Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21517 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21517 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Del Pizzo Raffaele, nato a Salerno il 19/11/1978,
De Feo Antonio, nato a Pontecagnano (SA), il 02/08/1964,
Capo Giuseppe, nato a Perito (SA), il 11/12/1978,
C:arraturo Felice, nato a Salerno il 09/07/1982,
Cafarelli Michele Oscar, nato a Pago del Vallo di Lauro (AV), il 07/08/1966,
Curti Leonilda, nata a Napoli il 23/10/1985
avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno emessa in data
11/11/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Luigi Orsi, che ha concluso per l’annullamento con rinvio in riferimento a tutti gli
imputati, ad eccezione del Carraturo Felice, per il quale si chiede il rigetto del
ricorso;
udito per l’imputato Del Pizzo Raffaele il difensore di fiducia, Avv.to Stefania
Steri, che ha concluso per IFIaccoglimento del ricorso;

1

Data Udienza: 08/02/2018

udito per i ricorrenti De Feo Antonio, Capo Giuseppe, Carraturo Felice, Cafarelli
Michele Oscar, Curti Leonilde il difensore di fiducia, Avv.to Luigi Gargiulo, che ha
concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Salerno, in riforma della

data 21/05/2015 – con cui Del Pizzo Raffaele, De Feo Antonio, Capo Giuseppe,
Carraturo Felice, Cafarelli Michele Oscar, Curti Leonilda erano stati condannati a
pena di giustizia in relazione ai reati a loro rispettivamente ascritti, assolveva
Cafarelli Michele Oscar e Curti Leonilde dai reati a loro rispettivamente ascritti ai
capi M) ed Y), perché il fatto non sussiste, e rideterminava la pena nei confronti
dei predetti imputati; riduceva, inoltre, la pena nei confronti degli imputati Del
Pizzo Raffaele e Carraturo Felice, confermando, nel resto, l’impugnata sentenza.
2. Con ricorso depositato in data 30/05/2017 Del Pizzo Raffaele ricorre, a mezzo
del difensore di fiducia Avv.to Stefania Stenti), per violazione di legge e vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento
alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, giustificata
dalla sentenza per la concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale
di cui all’art. 8 I. 203/1991, non avendo la Corte territoriale verificato la ridotta
capacità criminale del ricorrente, a seguito della sua scelta collaborativa, nonché
l’eccezionale apporto fornito alle indagini, senza considerare, in ogni caso, gli
indici di cui all’art. 133 cod. pen.

3. Con ricorso depositato in data 06/06/2017 Carraturo Felice ricorre, a mezzo
del difensore di fiducia Avv.to Luigi Gargiulo, per violazione di legge e vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento
alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6, cod.
pen., negata dalla Corte territoriale in quanto la restituzione non era avvenuta
mediante deposito nelle forme previste dal codice civile per la mora credendi,
senza aver considerato che, per ritenere costituito il rapporto processuale nei
confronti della persona offesa, la norma relativa alla notifica dell’avviso di
fissazione dell’udienza preliminare richiede una diligenza inferiore rispetto a
quella usata dall’imputato che, non potendo disporre per le notifiche della Polizia
Giudiziaria, si era servito dell’ufficio postale e, a seguito della irreperibilità della

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sentenza emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno in

persona offesa, ha ritenuto sufficiente una manifestazione unilaterale di volontà
risarcitoria.

4. Con ricorso depositato in data 14/07/2017 Cafarelli Michele Oscar ricorre, a
mezzo del difensore di fiducia Avv.to Luigi Gargiulo, per vizio di motivazione, ai
sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., avendo la Corte di merito del tutto
omesso di motivare in riferimento alle censure contenute nell’atto di appello, in
riferimento al reato sub O), neanche con motivazione per relationem

alla

sentenza di primo grado, omissione di motivazione che si riverbera anche in

5. Con ricorso depositato in data 21/06/2017 Curti Leonilde ricorre, a mezzo del
difensore di fiducia Avv.to Giovanni Gioia, per violazione di legge e vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo la Corte
di merito del tutto immotivatamente fatto discendere l’affermazione di penale
responsabilità per i capi F), I), N), P), da quella di cui al capo C), non avendo
l’imputata, a differenza di quanto affermato in motivazione, mai ammesso la
propria responsabilità per gli episodi di ricettazione, così come del tutto omessa
sarebbe la motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di
cui all’art. 7 I. 203/1991.

