Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21545 del 16/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21545 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RUSSO ALESSIO nato il 09/11/1993 a TORREMAGGIORE

avverso la sentenza del 12/11/2014 del TRIBUNALE di FOGGIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Presidente FRANCO FIANDANESE;

Data Udienza: 16/05/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Il TRIBUNALE di FOGGIA, con sentenza in data 12/11/2014, applicava nei confronti di RUSSO
ALESSIO la pena concordata dalle parti ex art. 444 c.p.p., in relazione al reato di cui alli art. 648
bis c.p.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi: assenza di prova della
colpevolezza, insussistenza del reato di riciclaggio, al più riqualificabile in ricettazione, eccessività
della pena.
I motivi sono inammissibili perché manifestamente infondati ovvero non consentiti.
E’ principio costantemente affermato dalla Suprema Corte, in tema di patteggiamento, che il
accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle
parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo,
invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle legge e che non ricorrono le
condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995,
Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso
di specie la sentenza impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo
espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 c.p.p.
inoltre, per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, di recente ribadito dalle Sezioni
Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/ 2013, dep. 06/02/2014, in motivazione), in tema di
patteggiamento, il ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del
fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione
giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di
diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul
nomen iuris deve essere manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne ammette la
deducibilità nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo
sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini
di opinabilità, come nel caso di specie, in cui la tesi difensiva si basa su una inammissibile
ricostruzione del fatto in difformità di quanto ritenuto dal giudice di merito.
Infine, per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, la censura relativa alla
determinazione della pena concordata – e stimata corretta dal giudice di merito – non può essere
dedotta in sede di legittimità, al di fuori dell’ipotesi di determinazione contra legem. Ipotesi che, di
certo, non ricorre nel caso di specie.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.

Così deciso il 16/05/2016

DEPOSITATA

giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al citato art. 129 c.p.p. deve essere

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