Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21526 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21526 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ausoni Mario, nato a Cassino (FR), il 02/05/1982,
avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Pisa emessa ex art. 324 cod.
proc. pen. in data 19/07/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Luigi Orsi, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito per il ricorrente Ausoni Mario il difensore di fiducia, Avv.to Giovanni
Frullano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Pisa, ai sensi dell’art.
324 cod. proc. pen., confermava il decreto di sequestro preventivo finalizzato
alla confisca per equivalente, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del

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Data Udienza: 08/02/2018

Tribunale di Pisa il 12/06/2017; con il medesimo provvedimento era stata,
inoltre, revocata la misura cautelare reale già disposta con decreto di sequestro
preventivo in data 13/08/2015, per l’importo di euro 28.763.193,02, in
riferimento alla fattispecie associativa di cui al capo A) dell’imputazione
provvisoria, in quanto nelle more l’Ausoni non era stato più ritenuto partecipe a
detta associazione, ed era stato, pertanto, disposto il sequestro della somma di
euro 11.419.152,00, in riferimento alla partecipazione del predetto Ausoni alla
fattispecie associativa di cui al capo C) dell’imputazione provvisoria, oltre che in
riferimento ai reati fine contestati al predetto ai capi da Cl a C240

2. Ausoni Mario, con ricorso proposto in data 03/08/2017 a mezzo del difensore
di fiducia Avv.to Giovanni Frullano, si duole per essere l’atto impugnato
abnorme, ai sensi degli artt. 325 e 311, commi 3 e 4, cod. proc. pen., e, in ogni
caso, per violazionevnornne sancite a pena di nullità, e vizio di motivazione ex
art. 606 lett. c) ed e), cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 111, comma
settimo, Cost., 125, comma terzo, cod. proc. pen., in considerazione del fatto
che il richiamo, operato dal decreto di sequestro preventivo, al provvedimento
emesso in data 13/08/2015, anche all’esito dell’integrazione della motivazione
dal parte del Tribunale del Riesame, apparirebbe del tutto insufficiente;
improprio, inoltre, sarebbe il richiamo al concetto di giudicato cautelare, atteso
che lo stato degli atti, rispetto alla situazione del 13/09/2015, risulterebbe
integralmente modificata alla data del 12/06/2017, come si evincerebbe dalla
lettura dei capi di imputazione provvisori a cui fanno, rispettivamente,
riferimento i decreti di sequestro preventivo. In particolare, con il primo decreto
il ricorrente era chiamato a rispondere dei capi di imputazione sub A), C) e G),
mentre con il secondo del solo capo C); la struttura di detta imputazione,
peraltro, risulta modificata, anche sotto l’aspetto della composizione soggettiva;
inoltre, con il secondo decreto al ricorrente sono stati ascritti ben 240 reati fine,
del tutto assenti nel primo decreto, in quanto basati sull’esito delle ulteriori
indagini, segnatamente il sequestro di materiale informatico nei confronti del
ricorrente, in data 02/12/2015, con evidente insussistenza dell’invocato giudicato
cautelare. Inoltre, la motivazione del provvedimento tenderebbe a far discendere
dai reati fine la sussistenza della fattispecie associativa, il che contrasterebbe
proprio con il richiamo al giudicato cautelare, attesa la successiva emersione dei
240 reati-fine, così come labile sarebbe la motivazione sulla transnazionalità
dell’associazione, atteso che i componenti stranieri non sarebbero neanche stati
compiutamente identificati nel capo di imputazione; ne discenderebbe, pertanto,
una motivazione meramente apparente, non superata dal richiamo

per

relationem alla motivazione dell’ordinanza dello stesso Tribunale del 23/12/2015,

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dell’imputazione provvisoria.

che si riferiva ai capi A) e G), non più contestati al ricorrente, come dimostrato
anche dalla revoca del sequestro preventivo limitatamente all’importo relativo al
capo A), mentre il sequestro preventivo relativo al capo C) risulta determinato,
nel suo importo, dalla modifica del capo medesimo. La difesa ha poi ravvisato
l’incidenza, sulla vicenda cautelare reale, scaturente dall’annullamento definitivo
della misura cautelare personale nei confronti del ricorrente, richiamando la
sentenza della Sez. 6, n. 34506 del 13/06/2012, e sottolineando che
l’annullamento della misura cautelare personale era stato determinato
dall’assenza di gravità indiziaria, con ciò essendosi determinato anche il venir