6. Con ricorso depositato in data 01/06/2017 De Feo Antonio e Capo Giuseppe
ricorrono, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Massimo Torre, per violazione
di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc.
pen., in riferimento all’art. 192 cod. proc. pen., avendo la Corte di merito del
tutto omesso la motivazione relativa alle posizioni dei predetti imputati, avendo
la sentenza impugnata solo trattato il profilo della credibilità dei collaboratori di
giustizia, senza alcun approfondimento, neanche in riferimento ai riscontri
individualizzanti relativi ai ricorrenti; quanto al De Feo, inoltre, non sarebbe stata
valutata la circostanza che questi, all’epoca dei fatti, era detenuto e che
transitava nel carcere di Salerno solo in occasione dei processi a suo carico, per
brevi periodi; nessuno dei due imputati, inoltre, avrebbe avuto alcun contatto
con i collaboratori De Sio Giuseppe e De Sio Lucia, come dimostrato dalla
genericità delle propalazioni, già oggetto del memoriale a firma del Capo
Giuseppe, il quale aveva peraltro scagionato il De Feo; nessuna motivazione
sarebbe rinvenibile in riferimento all’aggravante di cui all’art. 7 I 203/1991.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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riferimento alla determinazione della pena.

1.11 ricorso di Del Pizzo Raffaele è inammissibile.
Il ricorrente è imputato per i seguenti reati: A) artt. 110, 319, 321 cod. pen.,
commesso tra il dicembre 2011 ed il gennaio 2012; D) art. 416 bis, cod. pen.,
dal 2009 fino all’agosto 2012, in Salerno ed altrove; E) artt. 110, 629, commi 1
e 2, n. 1 e 3, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, nel marzo-aprile 2011;
G) artt. 110, 629, commi 1 e 2, n. 1 e 3, cod. pen., 7 I. 203/1991, in
Pontecagnano, il 24/12/2011; L) artt. 110, 629, commi 1 e 2, n. 1 e 3, cod.
pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, nel febbraio-marzo 2012; 0) artt. 110,

giugno-luglio 2012.
La pena in primo grado era stata determinata, ritenuta la continuazione, in anni
quattro mesi dieci di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ad eccezione della circostanza
di cui all’art. 7 I. 203/1991, e concessa, inoltre, l’attenuante di cui all’art. 8 I.
203/1991.
La Corte territoriale, in accoglimento del gravame, limitato alla dosimetria della
pena, la ha rideterminata, secondo il seguente calcolo: pena base per il più
grave delitto sub D), anni sette di reclusione, ridotta per effetto dell’attenuante
di cui all’art. 8 I. 203/1991, ad anni tre di reclusione, aumentata di mesi sei di
reclusione per effetto della continuazione con i reati sub e), g), I), ed altresì
aumentata di mesi uno di reclusione per la continuazione con reato di cui al capo
o), per complessivi anni quattro mesi sette di reclusione, ridotta per il rito alla
pena finale di anni tre e giorni venti di reclusione; detta pena, per la verità, ha
omesso di calcolare la multa, prevista per la più grave fattispecie estorsiva
assunta come pena base.
Il motivo del ricorso sembra non considerare la circostanza che già il primo
giudice aveva concesso le circostanze attenuanti generiche con giudizio di
equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, con la sola esclusione,
nell’ambito del giudizio di cui all’art. 69 cod. pen., della circostanza aggravante
cli cui all’art. 7 I. 203/1991, come previsto per legge; peraltro detta ultima
circostanza aggravante risulta neutralizzata dalla circostanza attenuante ad
effetto speciale di cui all’art. 8 I. 203/1991.
In ogni caso, come si evince espressamente dalla motivazione della sentenza
impugnata, sin dal primo grado di giudizio era stata riconosciuta la rilevanza
dell’apporto collaborativo del ricorrente, per cui anche sotto detto profilo il
ricorso non sembra affatto confrontarsi con la motivazione della Corte
territoriale.

