegno criminoso (Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992 – dep. 25/06/1992, Curcio,
Rv. 190807).
La consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza
non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della
continuazione, ma ne costituisce comunque un indice rivelatore che deve formare
oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione, qualora emerga
dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato (Sez. 1, n. 18242 del
04/04/2014 – dep. 30/04/2014, Flammini, Rv. 259192). In tema di riconoscimento
della continuazione in fase esecutiva, lo stato di tossicodipendenza deve essere
valutato come elemento idoneo a giustificare la unicità del disegno criminoso con
riguardo a reati che siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano le
altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la configurabilità dell’istituto
previsto dall’art. 81, comma secondo, cod. pen (Sez. 1, n. 50716 del 07/10/2014
– dep. 03/12/2014, Iannella, Rv. 26149001; in applicazione del principio, la Corte
ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione aveva
rigettato l’istanza di riconoscimento della continuazione ignorando, nelle sue
valutazioni, il comprovato stato di tossicodipendenza del condannato). La
previsione normativa del parametro di valutazione dello stato di tossicodipendenza
ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato, contenuta nell’art.
671, comma primo, cod.proc.pen., non stabilisce una presunzione iuris tantum

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184908).

circa la sussistenza della unicità del disegno criminoso relativamente ai reati che
servono all’approvigionamento di droga o, comunque, di denaro per acquistarla
(Sez. 1, n. 49653 del 03/10/2014 – dep. 28/11/2014, Letizia, Rv. 26127101).
Con riferimento al caso concreto, contrariamente a quanto sostenuto dal
ricorrente, il giudice dell’esecuzione ha circoscritto il riconoscimento della
continuazione solo fra i reati commessi fino al 24/11/2005 sulla base di molteplici
fattori, quali l’omogeneità delle condotte, la stretta contiguità cronologica e la
presenza dei medesimi concorrenti nella commissione di tali reati, mentre l’ha

considerazione della notevole distanza temporale. Ed essa è così estesa da rendere
palese, senza necessità di esplicite affermazioni, che neppure lo stato di
tossicodipendenza avrebbe potuto consentire una diversa valutazione.
Il giudice dell’esecuzione ha fatto quindi corretta applicazione dei principi
di diritto sopra richiamati.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00
alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio
di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 – la
sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione dell’impugnazione.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 17 novembre 2017.

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

coerentemente esclusa per il tentativo di furto aggravato del 5/7/2012 in

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