Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21528 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21528 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’AGNILLO ANTONINO nato il 07/10/1992 a CAMPOBASSO

avverso l’ordinanza del 02/12/2017 del GIP TRIBUNALE di CAMPOBASSO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SETTEMBRE;
sentite le conclusioni del PG LUIGI ORSI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il difensore, avv. Mario Petrucciani, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Campobasso ha applicato
a D’Agnillo Antonino la misura cautelare della custodia in carcere per plurimi
reati di furto in abitazione, seguiti da resistenza a pubblico ufficiale e minaccia
grave in danno di soggetto privato.

2.0. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il difensore
di D’Agnillo Antonino per violazione dell’art. 275 cod. proc. pen., per essere stata
applicata la custodia in carcere – invece che gli arresti domiciliari presidiati da
braccialetto elettronico – con motivazione illogica e pretestuosa, non essendo
stato spiegato perché D’Agnillo potrebbe sottrarsi al controllo assicurato dal
braccialetto elettronico.

()M

Data Udienza: 08/02/2018

CONSIDERATO IN DIRITTO

Premesso che è stato proposto ricorso per saltum avverso il provvedimento
del Giudice per le indagini preliminari, applicativo della misura cautelare
personale, e che il ricorso per cassazione è consentito, in casi siffatti, solo per
violazione di legge, deve rilevarsi immediatamente l’inammissibilità del ricorso,
giacché – sebbene venga addotta, formalmente, una mancanza di motivazione il ricorrente si duole, in realtà, di quella esibita dal giudicante, atteso che ben tre

nell’ordinanza, ove è stato fatto rilevare che nulla impedirebbe all’indagato – che
è certamente in contatto con altri soggetti dediti al furto, avendo già collaborato
con essi nello svaligiare altre abitazioni – di prestare la sua opera per altri reati
contro il patrimonio, sia assicurando il ricovero della refurtiva nella sua
abitazione (ove è già stato reperito e sequestrato il provento di altri delitti), sia
indirizzando i complici verso altre abitazioni, sia istruendoli sul modo migliore per
introdursi nelle stesse, data l’altissima professionalità e spregiudicatezza
dimostrate finora. E’ evidente, quindi, che la motivazione reclamata dal
ricorrente esiste e non è per nulla apodittica, essendo calibrata sul tipo di
violazione che si prefigge di contrastare e sulle caratteristiche personali del
soggetto che vuole neutralizzare. Detta motivazione potrebbe essere discutibile,
ma non è questa la sede per giudicarla (tenuto conto, come si è detto, del tipo di
impugnazione proposta dal prevenuto).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di duemila euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000 a favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma l/ter, disp.
Att. cod. proc. penale.
Così deciso 1’8/2/2018

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