analizzato il contenuto di alcuni atti di Polizia Giudiziaria, al fine di dimostrare
che le società menzionate nell’ordinanza fossero amministrate da soggetti diversi
dal ricorrente; né, infine, sarebbe stata considerata la possibile liceità delle
operazioni contestate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato, limitatamente allo specifico profilo che sarà di
seguito illustrato.
1.Va premesso – ai fini dell’inquadramento logico e della ricostruzione della
scansione procedimentale – che il provvedimento impugnato ha ricordato che il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa aveva emesso un primo
decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in data 13/08/2015,
ritenendo l’Ausoni partecipe di due fattispecie associative finalizzate alla
commissione di reati di abusivismo finanziario e truffa, di cui ai capi A) e C), e
del reato di abusivismo finanziario di cui al capo G); detto provvedimento era
stato confermato sia dal Tribunale del Riesame di Pisa che dalla Cassazione.
Nella motivazione dell’ordinanza in esame, infatti, risulta integralmente riportato
iI passaggio dell’ordinanza già emessa dal Tribunale del Riesame di Pisa in data
23/12/2015, successivamente confermata in sede di legittimità.
Il provvedimento impugnato ha, quindi, proseguito il proprio iter motivazionale
ricordando come dalle successive indagini – in particolare a seguito del
sequestro, nel dicembre 2015, dei computer in uso alla Radjenovic ed all’Ausoni,
entrambi ritenuti al vertice dell’associazione di cui al capo C) dell’imputazione
provvisoria – erano emersi ulteriori, significativi elementi, alla luce dei quali
erano stati delineati n. 240 episodi di abusivismo finanziario, indicati dal decreto
di sequestro preventivo emesso in data 12/06/2017, che – come si legge
nell’ordinanza impugnata – aveva anche descritto una specifica operazione
finanziaria, denominata “Global master agreement for purchase of bank

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meno del furnus relativamente alla misura cautelare reale. Infine, il ricorso ha

securities”. Ne discendeva che la somma costituente il profitto dei reati fine della
compagine associativa, ossia i reati di abusivismo finanziario ai capi da C1) a
C240), era stata individuata nell’ammontare complessivo di euro 13.782.902,00;
da tale importo complessivo era stata poi sottratta la somma di euro
2.363.750,00, già sottoposta a sequestro con il precedente provvedimento
cautelare reale, pervenendosi, quindi, ad individuare nella differenza di euro
11.419.152,00 la somma da sottoporre a cautela reale.
Tanto premesso, il Tribunale del Riesame, sulle doglianze difensive, ha osservato
che i fatti nuovi, sopravvenuti all’esecuzione del primo decreto di sequestro

fattispecie associativa di cui al capo C), e del ruolo direttivo in essa svolto
dall’Ausoni; detti fatti, inoltre, nella misura in cui avevano consentito di
individuare ben 240 fattispecie di reati fine, avevano confermato la validità del
preesistente quadro accusatorio anche in relazione al reato associativo sub C).
Quindi, il provvedimento ha motivato in merito al carattere della
transonazionalità dell’associazione sub C), all’assenza delle autorizzazioni in capo
alle società estere allo svolgimento di attività di intermediazione finanziaria e,
infine, in relazione allo specifico ruolo svolto dal ricorrente, richiamando anche il
giudicato cautelare formatosi relativamente al decreto di sequestro preventivo
precedentemente emesso.
2. Il profilo relativo al corretto inquadramento della questione, in riferimento alla
sussistenza o meno del giudicato cautelare, impone di ricordare che, come
pacificamente affermato da numerosi arresti di questa Corte, la preclusione
derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo
le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle
deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti,
ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una
modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere
superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro
precedentemente definito, tra cui, ad esempio, il rinvio a giudizio in cui sia stata
precisata l’imputazione, oppure documentazione sopravvenuta e non
precedentemente esaminata (Sez. 3, sentenza n. 10976 del 19/01/2016,
Grasso, RV. 266712; Sez. 2, sentenza n. 49188 del 09/09/2015, Masone, Rv.
265555; Sez. 5, sentenza n. 1241 del 02/10/2014, dep. 13/01/2015, Femia, Rv.
261724).
In sostanza, non può prescindersi dal considerare che il concetto di giudicato, in
senso stretto, sia riferibile esclusivamente alle sentenze irrevocabili e che,
tuttavia, l’esigenza di garantire la stabilità dei provvedimenti anche in ambito
cautelare, essenzialmente collegata ad esigenze di economia processuale, ha
fatto sì che si sviluppasse il concetto di “giudicato cautelare” in riferimento ai
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preventivo, nulla avevano tolto alla consistenza degli elementi a sostegno della

provvedimenti cautelari, relativamente ai quali siano stati esperiti tutti i mezzi di
impugnazione, ovvero siano decorsi i relativi termini senza che alcun mezzo di
impugnazione sia stato efficacemente esercitato.
Come condivisibilmente osservato dalla giurisprudenza di questa Corte
regolatrice, “la trasposizione in ambito cautelare degli effetti propri del giudicato
formatosi sulle decisioni definitive non può essere effettuata in termini assoluti:
essa incontra dei limiti dovuti alle funzioni ed alle peculiarità delle misure
cautelari. In particolare, l’efficacia delle misure cautelari è intimamente connessa
alla sussistenza ed alla permanenza delle condizioni di applicabilità, mentre il