2. Il ricorso di Carraturo Felice è inammissibile.
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629, commi 1 e 2, n. 1 e 3, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, nel

Il Carraturo Felice era stato condannato, in relazione al capo G), di cui agli artt.
110, 629, commi 1 e 2, n. 1 e 3, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, il
24/12/2011, alla pena di anni sei di reclusione ed euro 5.000,00 di multa.
Co i motivi di appello il ricorrente si era doluto della mancata applicazione della
circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6, cod. pen., ed aveva esibito una
lettera raccomandata indirizzata alla persona offesa, in cui manifestava la
volontà di risarcire il danno, da quantificarsi in via extraprocessuale, lettera mai
recapitata per irreperibilità della persona offesa Locantore, circostanza di cui la
Corte territoriale ha dato atto.

solo in riferimento al mancato recapito della missiva, ma, prima ancora, in
riferimento alla mancata quantificazione dell’offerta del danno da risarcire da
parte dell’imputato stesso.
In tal senso il motivo di ricorso appare del tutto generico, né si confronta con la
motivazione della sentenza, atteso che, a prescindere dalla ricezione o meno
della raccomandata alla persona offesa, l’offerta di risarcimento del danno, non
essendo stata neanche quantificata, non avrebbe potuto essere considerata
seria.
Deve, al proposito, ricordarsi che ai fini della configurabilità della circostanza
attenuante prevista dall’art. 62, primo comma, n. 6, cod. pen., il risarcimento
del danno deve essere integrale, comprensivo non solo di quello patrimoniale,
ma anche di quello morale, e la valutazione della sua congruità è rimessa
all’apprezzamento del giudice (Sez. 2, sentenza n. 9143 del 24/01/2013, Corsini
ed altri, Rv. 254880).
Inoltre, ai fini dell’applicabilità della indicata circostanza attenuante,
indispensabile che la riparazione stessa, oltre che volontaria ed integrale, sia
anche effettiva. Ne consegue che la somma di danaro proposta dall’imputato
come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (art. 185 comma
secondo cod. pen.) deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla
medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di
sorta. Tale risultato può essere ottenuto – salva la valutazione di congruità
rimessa al giudice e fuori del caso di versamento diretto del danaro nelle mani di
colui cui spetta – solo con l’osservanza della forma prescritta dalle disposizioni
della legge civile dettate proprio per creare, nell’ipotesi di rifiuto del creditore, un
equipollente alla dazione diretta, vale a dire nelle forme dell’offerta reale, la
quale si perfeziona con effetto liberatorio per il debitore al momento del deposito
della somma presso la cassa deposito e prestiti o presso un istituto bancario. Il
rispetto di tali prescrizioni integra l’estremo della effettività delle riparazioni ed è
altresì rivelatore della reale volontà dell’imputato di eliminare, per guanto

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La Corte di merito, inoltre, ha motivato il diniego della invocata attenuante non

possibile, le conseguenze dannose del reato commesso (Sez. 1, sentenza n.
2837 del 13/12/1995, dep. 16/03/1996, Musarra, Rv. 204094).