irnmutabilità e definitività. Con riguardo agli effetti delle pronunce in materia
cautelare, quindi, più che di ‘giudicato’ si dovrebbe parlare di una preclusione
endoprocessuale, che impedisce la reiterazione di provvedimenti aventi lo stesso
oggetto. Sotto questo angolo visuale il fenomeno assume una portata più
ristretta, in quanto involge solo le questioni, esplicitamente o implicitamente,
trattate e non anche quelle deducibili (e non dedotte).” (Sez. 5, sentenza Femia,
cit.).
E’ stato, poi, affermato, con particolare riferimento alla materia delle misure
coercitive reali, che il presupposto del giudicato cautelare è costituito
dall’assoluta coincidenza oggettiva e soggettiva tra più provvedimenti
inoppugnabili o non più impugnabili, nel senso che la preclusione non può che
operare allo stato degli atti, dipendendo essa dal permanere della situazione di
fatto presente al momento della decisione, in assenza di una modifica della
situazione di riferimento, rendendo inammissibili istanze fondate su motivi che
hanno già formato oggetto di apposita valutazione, ed essendo, invece,
superabile quando si prospettino nuovi elementi di valutazione e di
inquadramento dei fatti, acquisiti da ulteriori sviluppi delle indagini, pur se
riguardanti circostanze precedenti alla decisione preclusiva (Sez. 6, sentenza n.
34565 del 22/05/2014, Eleuteri, Rv. 259902; Sez. 5, sentenza n. 5959 del
14/12/2011, dep. 15/02/2012, Amico, Rv. 252151).
3. Venendo ad esaminare il caso di specie, ciò che occorre sottolineare è che solo
in riferimento alla fattispecie associativa di cui al capo C) appare seriamente
evocabile la problematica del “giudicato cautelare”, in quanto i reati-fine, indicati
ai capi da Cl a C240, risultano emersi in un secondo momento rispetto
all’adozione del primo provvedimento cautelare, e la contestazione di cui al capo
A) risulta venuta meno; d’altra parte, lo stesso Tribunale del riesame
correttamente ha richiamato il concetto d “giudicato cautelare” solo in
riferimento al capo C).
Rispetto a detta fattispecie associativa va detto che, in realtà, la metodologia
motivazionale del provvedimento impugnato si è delineata attraverso la
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concetto di giudicato attiene a situazioni che hanno assunto il crisma della

riproduzione integrale, nel corpo dell’ordinanza stessa, della motivazione
adottata dalla precedente ordinanza di conferma, in data 23/12/2015, ex art.
324 cod. proc. pen., del decreto di sequestro preventivo emesso il 13/08/2015;
in detta motivazione – che più

per relationem

può essere definita per

assimilazione riproduttiva – si rinviene uno specifico snodo argomentativo,
descrittivo del fumus circa l’esistenza dell’associazione sub C) e del ruolo di
vertice in essa svolto dall’Ausoni.
In realtà, quindi, il richiamo al giudicato cautelare sembra addirittura superfluo,
in quanto la motivazione risulta autonomamente individuabile, non avendo la

la verità, infatti, nulla sembra mutato in relazione al ruolo apicale dell’Ausoni in
ambito associativo, con riferimento al capo C), non potendosi, ovviamente,
confondere le modificazioni intervenute in relazione ad altri profili afferenti la
fattispecie associativa, quale la diversità della partecipazione soggettiva, attesa
la ragionevole mutev-olezza e variabilità dell’assetto delle contestazioni nella
fisiologica fluidità della fase delle indagini preliminari.
Né il ricorso ha spiegato in che senso, rispetto al ruolo specifico del ricorrente, il
mutamento della ulteriore componente soggettiva dell’associazione avrebbe
inciso in senso modificativo.
Altrettanto chiaramente indicata appare, in motivazione, l’individuazione della
somma sottoposta a sequestro – dovendosi detrarre, dal profitto dei reati fine di
abusivismo finanziario, di cui ai capi da C1) a C240), pari ad euro
13.782.902,00, la somma di euro 2.363.750,00, già sottoposta a sequestro con
il precedente provvedimento cautelare reale – non rilevandosi affatto, dalla detta
motivazione, la circostanza sostenuta in ricorso, secondo cui la somma oggetto
di cautela reale sarebbe stata ridotta a seguito della modifica del’imputazione
sub C).
4. La componente motivazionale che, tuttavia, risulta indiscutibilmente omessa,
emerge evidente proprio alla luce del novum intervenuto, ossia l’emersione in
sede investigativa dei reati-fine, circostanza che avrebbe dovuto essere
necessariamente valutata in relazione all’intervenuto annullamento della misura
cautelare personale, essa stessa costituente una componente innovativa.
Non vi è dubbio, infatti, che nei confronti di Ausoni Mario il Tribunale del Riesame
di Firenze avesse annullato il provvedimento custodiate personale in relazione ai
reati contestati con l’originaria imputazione provvisoria, sub A), C), D) dapprima con ordinanza del 21/12/2015, quindi con ordinanza del 11/03/2016, a
seguito di nuova emissione del titolo custodiate