3. Il ricorso di Cafarelli Michele Oscar è inammissibile.
In primo grado Cafarelli Michele Oscar era stato condannato per i reati di cui ai
capi M): art. 648 bis, cod. pen., in Pontecagnano nel febbraio-marzo 2012; 0):
artt. 110, 629, commi 1 e 2, 7 I. 203/1991, in Pontecagnano nel giugno-luglio
2012, alla pena, ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alle aggravanti diverse dall’art. 7 I. 203/1991 e dalla

In sentenza si dà atto che con il gravame l’imputato aveva rilevato: quanto al
capo M), la mancata conoscenza del reato presupposto, ossia l’estorsione di cui
al capo L) in danno del Locantore e, quanto al capo O), ulteriore fattispecie di
estorsione in danno del Locantore, l’incompatibilità giuridica di detta vicenda con
quella contestata al capo M), con qualificazione del capo O), in subordine, come
favoreggiamento personale.
La sentenza impugnata, al punto 2.4.1. della motivazione, ha affermato
l’inconciliabilità evidente del delitto di riciclaggio con quello di estorsione
aggravata, reato presupposto del riciclaggio secondo la formulazione
dell’imputazione, ed ha osservato che era irrilevante la circostanza che
‘imputato si fosse avvalso dell’emissione di fatture false per giustificare l’esborso
di denaro in favore dei concorrenti nel reato presupposto, atteso che all’epoca
dei fatti non era stata ancora emanata la norma incriminatrice di cui all’art. 648
ter cod. pen., per cui la compartecipazione nel reato di cui al capo O) escludeva
la derubricazione della stessa in favoreggiamento personale. Conseguentemente,
il Cafarelli è stato assolto dal riciclaggio di cui al capo M), perché il fatto non
sussiste, e la pena è stata determinata in anni quattro mesi otto di reclusione
per il capo O), così determinata: pena base, anni sette mesi tre di reclusione ed
euro 1.500,00 di multa, ridotta per il rito alla pena sopra indicata.
Dalla motivazione della sentenza di primo grado, inoltre, si evince che la pena
era stata calcolata secondo la seguente scansione: pena base, anni 5 di
reclusione ed euro 1000,00 di multa per il capo O), aumentata ad anni sette di
reclusione ed euro 1.500,00 di multa per la circostanza aggravante di cui all’art.
7 I. 203/1991, ulteriormente aumentata per la continuazione ad anni sette mesi
sei di reclusione ed euro 1.800,00, ridotta per il rito ad anni cinque ed euro
1.200,00.
Palesemente, quindi, la Corte territoriale ha accolto il primo motivo di appello
dell’imputato ed ha, di conseguenza, anche ridotto la pena in base. Con dette
circostanze il motivo di ricorso non pare affatto confrontarsi, non avendo
neanche valutato che il calcolo della pena è stato effettuato in maniera non
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recidiva, di anni cinque di reclusione ed euro 1.200,00 di multa.

corretta, ed a vantaggio dell’imputato, atteso che, partendo dalla pena base di
anni sette mesi tre di reclusione, la pena finale è di anni quattro mesi dieci e non
di anni quattro mesi otto di reclusione. Evidentemente su detto aspetto, in
mancanza di ricorso della parte pubblica, questa Corte non può esercitare alcuno
scrutinio.

4. Il ricorso di Curti Leonilde è inammissibile.
La Curti era stata condannata, in primo grado, per i reati di cui ai capi C): artt.
81, comma 2, 319, 321, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Salerno dal 2011 fino ad

successiva alla Pasqua del 2011; I): art. 648 cod. pen., in Salerno, in epoca
prossima e successiva al 24/12/2011; P): art. 648 cod. pen., in Salerno, in
epoca prossima e successiva al giugno-luglio 2012; Y): artt. 629, comma 1, cod.
pen., 7 I. 203/1991, in Capaccio nell’ottobre-novembre 2000, alla pena finale,
ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche, di anni
cinque di reclusione.
Con i motivi di appello si era contestata la sussistenza dell’estorsione sub Y),
delle ricettazioni di cui ai capi F), I), N) e P), in quanto la Curti non aveva mai
recapitato lettere minatorie al Locantore né ad altri soggetti, ed era stata chiesta
la riduzione della pena in riferimento al capo C).
La Corte di merito ha assolto la Curti dalla fattispecie di estorsione di cui al capo
Y) perché il fatto non sussiste, mentre per le ricettazioni è stato osservato che la
ricorrente non avesse mai negato di essersi messa in contatto con l’Arcaro, né di
aver ricevuto somme dal Capo, di cui conosceva la statura criminale.
La pena nei confronti dell’imputata è stata, quindi, determinata secondo la
seguente scansione: pena base per il reato sub C), anni due di reclusione,
aumentata ex art. 7 I. 203/1991, ad anni tre di reclusione, ulteriormente
aumentata di mesi sei per ciascun episodio di ricettazione, pervenendosi, quindi,
alla pena complessiva di anni cinque di reclusione, ridotta per il rito ad anni tre
mesi quattro di reclusione.
La motivazione, pertanto, si palesa come del tutto logica, ed il motivo di ricorso
non si confronta affatto con essa: la Corte territoriale, infatti, non ha affermato
alcuna ammissione esplicita degli episodi di ricettazione da parte del’imputata,
desumendola, invece, dalla mancata negazione, da parte della stessa, di alcune
circostanze di fatto specifiche. Su dette argomentazioni il motivo di ricorso è
rimasto silente.
Quanto all’art. 7 I. 203/1991, come risulta dalla motivazione della sentenza
impugnata, incontestata sul punto, e come risulta altresì dai motivi di appello
formulati nell’interesse della Curti, la circostanza aggravante di cui all’art. 7 I.
203/1991 era stata contestata unicamente in riferimento alla fattispecie di cui al
7

epoca successiva al 2012; F): art. 648 cod. pen., in Salerno, in epoca prossima e

capo Y), da cui l’imputata è stata, poi, assolta dalla Corte di merito; nel resto,
con i motivi di gravame si richiedeva solo una riduzione della pena.

5. I ricorsi di Capo Giuseppe e di De Feo Antonio sono inammissibili.
Gli imputati sono stati condannati, entrambi, per i delitti di cui ai capi C): artt.
81, comma secondo, 319, 321 cod. pen., in Salerno dal 2011; D): art. 416 bis,
cod. pen., in Salerno, Pontecagnano ed altrove dal 2009; E): 110, 629, commi 1
e 2, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, nel marzo-aprile 2011; G): 110,

110, 629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, tra il febbraio
ed il marzo 2012; 0): 110, 629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 I. 203/1991, in
Pontecagnano, tra giugno e luglio 2012; T bis): 81, comma secondo, 110, 56,
629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Perito, il 29/01/2010 ed il
10/02/2010; W bis): 81, comma secondo, 110, 56, 629, commi 1 e 2, cod. pen.,
7 I. 203/1991, in Capaccio, in epoca prossima al 17/07/2008; X): 81, comma
secondo, 110, 629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Capaccio, dal 2008
fino al 30/09/2009; ed il Capo, inoltre, anche del delitto di cui al capo W ter):
artt. 10, 12, 14 I. 49774, in Capaccio tra il luglio ed il settembre 2009, alla pena,
rispettivamente, di anni tredici di reclusione ed euro 10.000,00 di multa per il De
Feo e di anni tredici mesi quattro di reclusione ed euro 10.400,00 di multa per il
Capo.
La sentenza impugnata afferma che, con i motivi di gravame, per il Capo era
stata solo chiesta una non meglio specificata riqualificazione del delitto di
estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, senza neanche
indicare in riferimento a quale ipotesi estorsiva, tra le molteplici contestate
all’imputato, detta richiesta fosse stata formulata.
Per il De Feo, invece, era stata chiesta l’assoluzione, in base all’affermata
insufficienza del quadro probatorio, basato sulle sole propalazioni del
collaboratore De! Pizzo, senza alcuna verifica dei motivi di astio da parte di
questi verso il De Fec:; in ogni caso, l’unico episodio provato sarebbe stata la
missiva scritta sotto dettatura del Capo Giuseppe, mentre, sempre secondo il
gravame, il Del Pizzo sarebbe stato l’unico autore delle richieste estorsive; erano
state formulate, inoltre, richieste in tema di pena e di esclusione dell’aggravante
ex art. 7 I. 203/1991.
La sentenza impugnata ha motivato stringatamente, ma con richiamo