e che questa Corte, investita

per effetto del ricorso del pubblico ministero, con sentenza del 13/07/2016, lo
abbia dichiarato inammissibile.

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difesa, se non genericamente, lamentato il mutamento della contestazione: per

Ora, come già affermato da plurimi arresti di legittimità (Sez. 6, sentenza n.
34506 del 13/06/2012, Valore s.p.a., Rv. 253253; Sez. 6, sentenza n. 39249 del
25/10/2011, P.M. in proc. Ciotola, Rv. 251085), nonostante la differenza
strutturale tra i gravi indizi di colpevolezza, che consentono l’applicazione di
misure cautelari personali, ed il fumus commissi delicti, che fonda le misure
cautelari reali, e nonostante la diversità delle regole valutative sottese, i due
piani possono, in concreto, intersecarsi, ben potendo verificarsi situazioni in cui
la valutazione del grave quadro indiziario si riverberi sul fumus commissi delicti,
ciò a maggior ragione in quanto i provvedimenti cautelari si caratterizzano per

incidere sulla consistenza dei presupposti richiesti per la loro emissione, o per la
prosecuzione della cautela, deve necessariamente essere preso in esame dal
giudice cautelare, nel momento genetico ovvero in sede di esame della istanza di
revoca, al fine di decidere se sia o meno giustificata la cautela reale o personale.
Detta valutazione – stante l’irriducibile eccentricità dei presupposti, in riferimento
alla diversa tipologia di misure, e la loro rispettiva sfera di operatività – va,
evidentemente, effettuata caso per caso, anche in considerazione dello specifico
novum intervenuto.
Nella fattispecie in esame non vi è dubbio che la situazione emergente dalla
elevazione, nel contesto dell’imputazione provvisoria, di ben 240 reati-fine, non
possa che essere valutata proprio al fine di dimostrare la congruenza anche
dell’ipotesi associativa prospettata, soprattutto per chiarire, da un lato, in
riferimento al ricorrente, come possa essere rafforzato e convalidato il suo ruolo
in relazione ad un’imputazione che è stata ritenuta insufficiente ai fini della
cautela personale; al di là di qualsivoglia automatismo – consistente nel ritenere
rafforzato il profilo associativo alla luce dell’emersione dei reati-fine -, ciò che
appare necessario, nell’economia della tenuta motivazionale del provvedimento,
è dimostrare il ruolo svolto dal ricorrente in riferimento a tutti o ad alcuni dei
reati-fine, illustrando, di conseguenza, in che termini ciò rafforzi il ruolo di
vertice delineato in riferimento al medesimo soggetto in ambito associativo.
Contemporaneamente, inoltre, appare logicamente necessario chiarire se, ed in
quale misura, il contesto di indagini, così arricchito alla luce delle ulteriori
acquisizioni investigative, possa consentire di superare il dato processuale
costituito dall’annullamento della misura cautelare personale, con motivazione
che abbia una specifica capacità dimostrativa, consentendo di correlare il
superamento delle lacune evidenziate dall’esito processuale che ha riguardato la
misura cautelare personale, con l’apporto ricostruttivo degli ulteriori elementi, in
funzione della ricostruzione dello specifico assetto associativo, dovendo essere
detti elementi muniti di una intrinseca valenza in grado di colmare e superare,

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essere decisioni rebus sic stantibus, per cui ogni elemento di novità che possa

nel contesto del requisito rappresentato dal fumus commissi delicti, l’elemento di
novità costituito dall’intervenuto annullamento della misura cautelare personale.
Su detti profili la motivazione del provvedimento impugnato appare del tutto
omessa.
Ne discende, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al
Tribunale di Pisa per nuovo esame sul punto costituito dall’incidenza del novum
rappresentato dall’annullamento della misura cautelare personale, alla luce dello
sviluppo investigativo ulteriore, restando assorbite le ulteriori questioni poste a
fondamento del ricorso, apparendo esse logicamente conseguenti alla

P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale d Pisa per nuovo
esame.
Così deciso in Roma, il 08/02/2018

Il Consigliere estensore

Il Presidente

valutazione di sussistenza del fumus della fattispecie associativa.

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