per

relationem alla decisione di primo grado, in riferimento alla valutazione di
attendibilità dei collaboratori di giustizia, ed ha fatto, sempre per relationem,
riferimento ai riscontri indicati nella sentenza di primo grado. Quanto alle
doglianze difensive, le ha qualificate generiche ed inconsistenti, soprattutto in
8

629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 I. 203/1991, in Pontecagnano, il 24/12/2011; L):

riferimento al Del Pizzo, il cui interesse ad accusare ingiustificatamente gli
imputati non era in alcun modo emerso, così come inconsistente e non sostenuta
da alcun elemento sarebbe la versione del Capo, tesa ad escludere la
responsabilità del De Feo.
Detta motivazione, seppure stringata, non presenta vizi logici, soprattutto alla
luce derestrema genericità del ricorso che, al di là di una aspecifica doglianza di
mancata valutazione dell’attendibilità dei collaboratori di giustizia, senza peraltro
neanche specificare per quale ragione i collaboratori non risulterebbero
attendibili, si limita a richiamare un memoriale a firma del Capo Giuseppe, in cui

caso, non può essere oggetto di valutazione da parte di questa Corte.
In proposito, inoltre, non può non ricordarsi come la sentenza impugnata avesse
già considerato estremamente generiche le critiche difensive all’attendibilità dei
collaboratori, formulate con i motivi di appello, avendo la difesa del De Feo
assunto apoditticamente un presunto interesse del collaboratore Del Pizzo ad
accusare gli imputati, mentre la versione del De Feo, secondo cui lo stesso Capo
lo avrebbe del tutto scagionato, è stata ritenuta dalla Corte di merito
inconsistente e non riscontrata.
Peraltro la sentenza ha fatto specifico riferimento, contrariamente a quanto
asserito dal ricorso, ai riscontri alle propalazioni dei collaboratori di giustizia,
richiamando il rinvenimento del telefono cellulare all’interno della cella occupata
dal Del Pizzo, Capo Manco e Pecoraro, e gli ulteriori riscontri più
dettagliatamente descritti alle pag. 4 e 5 della sentenza impugnata e nelle note
ivi indicate.
Parimenti generiche appaiono le doglianze in riferimento alla sussistenza della
contestata aggravante di cui all’art. 7 I. 203/1991: risulta, infatti, che entrambi i
ricorrenti siano stati ritenuti responsabili del delitto associativo di cui al capo D),
nella qualità entrambi di capi e promotori, e parimenti pacifica è la formulazione
della contestata aggravante, nel senso che le fattispecie estorsive risultavano
poste in essere al fine di agevolare il clan camorristico descritto al capo D), oltre
che commesse evocando associazioni mafiose operanti sul territorio.
Quanto alla determinazione della pena, non risulta che con i motivi di gravame la
difesa del Capo avesse formulato alcuna doglianza in tal senso, palesandosi,
pertanto, il detto motivo come proposto per la prima volta in sede di legittimità
e, come tale, inammissibile.
In riferimento alla difesa del De Feo questa, con i motivi di gravame, aveva
chiesto il minimo della pena; in sede di ricorso per cassazione il motivo relativo
alla dosimetria della pena appare del tutto generico, basandosi esclusivamente
sulla richiesta della concessione delle circostanze attenuanti generiche, senza

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il ricorrente avrebbe fornito una ricostruzione alternativa dei fatti che, in ogni

individuare alcun elemento specifico sulla scorta del quale poter ritenere
l’imputato meritevole delle invocate attenuanti.
Dall’inammissibilità dei ricorsi discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso in Roma, il 08/02/2018

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Ammende.

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